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[Pubblichiamo un estratto di Casamatta, un testo dell’avanguardia spagnola finora inedito in Italia. E’ ambientato tra i soldati al fronte della guerra tra Spagna e Marocco, una guerra coloniale spesso dimenticata, ma che ha conseguenze ancora oggi. Vi troviamo la vita militare di un esercito non efficientissimo, i “moros”, il fervore delle idee, progetti incendiari e dinamitardi, l’amore e il fascino per una donna rivoluzionaria dura, forte e coraggiosa, una rosa sensuale della rivoluzione, che costringe il protagonista, studente idealista mandato al fronte, a gettarsi nella mischia vera, e a diventare uomo. Qui , in un flash back, “Occhialini”, il protagonista, ha un incontro-scontro con lei, Angustias, la pasionaria che sta preparando un attentato.

José Díaz Fernández (1894 – 1941) fu attivista politico repubblicano già sotto la dittatura di Primo de Rivera, in seguito deputato socialista rivoluzionario e coinvolto pienamente in tutta la guerra civile spagnola, al cui termine fu esule in Francia, dove morì poco dopo. M.B.]

 

Pochi giorni dopo fu proclamato uno sciopero generale. Il calpestio delle pattuglie di cavalleria risuonava drammaticamente nel vuoto delle strade deserte. Gli operai, come formiche in ozio, entravano e uscivano a centinaia nel Centro per cercar notizie, per discutere e commentare la lotta che teneva sospesa e intimorita la città. I più estremisti, aizzati da Angustias, parlavano di usare le pistole contro la polizia. Invece Pascual Domínguez, in quella occasione, non era favorevole alla violenza perché sapeva che i sindacati non erano ancora pronti per quel tipo di lotta. Prendendo a pretesto alcuni licenziamenti, aveva dato il via allo sciopero solo per contarci e per dare una prova di forza. Tutti i suoi discorsi erano tesi a controllare quella fiera dalle molte teste scarmigliate che vibrava nei sudici sedili ogni volta che si accennava alla tirannia dei padroni.
«Daremo battaglia – mi diceva Domínguez – quando crederanno di averci intimorito.»
Angustias aveva fatto lega con elementi comunisti e anarchici, e alle spalle di Pascual Domínguez predicava il terrorismo. Una sera mi chiamò: «Occhialini, sei un vigliacco».
Credo di essere impallidito di rabbia.
«E tu sei un’imprudente, Angustias.»
«Sei un vigliacco. Pascual consiglia la calma perché sente la responsabilità, ma tu lo fai perché non hai coraggio.»
«Ne ho d’avanzo per tutto, anche per mandarti a quel paese una volta per tutte.»
«È quel che dico: un coraggio da ballerino di tango. Se no, dimostralo!»
«No: idiozie non ne faccio!»
«Ah che giovinezza assennata! Sei proprio un bravo figlio di famiglia!»
«Non farmi arrabbiare!»
«Vigliacco! Vigliacco! Scommettiamo che non ti azzardi a venire con me stasera?»
«Dove? Sarà qualche pazzia!»
«Alla filanda. Ci metterò una bomba.»
«Fallo tu.»
«Lo farò, certo.»
«Manderai tutto all’aria!»
«Meglio! Voglio sangue, fuoco, morte!»
L’incendio, Angustias l’aveva negli occhi. Sembrava che di lì cominciasse a bruciare.
«Ma non spaventarti! Io mi divertirò un sacco. Il panico passerà di casa in casa, farà svenire le borghesucce e farà tremare quei ciccioni che la sera escono a passeggiare sotto la protezione delle autorità e delle forze dell’ordine.»
«Così non otterremo mai niente!»
«Non è vero, Occhialini. La nostra forza sta nel non avere niente da perdere.»
E poi, con una voce dal suono dolce, una voce che mi infondeva il veleno dell’eroismo inutile: «Non devi fare proprio niente: solo venire con me».
«No. Lo farò io, da solo.»
«Io! Io! Voglio questo piacere nella mia vita. Voglio distruggere qualcosa con le mie mani. Allora, verrai?»
«Angustias!»
«Correre questo pericolo ci unirà per sempre.»
«Verrò.»
«Grazie. Domani, alle otto di sera, aspettami nel bar dell’altro giorno. Vestiti in un altro modo, come un artigiano col vestito della festa.»
«Ma bisogna preparare la fuga.»
«Ci penso io. Ho anche i soldi.»
Meditai seriamente di cercare Pascual Domínguez e raccontargli tutto. Ma in me era più potente la promessa di Angustias di unirsi a me con quel tragico segreto. E poi, l’idea che lei mi considerasse un vigliacco e indovinasse la mia debolezza interiore mi lubrificava l’animo fino a renderlo disposto all’attentato. Ci rimasi abbastanza male quando mi resi conto che il mio spirito era caduto dalla vetta delle idee nel vortice della passione erotica.
(…)
Presi un taxi e mi feci portare al bar dove avevamo appuntamento. Non erano ancora le otto, ma Angustias era già lì, vestita da operaia… Con un bambino in braccio? Sì, con un bambino in braccio.
«Bravissimo, Occhialini! Bravissimo! Adesso sì che sei uno dei nostri!»
«Ma… e il bambino?»
«Il mio bebé. Guarda.»
Mi avvicinò il fagotto. Era una bambola avvolta in una copertina di lana.
«Le mie bambole dovevano servire per qualcosa di serio» mormorò Angustias sottovoce.
«E la cosa?»
«Qui, nella coperta. Basta piegarla. Ma è dannatamente pesante.»
«Dovremo andare in taxi.»
«È qui davanti all’uscita. Il conducente è un compagno di assoluta fiducia. La fabbrica è circondata dalla Guardia Civil che protegge i crumiri. Dirò che sono la moglie di uno che lavora nel turno di notte e ho bisogno di parlare con lui. A te non ti lasceranno passare, ma io col bambino non faccio nascere sospetti. Il difficile è entrare, accendere la miccia e uscire in dieci minuti.»
«Quanto dura la miccia?»
«Un quarto d’ora.»
«E allora io…?»
«Devi distrarre le guardie. Cerca di metterti in modo da non essere facilmente riconoscibile. Ieri ho fatto un sopralluogo: non c’è molta luce.»
Parlava con una freddezza indescrivibile. Chissà quali drammatiche esperienze avevano temprato il carattere di Angustias per farla stare impassibile con la morte in braccio! Quella sera la morte era travestita da neonato e sarebbe uscita dal corpo di una donna anarchica come un mostro che vomita delitto e devastazione. Eppure, chissà, quel tremendo figlio di Angustias, cullato sul suo petto intatto, avrebbe potuto essere il Messia dell’umanità futura.
«Andiamo!»

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