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Claudio Marinaccio: l’intervista di Guido Barosio su Torino Magazine

Claudio Marinaccio: l’intervista di Guido Barosio su Torino Magazine

Il suo terzo libro – ‘La folle storia del kamikaze che non voleva morire’ (Miraggi Edizioni) – promette di essere uno dei casi più interessanti di questa estate letteraria. Di lui Darwin Pastorin ha detto: “è uno scrittore maradoniano”. Claudio Marinaccio, classe 1982, un autore che esplora volentieri anche le rotte del giornalismo, dopo aver scritto per GQ, Donna Moderna e Il Mucchio Selvaggio collabora con Wired, Io Donna del Corriere della Sera e La Stampa. Da qualche tempo è tra le firme scelte dal quotidiano di Maurizio Molinari, insieme a Mattia Feltri e Giuseppe Culicchia, per raccogliere l’eredità del ‘Buongiorno’ di Massimo Gramellini. Il suo personale ‘Buongiorno Torino’ è dedicato alla provincia che sui affaccia sulla grande città, tra realtà ironica e un pizzico di surreale. Se i due libri precedenti – ‘Come un pugno’ (Aliberti) e ‘Non disturbare’ (Miraggi Edizioni) – hanno raccolto un buon successo è col terzo che le ottime recensioni confermano l’originalità di un percorso personale, originalissimo, fatto di storie taglienti, spiazzanti, dove il lettore affronta vicende terribili ma sempre piene di ironia. «Il libro è composto da undici racconti – ci spiega – dove i protagonisti vanno incontro ad un destino che non lascia scampo, ma loro si ribellano, vanno avanti nonostante tutto anche quando sono beffati, Nei miei personaggi c’è quella voglia di sopravvivere che ogni essere umano scopre di fronte all’inaccettabile. Ma non sempre basta, e io lo racconto».

Storie torinesi?
«No, universali. Gotiche e amare. Molti luoghi sono legati ai miei viaggi, da Parigi all’Abruzzo, dal sud della Francia al Cile, per arrivare agli Stati Uniti dei miei panorami letterari o cinematografici».

Che rapporto hai con Torino?
«Amo Torino, ma la vedo in prospettiva, perché vivo in provincia, a Villarbasse. Vado in città ogni giorno, con la mia moto ci metto pochissimo, ma alla sera mi piace tornare in un posto dove ci sono gli alberi e le case sparse, dove si sentono le voci distinte e i cani abbaiare. A Torino, come in ogni città, c’è sempre un rumore di fondo, ed è una sensazione profondamente diversa. Vivendo questi due ambienti nella medesima giornata si colgono meglio le differenze, e ci si sente a proprio agio in entrambi. Sono un provinciale metropolitano e questo penso sia un privilegio. Per uno scrittore è un doppio punto di vista, fonte di spunti e di ispirazione».

Cosa ti piace della provincia?
«La provincia è un territorio intimo e concreto, fatto di cose tangibili e visibili. E’ un luogo che profuma di antico, dove si gode di una realtà minimalista estremamente interessante. In provincia contano gli individui, li vedi uno per uno mentre fanno le loro cose, li incontri al bar dove ogni giorno si commentano i fatti, anche quelli grandi, ma sempre con le medesime persone. E poi quella di Torino è una provincia grande, la più grande d’Italia, circondata da montagne che vedi sempre, che identificano il paesaggio e forse anche il carattere della gente».

E invece Torino?
«Torino ha una identità molto forte e una doppia anima: elegante e underground, ci sono i palazzi della storia, ma anche le tante vivacità di una cultura urbana che ha offerto e offre molto nella musica, nel cibo e nell’arte. Torino non è come le altre città italiane, è molto più europea, anche geograficamente».

Hai vissuto un anno in America Latina, cosa ricordi di quell’esperienza?
«Quando ho conosciuto mia moglie, Javiera, nel 2006, ci siamo trasferiti un anno in Cile. E’ stata una bella esperienza, ma poi abbiamo deciso di tornare. Ho scoperto di amare l’Italia ancora più di prima proprio restando lontano da casa. Sono convinto che in nessun paese del mondo si ami la vita come da noi. Al rientro ho deciso che avrei fatto lo scrittore a tempo pieno. Una decisione che ho preso anche per mio figlio Carlos, io scrivo per lasciare qualcosa a lui».

