fbpx
DONNE DI MAFIA – recensione di Anna Cavestri su Exlibris20

DONNE DI MAFIA – recensione di Anna Cavestri su Exlibris20

Donne di mafia è stato pubblicato 25 anni fa ed è tornato quest’anno in libreria in occasione della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, con Miraggi Edizioni.

È il racconto dello scombussolamento all’interno di Cosa Nostra che le donne hanno provocato. Cosa Nostra nasce come mondo al maschile, dove le donne tacciono e per questo sono rispettate e scelte; tutto è basato sulla violenza e sul potere, sull’imposizione al maschile. Le facce delle donne che fanno parte della mafia sono tante: il libro racconta le distinzioni fra loro.

Le più giovani si mostrano diverse da quelle anziane perché sono state determinanti , incoraggianti e accanto ai loro uomini che avevano deciso di uscire dal circuito mafioso in cui sono cresciuti e di diventare collaboratori di giustizia. Sono quelle che possono aiutarli a intraprendere una vita nuova, libera, con tutte le difficoltà che questa comporta. Sono al loro fianco nei rifugi all’estero o in Italia, sotto un altro nome, in luoghi continuamente diversi che il loro stato di collaboratori di giustizia gli garantisce. Alcune li hanno lasciati, alcune si sono suicidate.

L’autrice ne cita molte, io qui cito quelle che mi hanno maggiormente colpita.

È Rita Atria, la più giovane. Figlia di un mafioso. Il padre è stato ucciso come anche il fratello Nicola. Aveva 16 anni quando ha deciso di andare a parlare in Procura a Sciacca, di nascosto, invece che andare a scuola. Quando il padre è stato ucciso aveva 11 anni, una grande perdita per lei. Con la madre aveva un pessimo rapporto. Quando anche Nicola, che era il suo unico riferimento affettivo è stato ucciso, ha deciso di raccontare quello che aveva visto e sentito nella sua famiglia. “Il mio compito è vendicare mio padre e mio fratello“. Inizia così per lei un viaggio doloroso, continuerà ad andare in Procura invece che a scuola. Era convinta che il padre non aveva le mani sporche di mafia, lo credeva un Robin Hood, che aiutava chi aveva bisogno ed è stato un duro scontro il suo, con i magistrati che hanno dovuto dirle la verità. Trovava tutte le giustificazioni per scagionarlo, non voleva credere che fosse un mafioso. C’era anche il giudice Borsellino ad ascoltarla ed è stato proprio lui quello che è riuscito ad avere la fiducia di Rita, che è stata allontanata dalla casa materna e messa sotto protezione. Viene messa in un residence insieme alla cognata Angela e alla nipotina, che aveva deciso di collaborare prima di lei. Dalla Sicilia a Roma, Rita era spaesata, ma convinta della sua scelta, mentre la madre faceva di tutto per farla rientrare a casa, fino a minacciarla di farla ammazzare. Dopo questa minaccia non ci sono stati più incontri tra loro. Scriveva di come avrebbe voluto il suo funerale Rita e soprattutto che la madre non avrebbe dovuto partecipare.
In quel periodo viene ucciso Falcone, Rita e Angela sono sgomente, sperdute, insieme a Borsellino, rappresentava la possibilità del riscatto.
Rita vuole stare da sola, non vuole più stare nel residence, si intestardisce.
Incontra un ragazzo col quale inizia una relazione, una boccata d’ossigeno nella sua vita. Studia. Ma vuole vivere da sola, gli consegnano le chiavi dell’appartamento il 21 luglio, due giorni dopo l’uccisione del giudice Borsellino, quello che aveva scelto come padre putativo .
Quella strage le squassa. Piera ha avuto un collasso da cui non riesce a riprendersi. Rita è come trasognata, fuori di sé… Borsellino era il suo nuovo padre… Nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita.”
Al settimo piano del suo mini appartamento, Rita vuole stare sola, riflette e si sente inadeguata e sola. Il 26 luglio apre il balcone e si butta nel vuoto. Su un foglietto lascia scritto “Adesso non c’è più chi mi protegge. Sono avvilita. Non ce la faccio più.”
La notizia del suicidio arriva di sera nel carcere di Trapani, c’erano rinchiusi alcuni uomini accusati di mafia, un mormorio riempie il silenzio e una voce più alta di tutte grida “Una di meno“. Un grande applauso risuona per tutto il carcere: si fa festa.
Neanche da morta avrà la pietà della madre.
Ci sono donne che non condividono il percorso di collaborazione dei mariti e si schierano clamorosamente contro di loro o si chiudono in casa per godere almeno della rete di solidarietà della cosca. C’è chi appena saputo che il marito si è pentito ha indossato il lutto come se il congiunto fosse deceduto.

