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Praga, anni Venti. Il giovane ingegnere Prokop barcolla sul marciapiede della strada che costeggia il fiume Moldava. Ha i brividi e la schiena inzuppata di sudore, gli gira la testa, vorrebbe sedersi su una panchina ma ha paura di attirare l’attenzione di qualche poliziotto e quindi raccoglie le poche forze che ha e tira dritto. Si sente svenire, si accorge che un passante lo fissa con insistenza allora cerca di accelerare il passo ma vacilla, quasi cade a terra, è costretto a poggiarsi ad un albero e a chiudere gli occhi ansimando. Il passante lo raggiunge, a quanto pare lo conosce, dice di essere Jirka Tomeš, un suo collega del Politecnico. Si sente male? Può aiutarlo? Prokop accetta, è ferito: farfuglia qualcosa riguardo a un esplosivo sperimentale che ha battezzato “krakatite” in onore del vulcano Krakatoa, soltanto una piccolissima quantità di polvere ha distrutto la stanza dove si trovava Prokop, lo ha scaraventato a terra come un fuscello. Poi Prokop sviene. Tomeš lo raccoglie, lo fa salire su un calesse e lo porta a casa sua, dove gli dà un’aspirina, lo sveste e lo mette a letto. Prokop dorme e sogna. Sogna di incontrare Plinio in una fabbrica e di spiegare a lui il meccanismo d’azione della letale krakatite, poi di cadere, di fuggire, di rivelare la formula del nuovo esplosivo ai suoi colleghi accademici. Quando si sveglia, nota che Tomeš accanto a lui ha preso appunti: vuole rubargli la scoperta dunque? Dopo tanto lavoro, tanta sofferenza sarebbe un vero disastro… Crolla di nuovo in un sonno stavolta senza sogni. Si sveglia che si è fatto giorno, sono passate molte ore: si sente confuso, debole, ha un mal di testa lancinante. È solo in casa, Tomeš a quanto pare è uscito. Suonano alla porta, è una ragazza con il viso coperto da un velo. Prokop la fa entrare in casa, inebriato dal suo intenso profumo…

Finalmente pubblicato in italiano a quasi un secolo dall’uscita a puntate sul quotidiano “Lidové Noviny” nel 1923 (modalità narrativa che peraltro si rintraccia nella struttura un po’ frammentaria del romanzo), Krakatite è uno dei due grandi romanzi “pessimisti” di Karel Čapek assieme a La fabbrica dell’assoluto. In uno l’energia che tiene unita la materia viene sfruttata per causare esplosioni di potenza catastrofica, nell’altro per creare una divinità. In entrambi i casi però le conseguenze sono apocalittiche. Del resto Čapek, profondamente segnato dall’esperienza della Prima guerra mondiale – definita dagli storici il primo vero conflitto “tecnologico” della storia – era sinceramente preoccupato per le sorti del genere umano di fronte all’incalzare di una scienza solo raramente utilizzata per scopi pacifici (“A me la forza non piace, né quella bellica, né quella elettrica”, scrisse). Così, dopo il successo strepitoso delle pièces teatrali R.U.R. (nella quale viene coniato il termine “robot”) e L’affare Makropulos decise di regalare ai suoi lettori un inquietante, minaccioso apologo sulle armi di distruzione di massa che anticipa quasi profeticamente il tema dell’escalation nucleare. Ma non c’è solo questo in Krakatite. Come la quarta di copertina della bellissima edizione Miraggi vuole suggerire con la citazione riportata, c’è anche una metafora sociale nel romanzo, non solo un plot fantascientifico geniale: al mondo per Čapek “tutto è esplosione”, “tutto sfrigola come una compressa effervescente”, anche i pensieri e le emozioni, persino l’erotismo. Il rombo delle esplosioni è il suono della modernità, della frenetica cultura urbana che prende il posto di quella tradizionale contadina e travolge la vecchia morale. Nel 1948 il regista cecoslovacco Otakar Vávra girò una pellicola tratta dal romanzo che è passato alla storia per essere il primo film al mondo in cui è descritto un olocausto atomico.

QUI l’articolo originale:

https://www.mangialibri.com/krakatite?s=09