Cos’è per te la scrittura?
«Mi piace la lucida follia che trovo in certi scrittori. Come per molti autori latinoamericani e statunitensi amo partire dalla quotidianità per arrivare al misterioso e al surreale. E poi c’è un altro aspetto fondamentale: la scrittura è allegria, piacere, diffido degli autori tristi. Quando vado nelle scuole insegno ai ragazzi che questo è il lavoro più bello del mondo e gli dico che per scrivere serve leggere, leggere tanto. Il mio primo libro vero è stato ‘Il bar sotto il mare’ di Stefano Benni. L’ho preso tra le mani a 13 anni e ho scoperto che ci si può divertire molto leggendo».

Granata o bianconero?
«Juventino, ma la responsabilità è stata di mio padre. Nel 1992, dopo aver visto Mondonico sollevare la sedia ad Amsterdam, gli dissi detto che volevo tifare Toro. Lui mi ha risposto che non dovevo più chiamarlo papà e che avrei potuto rimanere in casa, ma senza mangiare a tavola con loro. Così ho cambiato idea».

Ti piacciono altri sport?
«Ho praticato il pugilato e alla boxe ho dedicato il mio primo libro. In quello sport si legge tutto il dramma della vita e si conduco allenamenti devastanti, una vera lezione. Tanti ti chiedono: ma come fai a prendere a pugni gli avversari? E tu gli spieghi che, salendo sul ring, il primo problema è un altro: quei pugni, innanzitutto, non devi subirli. Poi amo molto il basket e sono una grande tifoso dell’Auxilium. Nell’ultimo anno ho stretto amicizia con Sasha Vujacic, un personaggio straordinario. Lui, che ha vissuto a Los Angeles e Istanbul, trova Torino molto bella, una città a misura d’uomo».

Essere scrittore o fare il giornalista, cosa preferisci?
«Non ho dubbi: io sono uno scrittore. Se vuoi, prestato al giornalismo. In assoluto mi piace raccontare storie, anche nei miei articoli, o sui social, faccio questo e in questo mi riconosco».

Oltre alla lettura come vivi il tuo privato?
«Il mio tempo migliore lo dedico alla scrittura, alla lettura e alla televisione, dove seguo con passione le serie stand up americane, politicamente scorrette e, proprio per questo, irresistibili. I momenti più preziosi però sono quelli dedicati alla famiglia, la mia band. L’educazione di Carlos è un costante punto di domanda. Mi chiedo spesso se, almeno qualche volta, occorre renderlo infelice per farlo crescere».

Il prossimo progetto?
«Sta prendendo corpo e si intitola ‘Non disturbare’. E’ una lettura ironica del nostro quotidiano, fatto di disturbatori incalliti, che bussano alla nostra porta dai call center, dai social, dalle chat di whatsapp, sotto forma di Testimoni di Geova. Per sopravvivere occorre arginarli e l’ironia può essere l’antidoto più efficace».

intervista di Guido Barosio pubblicata su Torino Magazine

Non disturbare: due risate d’autore. La recensione di Simona Scravaglieri su Letture Sconclusionate

