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“L’uomo tagliato a pezzi. Delitti e processi dei “favolosi” anni Sessanta”: la recensione di Bruno Gambarotta su Torinosette

“L’uomo tagliato a pezzi. Delitti e processi dei “favolosi” anni Sessanta”: la recensione di Bruno Gambarotta su Torinosette

Incombono le celebrazioni del ’68, è bene non farsi trovare impreparati”, esorta Enrico Deaglio, presentando il suo “Patria”. Ci aiuta nell’impresa Antonio De Vito che ci racconta cosa furono a Torino i “favolosi” anni ’60 da un singolare punto di vista, la Corte d’Assise, che allora era nella Curia Maxima in via Corte d’Appello. Il nuovo Palazzo di Giustizia, intitolato a Bruno Caccia, sarebbe entrato in funzione solo nell’aprile del 2001. Antonio De Vito è stato fino al 1969 cronista giudiziario per la redazione torinese de “L’Unità”, passando poi a “La Stampa” dove ha lavorato fino al 1994. Il suo libro, pubblicato da Miraggi Edizioni, nel titolo ricorda il caso più clamoroso di quegli anni, “L’uomo tagliato a pezzi”. A Chivasso nella sera del 19 settembre 1962, Ignazio Sedita, 28 anni, appena uscito di prigione, si presenta nella misera casa della famiglia Montalbano dove si trova sua moglie con i parenti e lì viene ucciso. Sono in tanti in quella casa, il cugino Giuseppe La Bella dirà: “Ignazio è stato colpito mentre lottava avvinghiato a me. Io l’ho soltanto fatto a pezzi”. Che saranno ficcati in due valigie di cartone; caricate su un taxi diretto a Savona, saranno poi gettate in una roggia a Ceva.

De Vito riproduce nel libro le sue cronache avvolgendole in “lembi di memoria personale dispersa nel tempo” e restituisce con un suono di autenticità il clima di quegli anni. Non si parlava di cellulari, indagini sul Dna, telecamere di sorveglianza, e la teleselezione sarebbe entrata in uso nel 1970. Era ancora in vigore il fermo di polizia: i tre sospettati dell’omicidio di una gioielliera si presentano rei confessi dopo tre giorni di pestaggi e maltrattamenti nelle celle di sicurezza e per loro fortuna finiranno assolti. I mali della giustizia, lamentati durante le cerimonie di inaugurazione dell’Anno Giudiziario, sono rimasti gli stessi 50 anni dopo. In compenso certi procedimenti ci sembrano lontani anni luce. Il 26 giugno 1963 l’editore Giulio Einaudi, insieme ai tre autori dei “Canti della Nuova Resistenza Spagnola”, è imputato di offese al pudore e vilipendio della religione per due quartine. Quella del vilipendio è assolta per amnistia, per l’altra Sergio Liberovici e Michele Straniero sono condannati a 2 mesi e il libro confiscato. Sfilano nel libro i principi del foro e troviamo storie esilaranti, come quella dell’imputato che riesce a fuggire dall’aula mentre i giudici sono in camera di consiglio.
BRUNO GAMBAROTTA