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Donne di mafia. La decostruzione di uno stereotipo

Il libro Donne di mafia aiuta a smontare un cliché delle donne che partecipano in diverso modo all’universo mafioso.

L’identikit delle donne di mafia lo fanno gli uomini, e quindi il cliché si fa portatore della visione che la mafia ha delle donne. In questa visione, la donna serve per fare i figli, per creare la famiglia e la continuità, e soprattutto per mantenere i contatti tra la famiglia di sangue e il clan. Questo però a patto che la donna non sappia niente di quello che riguarda il mondo della mafia, perché non ci si fida di lei. Si pensa infatti che la donna a causa della sua l’emotività possa essere portata a tradire. Ma come vivono le donne questo ruolo? Molti dei rapporti d’amore con gli uomini mafiosi nascono in età giovanile, sia da donne che vengono da famiglie mafiose, sia che vengono da fuori.

Nel primo caso queste donne non trovano niente di strano, perché rivedono quello che hanno visto fare in casa, il modo in cui venivano considerate le loro madri e tutte le donne della famiglia. Le donne che invece entrano in questo tipo di famiglie senza avere idea di quello che troveranno vanno a delineare lo scenario più complicato, perché alcune si adattano e vanno avanti in nome dell’amore, e altre che invece no. Per esempio la moglie di Buscetta, Maria Cristina de Almeida Guimarães, pur non condividendo e non partecipando a progetti mafiosi, non rinnega l’uomo e il padre dei suoi figli. Tuttavia sarà il trade unions con Falcone, verso il cambiamento di Buscetta e il suo diventare collaboratore.

Per esempio Rita Simoncini, la moglie di Francesco Marino Mannoia, il “chimico” della mafia, si innamora da giovanissima e rimane sempre al suo fianco, anche quando viene arrestato e inizia a collaborare. Falcone ha detto che grazie a lei ha capito come le donne possono vedere la mafia, come luogo chiuso, oscuro, di preclusione e di silenzio, e come la radiosità e la voglia di vivere di queste donne si vada a scontrare con questa realtà. Il mondo delle donne di mafia è estremamente variegato. Ci sono donne come la moglie di Leonardo Messina, che veniva da una famiglia mafiosa, e che non prende bene la decisione del marito di arrendersi, e altre come la compagna di Gaspare Mutolo, che accetta la decisione del marito di collaborare come una decisione giusta, solo perché viene da lui. Oppure Margherita Gangemi, la donna di Antonino Calderone, che pur non facendo parte di questo mondo, invita il marito a fuggire all’estero per non mettere a rischio i loro figli e lo aiuta nei suoi spostamenti, fino a che non viene arrestato e decide di parlare.

Poi ci sono casi, come quello della moglie di Stefano Bontade, che afferma di essere orgogliosa di essere stata sposata con un grande uomo e decide di non raccontare niente. Un altro è quello della moglie di Michele Greco, chiamato “il papa”, una donna colta e una musicista, che mostrando la sua casa piena di libri ai giornalisti, chiedeva loro come potesse appartenere a un mostro. 

L’immagine delle donne di mafia è vittima di uno stereotipo. 

Si tratta certamente di stereotipi. Ci sono uomini di mafia che usano le donne come oggetti, usate per sfogare gli istinti più brutali, e altri che si affidano completamente alle loro mogli, come il caso di Giacoma Filippello, moglie di Natale Lala, che decanta una vita meravigliosa e grandi imprese, e rimane al suo fianco fino a che non viene ucciso. Quando questo accade inizia a parlare per vendetta ed entra nel servizio di protezione. Poi ci sono alcune donne che subiscono e tacciono per amore dei figli, sia per tenerli fuori da determinate situazioni, sia perché pensano ai vantaggi che traggono dal denaro, dal potere e dalla visibilità. Quando negli anni ’80 scatta il maxi processo, molti uomini di mafia chiedono il consenso delle loro donne prima di collaborare, e loro gli si rivoltano contro. Quindi anche le donne hanno il loro potere nella famiglia mafiosa.

Non è chiaro se le donne nella famiglia mafiosa siano più vittime o carnefici, perché è tutto molto più sfumato di così.

È chiaro che le donne che racconto sono una minoranza. Il vantaggio che hanno è la ricchezza, infatti una volta all’interno dei programmi di protezione si lamentano delle case dove vengono collocate. È un mondo che scompare, quindi tutto dipende dalla consapevolezza personale. Per esempio una grande differenza la fa lo studio. Poi ci sono storie tragiche come quella della mamma di Giuseppe Impastato, che quando scopre di far parte di una famiglia mafiosa inizia a ribellarsi mettendosi contro il padre. Questa donna si trova così divisa tra il figlio e il marito, che poi viene ammazzato proprio perché il fatto che il figlio fosse contro la mafia lo aveva messo in cattiva luce.

Questa immagine della donna cristallizzata in una figura che esegue senza parlare, faceva parte della cultura dell’ambiente mafioso, ma anche della cultura dell’antimafia. Basti pensare al fatto che nel maxi processo gli imputati sono 474 mentre le donne imputate sono solo 4 e per reati non molto gravi. La mafia era un problema che riguardava gli uomini e anche la magistratura non aveva capito l’importanza delle donne, fino a che Falcone e Borsellino non hanno fatto luce sul vero ruolo che le donne avevano all’interno della mafia, ben diverso da quello che la tradizione aveva raccontato.

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