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Sostiene il vecchio Milan Kundera che questa raccolta di scritti brevi del poeta ceko Petr Král sia una “bella e strana ‘enciclopedia esistenziale della vita quotidiana’”: e che consista, a ben guardare, in una “lezione di modestia impartita al nostro individualismo”. Secondo Yves Hersant, siamo di fronte a una raccolta che restituisce “l’antica potenza delle forme brevi”: “dinamitardo delicato, Petr Král apre brecce nel quotidiano […] da grande educatore dello sguardo”.

Dal punto di vista editoriale, “Nozioni di base” [ed. originale “Základní pojmy”, Praga, 2002] vede la luce nel Belpaese nella traduzione dal ceco di Laura Angeloni, per la torinese Miraggi Edizioni, terza uscita della collana “Tamizdat”. Vale la pena spiegare che “Tamizdat” era il termine che indicava le opere occidentali (provenienti da “tam”, cioè da “là”) fatte circolare, in ovvia clandestinità, oltre Trieste, Gorizia e Berlino, negli anni sconfortanti della Guerra Fredda. E Petr Král, cittadino praghese classe 1941, è decisamente uno che a un tratto era diventato, da un certo punto di vista, “proveniente da là”: esule per questioni politiche, come il fiore dell’intelligenza ceca, orgogliosamente antisovietica, se ne è infatti rimasto a Parigi tra 1968 e 2006, trasformandosi, da studioso di cinema che era in origine, in poeta e scrittore surrealista. Král ha pubblicato sia in ceco che in francese, finendo per ripetere il destino di circa 2 generazioni di artisti cechi di fama internazionale, come l’adelphiano Milan Kundera [n. a Brno, 1929] e come Patrik Ourednik [n. a Praga, 1957], demiurgo dell’imprescindibile e coraggioso “Europeana”. Dal 2007, PK è rientrato nell’amata e perduta Praga. Sin qua, in Italia era stato tradotto soltanto un suo libro, “Tutto sul crepuscolo” [Mimesis, 2014] oltre a qualche poesia qua e là, dal ceco e dal francese.

“Nozioni di base” è un quaderno di 123 capitoli brevi, che comincia – emblematicamente – dal caffè. Un caffè che ci unisce ai vivi, magari “un po’ di sbieco”, “osservando incuranti la strada e il suo sfuocato viavai”, per restituire con chiarezza la propria presenza. Král parla di camicie, di caraffe, di posaceneri, di schiuma da barba: di librerie e di treni, di risate e di lanci di chiavi, di pioggia, di bar, di nudità, di cosa significhino le parole “poco” e “quasi”. È un quaderno di meditazione e di concentrazione sulle cosiddette piccole cose quotidiane: sull’esperienza dell’alba, sulle fantasie, sui momenti di vuoto e di stanchezza, sulle passeggiatine per i mercati. Ogni tanto, la poesia si fa riconoscere, con una certa immediatezza: ad esempio nello schizzo dedicato al “Cappello”, quando Král scrive che cosa succede quando ce lo leviamo, per salutare: allora “uno stralunato infinito sorride di sfuggita”. L’eternità è un pensiero che non abbandona l’artista nemmeno quando sente qualcuno ridere: “La risata è un grande ‘lancio di chiavi’, ci apre all’infinito su tutti i lati e con ancora più forza poiché ciò che all’improvviso rivela è semplicemente l’impossibilità del mondo: non stiamo ridendo di uno scherzo, ma della realtà stessa, della sua segreta farsa”.

Il poeta benedice la pioggia, qualsiasi pioggia, “perché scompiglia il giorno già avviato e nasconde il mondo a se stesso”; e questo libro, in un certo senso, è della consistenza di quella pioggia, perché gioca a sparigliare e riordinare, a mettere a fuoco e a minimizzare, è un’anima che sguscia, si promette allo sguardo di Dio e poi si rintana in casa, magari a mettere in ordine i libri o a riempirsi il muso di schiuma da barba, “come un clown, prima di entrare in scena”. Forse perché mentre ci si dedica alla cura di sé, “concentrato su ogni suo minimo aneddoto, l’anima, come un’ape libera, sorvola il mondo intero, e osserva i suoi nascondigli sconosciuti” [“Radersi”]. Già: bastava poco e non saremmo mai esistiti: “poco, quasi: espressioni discrete, ma cruciali, capaci all’improvviso di riassumere ed esprimere tutto”.

Gianfranco Franchi, marzo 2018