In queste ultime settimane vi ho parlato un po’ di tutto: gialli, romanzi, thriller, saggi sulla vita di grandi personaggi e via dicendo. Ieri mi domandavo cosa mancasse e poi mi è venuto in mente che io, ultimamente, ho letto anche alcuni libri divertenti. L’aspetto bello di leggere un libro divertente è non solo che ridi dall’inizio alla fine ma che anche, se ben scritto, rimani con quella bella sensazione di aver avuto e di essertela pure goduta. Questa è la storia di un autore capellone e figo, che gira in moto e che si inginocchia solo davanti ad un re, suo figlio. E’ la storia di casa Marinaccio dove arrivano telefonate dei call center che ti vogliono vendere la qualunque e di un citofono gettonatissimo da venditori di robe varie e compratori di anime per la propria congrega. E’ la storia di come affrontare diversamente la pesantezza della vita moderna anche se guardandola questa vita, a volte, pare di scorgere anche il passato da cui viene. Questa è la storia che raccoglie post pubblicati per divertimento che poi sono diventati un libro spassosissimo che fa piacere anche rileggere. Cosa c’è in questo libro insomma? Non una storia unica ma una serie di dialoghi surreali intervallati da dei piccoli racconti che sono dei castoni estremamente affascinati. Immaginate che in una casa vi siano due coniugi, nell’altra stanza sentite il loro figlio mentre mugugna concentrato sul gioco che sta facendo. Squilla il telefono di casa e lei sospira quando vede il marito partire di gran carriera per andare a rispondere. Lui alza la cornetta e si pregusta tutti i possibili modi per poter ingarbugliare la precisa scaletta che ogni operatore deve per forza seguire per poter costringere il malcapitato ad acquistare quello che sta vendendo. Ecco, questo è quello che immagino avvenga giornalmente in casa Marinaccio. Il resto come i dialoghi, la perplessità del povero operatore incappato in questa situazione surreale o il testimone di Geova che ha citofonato al campanello -che si sa essere l’antro della prova più ardua della sua vita-, è tutto scritto da Claudio e, sebbene sia fatto di botta e risposta velocissimi e che non danno scampo, il tutto è davvero divertente.

Ecco se non siete pronti ad accettare che si possa comprare un buon libro possa anche suscitare ilarità avete un concetto ben strano della letteratura. Se c’è una cosa che ricordo come la prima volta che l’ho letto, è le risate che mi sono fatta quando leggevo dell’annosa lotta per smettere di fumare ne “La coscienza di Zeno” e come mi sono stupita che un “classico” potesse esser così divertente, non tutto d’accordo, ma quel pezzo era davvero spettacolare. E Claudio ce lo dimostra con quelle piccole ma sentite piccole foto di situazioni, che ci racconta a puntino, in piccoli capitoli che intervallano i dialoghi. Non è solo un interrompere il ritmo dell’ironia, ma è un vero e proprio momento di relax fra lettore e scrittore  a dimostrazione che la realtà ci riserva più di quel che ti aspetti e che suscita emozioni solo se la si sa raccontare senza orpelli di sorta. Così la coppia anziana che mangia al ristornate, il saccente del bar e via dicendo, tradiscono il senso del mondo che passa e ci permettono di guardare in faccia un’altra epoca e un altro modo di pensare. Non è che non si evolva, ma solo che, ad una certa età, non si è più flessibili come una volta – sia fisicamente che intellettualmente – e certe volte l’adattamento richiede più volontà e tempo del previsto.

A questo fa da contraltare la considerazione che il marketing stia impoverendo il mondo della vendita e l’uomo in generale. La normalizzazione dell’uomo e l’incasellamento in tipologie di utenza fanno sì che l’operatore non possa inizialmente e non voglia successivamente andare oltre la strada che gli viene imposta. Diventa difficile capire che chi stai chiamando è una persona e che devi interagire con lei per arrivare al nocciolo duro e poter vendere. Così quando l’operatore che immagina e rappresenta nitidamente Marinaccio arriva a chiamare proprio lui la contrapposizione fra marketing e uomo diventa come quella fra ordine limitante e caos creativo. Inutile che vi dica chi vince. Dei dialoghi qui riportati solo alcuni sono usciti su FaceBook e hanno avuto un gran successo e io non nascondo che, contrariamente alla mie abitudini, ogni tanto vado sulla bacheca di Claudio a vedere se ne ha pubblicato un altro. La scrittura è fresca, ritmata e divertente. Non è eccessiva, l’alternanza fra dialoghi ironici e i piccoli castoni è ben dosata. Ben scritto, nessuna parola più del necessario serve né per la battuta e tanto meno per i momenti un po’ più seri. Nella speranza di non ritrovarmelo davanti a qualche cantiere, ne sarebbe capace, a commentare con i nonnetti lo stato dei lavori, io vi consiglio di darci uno sguardo a questo libro, di certo non lo rimetterete giù. Ricordate che una risata non ha mai fatto male a nessuno.