Giacoma Filippello (‘Za Giacomina) per ventiquattro anni è stata la compagna di Natale L’Ala, e ha potuto assistere a scie di sangue e conosciuto uomini importanti dei clan, era parte del clan e da tale si è comportata a tutti gli effetti. Quando ha capito che volere giustizia è diverso che vendicarsi uccidendo, s’è trovata sola. Le sue notti sono state tormentate da dubbi e nostalgia ma è diventata una pentita. Una delle prime donne di mafia che si sono messe a collaborare coi giudici.
Ma di tutta la sua vita avventurosa ’Za Giacomina sempre preferisce ricordare i momenti felici del passato e le indicibili tenerezze di cui l’uomo che ha amato, un boss cui sono attribuiti gravi reati, era capace.
Glielo hanno ammazzato, il suo uomo, il 7 maggio ’90, e lei s’è fatta pentita. Per amore e per vendetta. Con furore. “Quando vennero a dirmi che avevano ucciso Natale, mi si annebbiò la vista. Sapevo che prima o poi sarebbe arrivata la mala notizia.” Dissi: “Chi deve pagare, pagherà” ha raccontato al giornalista della Stampa Francesco La Licata, siciliano, esperto di mafia, con il quale – dopo il pentimento, in un periodo che era a Roma – aveva voluto parlare.

Felicia Bartolotta Impastato, moglie di un mafioso, cognata di un boss, parente di “amici degli amici” e madre di Peppino assassinato dalla mafia perché ne denunciava i crimini. Cinisi il suo paese, il marito era un padre padrone, prepotente e autoritario. Peppino aveva scoperto i libri, la cultura, sognava di trasformare il mondo.
Da ragazzino aveva assistito all’uccisione dello zio con un’auto imbottita di tritolo, ne restò molto scosso e scoprí la mafia e che era una brutta cosa.
Felicia soffriva del suo matrimonio, viveva con la paura e il silenzio, non poteva permettersi di avere un’opinione personale. Voleva tornarsene a casa dei genitori quando scoprí che il marito la tradiva, non le fu permesso, “non si usava”. Quando Peppino ha cominciato a impegnarsi per denunciare la mafia e i loschi affari, lo scontro col marito si era fatto più duro. Minacciava Peppino il marito, e lei perché stava dalla sua parte.
Ogni incontro col padre era una lite. Non c’era verso di far cambiare idee a quel figlio che tanto amava, ma si sforzava di capire le sue idee, leggeva quello che lui lasciava a casa e cominciò a riflettere su tante cose che aveva intuito. Finché il marito ha cacciato di casa Peppino. Si vedevano di nascosto. Dell’ attrito tra padre e figlio si parlava molto fuori. Il padre morì investito da un’auto, un caso? Per Peppino non c’era più protezione alcuna, il 9 maggio fu fatto saltare in aria, disintegrato.
Le indagini hanno puntato su un suicidio e il caso fu archiviato.
Ma Felicia, il figlio Giovanni e gli amici di Peppino, respinsero quella tesi. Il giudice Chinnici riaprí il caso. Sì sentenziò che si trattava di delitto di mafia, ma i colpevoli non sono mai stati condannati.
Felicia non è più uscita di casa.
Ha sempre parlato coi giornalisti ai quali raccontava di sé della sua storia di mogie e madre “cioè donna d’altri”, condannata a non esserlo per sé.
La mafia in casa mia un libro intervista è stato pubblicato da Anna Puglisi e Umberto Santino che hanno dato vita a Palermo al Centro di documentazione “Giuseppe Impastato “

