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  1. Siamo sempre connessi Matthias, ma sempre meno presenti nella vita di tutti i giorni. È questa la molla da cui prende vita Nel nome del Dio web?

La molla è stata questa. Ma un accadimento della mia vita è stato decisivo per farmi concepire questo lavoro. Una volta mi si è rotto l’iPhone mentre scendevo le scale. Ero in ritardo, dovevo avvisare delle persone, in un attimo mi sono ritrovato solo. Sprofondo nella crisi, sia nell’immediato, sia nei giorni successivi durante i quali ho usato un vecchio Nokia senza connessione. Quel vecchio telefono assolveva alla sua funzione primaria: telefonare e mandare messaggi. Ma, nonostante ciò, mi teneva fuori dal mondo. Mi sono sentito in una specie di isolamento. Questa cosa mi ha fatto rendere conto di quante volte io guardassi prima il telefono. Di quanto io ne fossi in qualche modo dipendente. Con quel Nokia, ero connesso con la realtà in maniera diversa. Ho recuperato una parte di me precedente a questa connessione totale e globale. Mi ricordo, da ragazzino, della tecnologia come qualcosa che mi attirava. Non c’era la connessione, c’erano i messaggi, le telefonate. La tecnologia che ad un certo punto potevi spegnere. Così ho riconquistato alcuni spazi.

Mi è capitato in quei giorni di vedere un filmato fatto da un mio amico quando avevamo quindici anni. Io e i miei amici eravamo in un parchetto e ci comportavamo come ci si comportava in un periodo storico che non ti pone nella costante minaccia di poter essere ripresi. Rivedendo il filmato mi sono accorto che un mio amico guardava nel vuoto. In quella ripresa datata ho notato che se ne stava seduto tranquillo a non muovere un dito. Quel suo non fare nulla mi è sembrato qualcosa di semplice e di straordinario insieme: un ragazzo di quindici anni che guarda in un punto imprecisato, pensa a qualcosa per conto suo, senza essere impegnato a comunicare a distanza con nessuno. Senza sentire l’esigenza di utilizzare quel tempo morto per chattare/postare/cercare/vedere. Era con noi amici, pure se in quel momento non stava parlando. I telefoni quando eravamo piccoli servivano per incontraci: noi volevamo stare insieme. Guardarci in faccia, ridere insieme, annoiarci e pensare ai fatti nostri. Ma senza la solitudine che si avverte oggi.

  1. Come ti è venuta l’idea del prelato (Don iPhone) che tramite il web predica la fede (a modo suo), elargendo consigli con il telefono?

Ho associato in modo naturale le nuove tecnologie alla religione, il sacro mi è sembrato il veicolo più immediato per esprimere questa nuova realtà. La preghiera con idoli coevi è diventata simbolica di un mondo nel quale non poteva che esercitarsi una parodia della nostra contemporaneità. L’approccio satirico, diciamo, mi è venuto spontaneo.

È così pervasiva questa dimensione tecnologica, che al pari di qualsiasi fede religiosa accettata tout court, entra nelle nostre vite senza lasciarci il tempo di porci troppe domande. Negli ultimi anni siamo arrivati al paradosso che, pur condannando questa nuova religione profana, noi la accettiamo supinamente. Anche la “vecchia guardia”, le generazioni cresciute senza questa costante connessione, molto spesso non riescono a ricordare come si stava quando si viveva senza lo strumento che ha stravolto le nostre vite, regalandoci tanto. Ma allo stesso tempo togliendoci anche tanto: lo smartphone.

  1. Da dove nasce, dove è giunto fino ad ora e dove vuole arrivare Matthias Martelli?

La nascita si rintraccia in un’idea popolare e giullaresca di esibizione artistica, che per me si traduceva in monologo satirico portato nelle piazze. Quello che mi ha fatto recitare qualsiasi cosa prima di approdare a teatro. Il mio obiettivo era quello di generare domande e riflessioni attraverso la risata, senza offrire necessariamente soluzioni. Grazie al lavoro che faccio ho la fortuna di avere un contatto diretto con diverse generazioni, dai ventenni, ai sessantenni. Mi sono reso conto che i ragazzi di venti anni, i nativi digitali, abbiano una difficoltà sempre maggiore di affrontare i rapporti vis a vis. Li maneggiano senza empatia, senza coraggio. I rapporti finiscono con un messaggio, le persone si cancellano dalle chat, i contatti si eliminano. Con il mio, Nel nome del Dio Web, molti spettatori dopo essere stati a teatro mi scrivono, dandomi anche un feedback sulle cose che hanno cambiato grazie ai paradossi portati in scena nello spettacolo che, al netto delle risate, offre loro un po’ uno specchio nel quale guardarsi.

La risata libera energie, ti rende disponibile a recepire dei messaggi che vanno al di là del momento di divertimento e mirano a creare degli squarci per vedere altre cose. D’altronde l’arte serve anche a questo, no? A fermarci.

  1. Tre aggettivi tre per descrivere la tua opera.

Ironico, corrosivo, sorprendente.