https://letturesconclusionate.blogspot.it/2017/10/non-disturbare-claudio-marinaccio-due.html?m=1Simona

Non disturbare: la recensione di Simona Scravaglieri su Letture Sconclusionate

E ripartiamo questa settimana dall’ultima recensione della scorsa, sbirciando nel libro di Claudio Marinaccio “Non disturbare”. Il bello di questo libro è che, non essendo un romanzo, ma una raccolta di dialoghi e racconti si può leggere anche un po’ per volta mentre il problema è che, come inizi a leggerlo, è talmente divertente che non lo metti più giù fino all’ultima pagina. Come detto è un modo diverso con il quale guardare a tutto ciò che ci da fastidio abitualmente: i call center, i venditori porta a porta, i testimoni di Geova, i tuttologi e chi più ne metta. Possiamo scegliere di subirli o seguire l’esempio di Claudio che, a quanto pare, coglie l’opportunità per ridicolizzare, con lo stile e il semplice buon uso dell’italiano, tecniche di marketing che sono diventate obsolete e controproducenti e che però in Italia vengono ancora utilizzate largamente nella speranza che il malcapitato abbocchi.
Si legge bene questo libro, in parte perché, Marinaccio, ha dalla sua l’esercizio continuo nello scrivere pezzi per riviste online e cartacee -e quindi ha quella naturale propensione dei giornalisti a individuare e perseguire il punto di quello che si racconta in poco spazio- e per il resto perché riesce a tenere un ritmo incalzante, a sottolineare lo scambio di battute, e a rallentarlo ove occorre, per evidenziare immagini particolari.
Come titolava il libro di Sini premiato allo strega qualche anno fa “Resistere non serve a nulla”, a buon intenditore poche parole!
https://letturesconclusionate.blogspot.it/2017/10/dal-libro-che-sto-leggendo-non.html

Letteratura russa, il miraggio di Venedikt Erofeev. E poi Roberto Saporito, Claudio Marinaccio e Nicola Manuppelli. La recensione di Lorenzo Mazzoni su Il Fatto Quotidiano

 

Rappresentante del caos e del postmodernismo d’Oltrecortina, Venedikt Erofeev è una delle più rappresentative incarnazioni della letteratura russa del secondo Novecento. Condusse una vita dissestata, dedita all’alcolismo e all’accattonaggio, segnata da un continuo vagabondaggio di città in città. Scrisse la sua opera più importante, Mosca-Petuškì, nel 1970 (pubblicata inizialmente solo in Israele), in cui l’alter ego di Erofeev vaga per la città come un ubriacone, scoprendo infine la propria dimensione esistenziale.

Da poco è uscita, per la prima volta in Italia, Memorie di uno psicopatico (traduzione di Lidia Perri) per i tipi di Miraggi edizioni, nella collana Tamizdat (mai termine è stato più appropriato, in quanto nel blocco sovietico si indicavano con questo termine le opere, per lo più straniere, fatte circolare clandestinamente, destino che tutti i lavori di Erofeev hanno subito fino alla caduta del Muro).

Memorie di uno psicopatico è una raccolta di diari giovanili che mette in luce i temi dellautodistruzione e dei mali della società contemporanea. Mischiando esperienze autobiografiche con riflessioni filosofiche e grottesche, talvolta assurde e comiche, l’autore riesce a dare un ritratto onesto e impietoso della Russia destalinizzata. Tutto passa attraverso l’alcol. Bere e scrivere sono collegati: una via di fuga dalla pochezza quotidiana ed estasi della libertà emotiva, il lirismo e il cinismo. Una testimonianza indimenticabile di un grande scrittore che già da giovane non faceva sconti a nessuno, a partire da se stesso.

Sempre per Miraggi edizioni sono usciti altri testi interessanti, molto diversi tra loro. Si tratta del nuovo, brevissimo romanzo di Roberto Saporito, Respira, viaggio letterario sulla morte, legato idealmente al crollo delle Torri gemelle, da cui prende spunto il plot, e che investiga, supportato da una miriade di consigli letterari e di citazioni, sull’evasione e sulla libertà spirituale e intellettuale. Non disturbare, di Claudio Marinaccio, dialoghi e riflessioni (più taglienti le seconde) di vita quotidiana. Intoppi di comunicazione che assillano tutti: telefonate con offerte commerciali, i testimoni di Geova, incontri in metropolitana, spalle su cui piangere dopo una delusione d’amore. Quello che dice una cameriera, di Nicola Manuppelli, raccolta poetica incisiva e ritmata che deve molto a scrittori americani contemporanei, di cui l’autore è un importante traduttore e biografo.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/10/03/letteratura-russa-il-miraggio-di-venedikt-erofeev/3891776/

Tutto quel rumore di fondo. La recensione di Marco Patrone su Recensireilmondo

Tutto quel rumore di fondo. La recensione di Marco Patrone su Recensireilmondo

Ho fatto la doppietta di Claudio Marinaccio, dopo il divertente Come un pugno, ho dedicato

un´ora spensierata a questo nuovo Non disturbare, uscito per Miraggi Edizioni.

Il libro è strutturato a piccoli episodi, mutuati su quel mix di parodia di situazioni tipiche (il tormentone degli scocciatori al citofono o per telefono, testimoni di Geova, gestori telefonici, banche) e mini-cronaca di costume che caratterizza anche le attività dell´autore sul suo profilo Facebook. Ritroviamo in effetti anche la stessa voce onesta, a volte cinica, politicamente scorretta, con un certo equilibrio tra sarcastico e amaro/tenero e una modalità schietta e picaresca che potrebbe essere risultato di alcune sue letture americane.

Credo di non offendere nessuno se dico che questo libro potrebbe essere una versione appunto politicamente scorretta delle operazioni tipo “Momenti di trascurabile…” di Francesco Piccolo.
Il tema portante peraltro non è banale, si tratta del surplus di stimoli uditivi e visivi a cui siamo sottoposti: discussioni da bar preferibilmente a voce alta, cold-calling* e ancora scene di cd. ordinaria solitudine da social.
L´altro filo conduttore mi pare essere la cronaca della provincia (i bar, le puntate “in città”) e dei suoitipi, con alcuni esiti che possono ricordare alla lontana il capostipite di questo tipo di satira o ritratto, il Bar Sport di Benni (che però spingeva molto di più sui pedali di satira e parodia, mentre Marinaccio alterna in questi piccoli ritratti “invettiva” anti-luoghi comuni e una certa tenerezza specie per le figure degli immancabili anziani).

In conclusione e nonostante questo ancoraggio nella nostra attualità, penso non si faccia torto all´autore se si afferma che qui egli intendeva soprattutto intrattenere e far sorridere, non produrre particolari approfondimenti su un terreno giornalistico o saggistico.
Se si accetta questa premessa Non disturbare risulta una lettura simpatica e sorridente, conferma quella che è una buona penna e simpatizza con il lettore (o forse viceversa) con la tonalità sincera e scanzonata di chi racconta cose a un amico davanti a una birra o un vino rosso.

 

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*Cold callling è una definizione legale delle chiamate commerciali effettuate senza aver esplicita autorizzazione dal Cliente, qui nel mio paese è pratica considerata piuttosto grave e sanzionata – con gradazioni differenti rispetto a chi le fa, ad esempio per una Banca può comportare multe  salate ma anche conseguenze più gravi – dal libro mi par di capire che in Italia la situazione sia ancora a uno stato piuttosto selvaggio.

POST-SCRIPTUM ALLA MARINACCIO

Non saprete mai se il libro mi sia piaciuto davvero. Peró sai l´autore scrive e recensisce libri per Il Mucchio e Donna Moderna…non si sa mai, meglio tenerselo buono.

http://www.recensireilmondo.com/2017/06/libri-e-recensioni-claudio-marinaccio.html