VIT(AMOR)TE – recensione di Felicia Buonomo su Carteggi letterari
Leggere Valeria Bianchi Mian significa entrare in un cumulo di immagini, ricordi, luoghi, moti emotivi. Ma non è confuso e indistinguibile nei suoi elementi. È al contrario allineato, così come le carte dei Tarocchi di cui l’autrice parla nella sua introduzione: «I tarocchi li ho presi in mano da ragazzina […] è possibile che siano le carte a possedere me in un rapporto di reciproca benevolenza e orientamento, come bussola onirica e poetica». L’autrice firma questo importante testo poetico, che attira l’attenzione già dal titolo, che non ha bisogno di essere spiegato o interpretato: “Vit[amor]te. Poesie per arcani maggiori”, edito da Miraggi Edizioni, perché è proprio quello l’invito al lettore, sembra di capire: spingersi nell’interconnessione dei mondi.
E allora tra le immagini del matto, la papessa, l’imperatrice, l’appeso (la cui poesia annessa a quest’ultimo, è stata finalista al secondo premio Alda Merini 2018) e tanto altro, l’autrice ci accompagna in un percorso immaginifico, dove accogliamo il suo invito a cercare (in esergo l’autrice: “A te che vai cercando”. ). A leggere la poetessa, la ricerca non risulta vana, troviamo anche quello che da subito non percepiamo: «ad ogni mia convinzione / aggiungo / un punto di domanda».
E l’approdo al forziere, sia esso un ammasso di interrogativi, o di conferme, ognuno saprà capire in cosa consiste la propria libertà di possesso, lo si deve alla capacità erudita di condurre che contraddistingue Bianchi Mian.
Ci sono passaggi, nella raccolta, che esortano alla riflessione esistenzialista che ricorda la filosofia Sartriana, nell’esposizione di un tempo che sfugge, che non permette la presa, «L’ora persa tra le due e le tre / pensando di vivere a lungo / sommando altre ore e ore al tempo», dove l’interrogativo ci porta sul rapporto spazio-tempo, «me bambina + / me adolescente / + me adulta = / lo spazio illegale del Sé?».
L’autrice dà al lettore senza sfoggio, dona come se stesse prendendo, ricordando un intenso passaggio narrativo dello scrittore libico Hisham Matar. O – per rimanere in un ambiente più vicino alla sua formazione, benché non proprio aderente al percorso nel quale ci accompagna («…Ben più di quanto io mi senta attratta dai popolari marsigliesi o dal percorso intrapreso da Jodorowsky, pur apprezzando la vitalità e l’energia di quest’ultimo, seguo l’anima delle artiste che hanno progettato i Rider-Waite-Smith e i Crowley-Harris, scrive) – sembra seguire l’invito del noto Jodorowsky, quando ci dice che “quello che dai, lo dai a te, quello che non dai, lo togli a te”.
E allora noi leggiamo con precisione e calma, perché come ci ricorda l’autrice «la fretta / ti porta alla soglia / prima degli altri / ma non vinci niente». Cercando di addentare l’arcano, per svelare e scoprire la natura dell’umano sentire.
Il Bagatto
- Aborro (andante con grido)
Aborro
l’induzione al bisogno
le multinazionali del disagio.
Aborro
il marketing del nulla
nel Nulla che avanza
e avanza
e t’induce al bisogno
del nuovo modello di ciocco-merendina
del panno impermeabile pulisci macchie invisibili
del dopo dopo-balsamo per i peli delle ciglia
dell’esaltatore di sapidità per gli zombie
che camminano nella ciotola del gatto
dei sogni da far nascere con l’utero in affitto
dell’attico ignifugo su Marte
dello yogurt rossoblu dell’Uomo Ragno
del leviga occhiaie gel multifunctional iperattivo
del dentifricio all’uranio impoverito
del divaricatore per allargare le dita dei piedi
del bambolo gonfiabile che ripete
non sei sola
non sei sola
(non siamo soli).
Aborro
le luci al neon dei centri commerciali
la puzza emanata dal girarrosto del pollo a terra
la terra bruciata, dickensianamente desolata
ed io
in maschera antigas di pizzo e latex
induco me stessa al bisogno
d’indurmi il più possibile al bisogno
del non aver bisogni.
Induco me stessa all’umano
vicino di casa d’umano
e suono
per un po’ di zucchero.
- L’oltreuomo
Conosco l’uomo teso all’oltreuomo
ambiziosamente imperante, perfetto
geneticamente modificato, a effetto.
Di ogni gesto è il padrone, re del DNA
Dio sulla Natura, l’assoluto Signore.
Gli alberi del futuro cresceranno dritti
in fila indiana, marionette con regole
precise, l’orma dell’uomo sulla forma.
Gli animali estinti e quelli sopravvissuti
pascoleranno gli zoo in terre asettiche.
L’amore sarà matematica, eugenetica.
Non posso insegnare
all’apprendista.
Ho soltanto il sentore del sentimento.
Ho la visione del visualizzare la vista.
La percezione del percepire la pietra.
So
che l’irregolarità, l’errore, lo sbaglio
sono gli ori, i rei tesori della sapienza
e so
che quando la perfezione si rivelerà
geneticamente dotata d’imprevedibile
io sarò tra quelli
che ridono per ultimi.
Valeria Bianchi Mian
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