All’uscita del libro nell’edizione Miraggi l’autrice in un’intervista per l’editore ha rilevato che non esiste più la donna sottomessa all’uomo mafioso. Oggi “le compagne o aspiranti compagne degli uomini di mafia non stanno più nella penombra. Parlano in pubblico. Sono viaggiatrici instancabili, anche se nel metro di giudizio dei vertici di Cosa Nostra la donna resta un soggetto inaffidabile, una creatura debole, con molti talenti ma capace di provare emozioni che possono mettere a rischio l’intero territorio su cui la mafia esercita la sua signoria.”
Trovo che l’idea di Miraggi di ripubblicare questo libro sia stata una scelta molto coraggiosa e azzeccata.
Il libro è la descrizione di un fenomeno che ha coinvolto le donne e che continua a farlo, laddove ancora oggi le donne all’interno delle cosche mafiose continuano a rivestire ruoli di fondamentale importanza.

La cronaca più recente è piena di donne che risultano avere ruoli sempre più importanti per la sopravvivenza e la funzionalità dell’organizzazione mafiosa. La loro intraprendenza e capacità di gestire le fila di questo malaffare ha preso sempre più spazio e spesso le abbiamo viste in luoghi di comando. Tutto ciò non giustifica ovviamente il loro operato, sempre di mafia si parla.

E di mafia bisogna continuare a parlare per denunciare questa presenza così difficile da sconfiggere.
E di mafia bisogna continuare a scrivere e a pubblicare perché non si può abbassare la guardia e nemmeno dimenticare il sacrificio di uomini onesti e di legge che ci hanno lasciato la vita.
Oggi la mafia si insinua in tutte le falde scoperte e con modalità sempre più affilate. Falcone ha detto “Certo dovremo ancora per lungo tempo confrontarci con la criminalità organizzata di stampo mafioso. Per lungo tempo, non per l’eternità: perché la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine” (Cose di Cosa Nostra).

L’evoluzione l’abbiamo vista, quella delle donne e delle modalità.
Ora mi auguro tanto di poter vedere la fine, con qualche dubbio.
Consiglio vivamente la lettura di questo libro perché è un libro appassionante, una scrittura che cattura, una ricchezza di testimonianze tutte vere e davvero interessanti.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

DONNE DI MAFIA – recensione di Anna Cavestri su Letto, riletto, recensito!

DONNE DI MAFIA – recensione di Anna Cavestri su Letto, riletto, recensito!

Questo libro è stato pubblicato 25 anni fa ed è tornato quest’anno in libreria in occasione della “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”, per Miraggi Edizioni. È il racconto dello scombussolamento all’interno di Cosa Nostra che le donne hanno provocato. Cosa Nostra nasce come mondo al maschile, dove le donne tacciono e per questo sono rispettate e scelte; tutto è basato sulla violenza e sul potere, sull’imposizione al maschile. Le facce delle donne che fanno parte della mafia sono tante: il libro racconta le distinzioni fra loro. Le più giovani si mostrano diverse da quelle anziane perché sono state determinanti, incoraggianti ed accanto ai loro uomini che avevano deciso di uscire dal circuito mafioso in cui sono cresciuti e di diventare collaboratori di giustizia. Sono quelle che possono aiutarli ad intraprendere una vita nuova, libera, con tutte le difficoltà che questa comporta. Sono al loro fianco nei rifugi all’estero o in Italia, sotto un altro nome, in luoghi continuamente diversi che il loro stato di collaboratori di giustizia gli garantisce. Alcune li hanno lasciati , alcune si sono suicidate. L’autrice ne cita molte, io qui cito quelle che mi hanno maggiormente colpita . È Rita Atria, la più giovane. Figlia di un mafioso. Il padre è stato ucciso come anche il fratello Nicola. Aveva 16 anni quando ha deciso di andare a parlare in Procura a Sciacca, di nascosto, invece che andare a scuola. Quando il padre è stato ucciso aveva 11 anni, una grande perdita per lei. Con la madre aveva un pessimo rapporto. Quando anche Nicola, che era il suo unico riferimento affettivo è stato ucciso, ha deciso di raccontare quello che aveva visto e sentito nella sua famiglia. “Il mio compito è vendicare mio padre e mio fratello“.

Inizia così per lei un viaggio doloroso, continuerà ad andare in Procura invece che a scuola. Era convinta che il padre non aveva le mani sporche di mafia, lo credeva un Robin Hood, che aiutava chi aveva bisogno ed è stato un duro scontro il suo, con i magistrati che hanno dovuto dirle la verità. Trovava tutte le giustificazioni per scagionarlo, non voleva credere che fosse un mafioso. C’era anche il giudice Borsellino ad ascoltarla ed è stato proprio lui quello che è riuscito ad avere la fiducia di Rita, che è stata allontanata dalla casa materna e messa sotto protezione. Viene messa in un residence insieme alla cognata Angela e alla nipotina, che aveva deciso di collaborare prima di lei. Dalla Sicilia a Roma, Rita era spaesata, ma convinta della sua scelta, mentre la madre faceva di tutto per farla rientrare a casa, fino a minacciarla di farla ammazzare. Dopo questa minaccia non ci sono stati più incontri tra loro. Scriveva di come avrebbe voluto il suo funerale Rita e soprattutto che la madre non avrebbe dovuto partecipare. In quel periodo viene ucciso Falcone, Rita e Angela sono sgomente, sperdute, insieme a Borsellino, rappresentava la possibilità del riscatto. Rita vuole stare da sola, non vuole più stare nel residence, si intestardisce. Incontra un ragazzo col quale inizia una relazione, una boccata d’ossigeno nella sua vita. Studia. Ma vuole vivere da sola, gli consegnano le chiavi dell’appartamento il 21 luglio,due giorni dopo l’uccisione del giudice Borsellino, quello che aveva scelto come padre putativo. “ Quella strage le squassa. Piera ha avuto un collasso da cui non riesce a riprendersi. Rita è come trasognata, fuori di sé……Borsellino era il suo nuovo padre……Nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita “Al settimo piano del suo mini appartamento, Rita vuole stare sola, riflette e si sente inadeguata e sola. Il 26 luglio apre il balcone e si butta nel vuoto. Su un foglietto lascia scritto “Adesso non c’è più chi mi protegge. Sono avvilita. Non ce la faccio più“. La notizia del suicidio arriva di sera nel carcere di Trapani, c’erano rinchiusi alcuni uomini accusati di mafia, un mormorio riempie il silenzio e una voce più alta di tutte grida “Una di meno“. Un grande applauso risuona per tutto il carcere: si fa festa. Neanche da morta avrà la pietà della madre.

Ci sono donne che non condividono il percorso di collaborazione dei mariti e si schierano clamorosamente contro di loro o si chiudono in casa per godere almeno della rete di solidarietà della cosca. C’è chi appena saputo che il marito si è pentito ha indossato il lutto come se il congiunto fosse deceduto. Giacoma Filippello ( ‘Za Giacomina) per ventiquattro anni è stata la compagna di Natale L’Ala, e ha potuto assistere a scie di sangue e conosciuto uomini importanti dei clan, era parte del clan e da tale si è comportata a tutti gli effetti. Quando ha capito che volere giustizia è diverso che vendicarsi uccidendo, s’è trovata sola. Le sue notti sono state tormentate da dubbi e nostalgia ma è diventata una “pentita“. Una delle prime donne di mafia che si sono messe a collaborare coi giudici. Ma di tutta la sua vita avventurosa ’Za Giacomina sempre preferisce ricordare i momenti felici del passato e le indicibili tenerezze di cui l’uomo che ha amato, un boss cui sono attribuiti gravi reati, era capace. Glielo hanno ammazzato, il suo uomo, il 7 maggio ’90, e lei s’è fatta pentita. Per amore e per vendetta. Con furore. “Quando vennero a dirmi che avevano ucciso Natale, mi si annebbiò la vista ……Sapevo che prima o poi sarebbe arrivata la mala notizia.” Dissi: “Chi deve pagare, pagherà ”» ha raccontato al giornalista della «Stampa» Francesco La Licata, siciliano, esperto di mafia, con il quale – dopo il pentimento, in un periodo che era a Roma – aveva voluto parlare. Felicia Bartolotta Impastato, moglie di un mafioso, cognata di un boss, parente di “amici degli amici“ e madre di Peppino assassinato dalla mafia perché ne denunciava i crimini. Cinisi il suo paese, il marito era un padre padrone, prepotente e autoritario. Peppino aveva scoperto i libri, la cultura, sognava di trasformare il mondo. Da ragazzino aveva assistito all’ uccisione dello zio con un’ auto imbottita di tritolo, ne restò molto scosso e scoprí la mafia e che era una brutta cosa. Felicia soffriva del suo matrimonio, viveva con la paura e il silenzio, non poteva permettersi di avere un’opinione personale .Voleva tornarsene a casa dei genitori quando scoprí che il marito la tradiva, non le fu permesso “ Non si usava”. Quando Peppino ha cominciato ad impegnarsi per denunciare la mafia e i loschi affari, lo scontro col marito si era fatto più duro. Minacciava Peppino il marito e lei perché stava dalla sua parte. Ogni incontro col padre era una lite. Non c’era verso di far cambiare idee a quel figlio che tanto amava, ma si sforzava di capire le sue idee, leggeva quello che lui lasciava a casa e cominciò a riflettere su tante cose che aveva intuito. Finché il marito ha cacciato di casa Peppino. Si vedevano di nascosto. Dell’ attrito tra padre e figlio si parlava molto fuori. Il padre morì investito da un’auto, un caso? Per Peppino non c’era più protezione alcuna, il 9 maggio fu fatto saltare in aria, disintegrato. Le indagini hanno puntato su un suicidio e il caso fu archiviato. Ma Felicia , il figlio Giovanni e gli amici di Peppino, respinsero quella tesi. Il giudice Chinnici riaprí il caso. Sì sentenziò che si trattava di delitto di mafia, ma i colpevoli non sono mai stati condannati. Felicia non è più uscita di casa. Hs sempre parlato coi giornalisti ai quali raccontava di sé della sua storia di mogie e madre “ cioè donna d’altri “, condannata a non esserlo per sé. “La mafia in casa mia “ un libro intervista è stato pubblicato da Anna Puglisi e Umberto Santino che hanno dato vita a Palermo al Centro di documentazione “Giuseppe Impastato “ All’uscita del libro nell’edizione Miraggi l’autrice in un intervista per l’editore ha rilevato che non esiste più la donna sottomessa all’uomo mafioso. Oggi “le compagne o aspiranti compagne degli uomini di mafia non stanno più nella penombra. Parlano in pubblico. Sono viaggiatrici instancabili, anche se nel metro di giudizio dei vertici di Cosa Nostra la donna resta un soggetto inaffidabile, una creatura debole, con molti talenti ma capace di provare emozioni che possono mettere a rischio l’intero territorio su cui la mafia esercita la sua signoria.”

Trovo che l’idea di Miraggi di ripubblicare questo libro sia stata una scelta molto coraggiosa e azzeccata. Il libro è la descrizione di un fenomeno che ha coinvolto le donne e che continua a farlo, laddove ancora oggi le donne all’interno delle cosche mafiose continuano a rivestire ruoli di fondamentale importanza. La cronaca più recente è piena di donne che risultano avere ruoli sempre più importanti per la sopravvivenza e la funzionalità dell’organizzazione mafiosa. La loro intraprendenza e capacità di gestire le fila di questo malaffare ha preso sempre più spazio e spesso le abbiamo viste in luoghi di comando. Tutto ciò non giustifica ovviamente il loro operato, sempre di mafia si parla. E di mafia bisogna continuare a parlare per denunciare questa presenza così difficile da sconfiggere. E di mafia bisogna continuare a scrivere e a pubblicare perché non si può abbassare la guardia e nemmeno dimenticare il sacrificio di uomini onesti e di legge che ci hanno lasciato la vita. Oggi la mafia si insinua in tutte le falde scoperte e con modalità sempre più affilate. Falcone ha detto “ Certo dovremo ancora per lungo tempo confrontarci con la criminalità organizzata di stampo mafioso . Per lungo tempo,non per l’eternità: perché la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine “( Cose di Cosa Nostra) L’evoluzione l’abbiamo vista, quella delle donne e delle modalità. Ora mi auguro tanto di poter vedere la fine, con qualche dubbio. Consiglio vivamente la lettura di questo libro perché è un libro appassionante, una scrittura che cattura , una ricchezza di testimonianze tutte vere e davvero interessanti.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

http://www.lettorilettorecensito.flazio.com/blog-details?post=82749

IMMEDIATAMENTE – recensione di Anna Cavestri su Letto, riletto, recensito!

IMMEDIATAMENTE – recensione di Anna Cavestri su Letto, riletto, recensito!

IMMEDIATAMENTE

A cura di Anna Cavestri
Con la traduzione di Francesco Forlani, Miraggi pubblica un cult di non facile recensione. Libro che è una raccolta di pensieri e riflessioni “sciolte ” come fosse  un taccuino di viaggi, frammenti appunto come dice al termine del libro, dopo la parola Fine.
Dietro il libro Immediatamente di Dominique de Roux ora in edizione italiana c’è un curiosa storia di censura politico-intellettuale-editoriale che vale la pena ricordare. Pubblicato in Francia nel 1972, era una sorta di carnet personale, annotazioni di letture, considerazioni, riflessioni, descrizioni, incontri di chi si era già imposto come un enfant prodige delle lettere francesi.
Era un romanziere, un reporter, un editore: un letterato estremamentecompetente, morto appena quarantaduenne, nel 1977. Aveva fondato, nemmeno trentenne, la rivista «Cahiers de l’Herne», giocata per monografie dedicate a figure laterali, maledette e rimosse della cultura europea: ciò avveniva per lo più per basse ragioni ideologiche e spesso per bieche rappresaglie politiche. Stando a quanto ci riferisce nel risvolto di copertina dell’edizione Miraggi, la pubblicazione di questo suo personalissimo diario frammentario, Immediatamente, irritò il mondo intellettuale ed editoriale francese, in primis Roland Barthes, “costringendo de Roux ad abbandonare la Francia per diventare corrispondente giornalistico e autore televisivo”.
Figlio nobile di una famiglia monarchica, errante tra Germania, Spagna e Inghilterra sul finire degli anni Cinquanta, polemico, traduttore, visionario,internazionalista gollista, vagabondo nei primi anni Settanta in Svizzera e Portogallo, si rifugia a Lisbona e si dedica al giornalismo, diventando corrispondente nelle colonie lusitane e intimo amico del discutibile Jonas Savimbi. Nell’aprile del 1974, al tempo della Rivoluzione dei Garofani, è l’unico giornalista francese presente a Lisbona.
A 25 anni, aveva scritto il suo primo romanzo, aveva consolidato una posizione di battitore libero in controtendenza rispetto al proprio tempo: il «nouveau roman» lo faceva “piangere di noia, il maggio francese gli era sembrato una mitomania collettiva, la sinistra intellettuale una tribù antropofaga che faceva carriera sul cadavere del marxismo.”
La prima provocazione ha a che fare con un giudizio su Georges Pompidou, scritto quando quest’ultimo non era ancora presidente della Repubblica: «Pompidou – questa bella Venere di Lapougue della politica francese – sa tutto. Sa come si incula una mosca, come il 15 agosto presentare i suoi ossequi alla Vergine Maria. Conosce pure l’Inferno e i francesi. Porta sulla Francia uno sguardo da veterinario poiché la Francia di Pompidou è una truffa politica». Prende di mira come accennato sopra,Roland Barthes, pontefice massimo dell’intellighentia parigina: «Un giorno, con Jean Genet, mi dice Lapassade, parlavamo di Roland Barthes; di come avesse separato la sua vita in due, il Barthes dei bordelli con ragazzi e quello talmudista dicevo: Barthes è un uomo da salotto, è un tavolo, una poltrona… No, ribatté Genet: Barthes è una pastorella».
L’Eliseo, così come l’Académie a difesa diGenevoix, fecero pressioni sull’editore di Presses de la Citè, Barthes minacciò di procedere per via giudiziaria contro le edizioni Bourgois. Risultato: la pagina relativa a quest’ultimo venne tagliata via dalle copie ancora in deposito e, su mandato imperativo dell’editore, i librai fecero lo stesso con le copie in loro possesso, de Roux venne licenziato in tronco da Presses de la Citè e si ritrovò messo praticamente alla porta da quella stessa casa editrice che aveva contribuito a fondare. Immediatamente, ha i pregi e i difetti dei libri fatti di frammenti. Nomi, luoghi e bersagli polemici che al momento sembravano importanti, si rivelano con il tempo di circostanza, e le stesse provocazioni che allora lo fecero mettere all’indice, oggi rischiano di apparire incomprensibili Vissuto in un Novecento in cui l’homo ideologicus teorizzato da Cochin per spiegare la Rivoluzione francese e il Terrore aveva ormai raggiunto la sua piena maturità, de Roux venne etichettato dai suoi nemici come «fascista», cosa che nel libro si legge con questa considerazione: «Mi viene voglia di presentarmi così: Io, Dominique de Roux, già impiccato a Norimberga». Quell’etichettatura faceva del resto parte di una singolare inversione del vocabolario: «Il mercenario diviene volontario, l’agente speciale un consigliere, il questurino un patriota, i corpi di spedizione l’aiuto al Paese fratello, l’aggressione deliberata, un’assistenza militare per abbattere la reazione. Il tutto con L’Internazionale in sottofondo».
C’è nel libro un lungo giudizio di Romain Gary a questo proposito, proprio perché Gary con l’homo ideologicus aveva poco o niente da spartire. Scrive bene de Roux, dice Gary, «un autentico scrittore», ma il suo piglio polemico rimanda non tanto a una «questione di fascismo di fondo», quanto a un «fondo fascista». Che però, ammonisce, non esiste: «Il fascismo è sempre stato un contenitore che soffre del vuoto interiore, del suo vuoto, ecco perché può trasformarsi facilmente in fosse comuni. I cadaveri fanno sempre molto contenuto». Ancora Gary : è tempo che De Roux affronti «non altri ma se stesso con ferocia, coraggio e senza pietà. Io è un contenuto che lo chiama, il grande appuntamento letterario è con lui».
Immediatamente è sotto questo aspetto la risposta che proprio Gary avrebbe voluto. Nelle parole di Forlani ( il traduttore): “De Roux non solo fa parte della tradizionedegli infrequentabili del Novecento, ma potremmo dire che sia stato il primo a intuire, di quelle nature scomode e insieme necessarie alla cultura occidentale (Céline, Artaud, Pound, Gombrowicz, Bernanos, tra gli altri), il ruolo di visionari, una grandezza da proteggere a tutti i costi […]. La vocazione di de Roux è in questa funzione vitale di conservazione, diffusione, traduzione e allo stesso tempo crescita parallela della parola che da materiale diventa quasi subito spirituale, corpo a corpo, senza risparmiarsi”.
La bellezza – e anche la forza – di Immediatamente è data dal senso di incompiutezza che pervade tutto il volume. Frammenti che devono essere interpretati, parole che richiamano a un’infinità di parole non scritte, attacchi al moralismo in cerca di una libertà nuova, profondamente soggettiva, che Dominique de Roux nei suoi libri e nei suoi articoli ha ricercato per tutta la vita.
Titolo: Immediatamente
Autore: Dominique De Roux
Edizioni: Miraggi
Pagg.: 256
Prezzo: € 18,00 (in e-book: € 9,99)
Voto: 8
QUI L’ARTICOLO ORIGINALE: