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RUR – recensione di Alessio Lana su Corriere della Sera

RUR – recensione di Alessio Lana su Corriere della Sera

Materia biologica, non metallo: una graphic novel ci riporta al 1920, anno di nascita dei cloni dell’uomo

I primi robot non erano esseri di metallo, non avevano bulloni né cuori artificiali. Erano come noi e ora un graphic novel li fa tornare alla loro origine. Rur Rossum’s Universal Robots (Miraggi editore) di Kateřina Čupová ci ricorda dopo 102 anni che quegli androidi in origine erano altro. Come un regista, Čupová rimette in scena l’omonimo dramma in tre atti (Marsilio) di Karel Capek che nel 1920 diede la fama a un termine fortunatissimo nella forma ma sfortunatissimo nella sostanza. È riuscito infatti a dominare l’immaginario collettivo fin da subito, è stato assimilato in quasi tutte le lingue e culture del mondo ma, come in ogni distopia che si rispetti, è sfuggito completamente al controllo del suo ideatore.

Nella mente di Capek i robot erano esseri creati in laboratorio a partire da materiale biologico, degli uomini artificiali privi di quei desideri, sensazioni ed emozioni che ci rendono deboli. La «colpa» dello slittamento verso l’uomo meccanico è dovuto a Metropolis (che è del 1927) ma un fil rouge è rimasto. Nel 1920 i robot erano pensati per diventare schiavi dell’uomo (robota in ceco sta per «lavoro faticoso, corvée, servitù») e liberarci dal lavoro proprio come oggi i loro pronipoti ci aiutano in fabbrica e in cucina, puliscono le nostre case e costruiscono le nostre cose.

Nelle matite di Čupová lo scontro uomo-macchina si trasferisce nei colori. Gli umani sono in tinte sgargianti e i cloni in un pallido e piatto blu (salvo poi ribaltarsi, ma non anticipiamo troppo). I loro occhi sono di un giallo intenso (come l’androide Data di Star Trek) ma per il resto gli schiavi ideati dallo scienziato visionario Rossum (che sta per «ragione») non mostrano differenze con i loro creatori. Čupová resiste alle sirene della trasposizione portando in un teatro di carta il testo originale con pochissime concessioni alla fantasia. Un ottimo modo per riscoprire una delle opere fondanti (e dimenticate) della fantascienza e riportarla al suo antico, biologicissimo, splendore.

Di seguito l’articolo originale: