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Mona – recensione di Alessandra Fontana su La lettrice controcorrente

Mona – recensione di Alessandra Fontana su La lettrice controcorrente

La trama

La peculiare, profondissima, forma d’amore tra Mona, infermiera in un ospedale travolto dalla guerra, e Adam, il giovane soldato che arriva dal fronte con una grave ferita alla gamba, fa qui da collan…

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 – Struggente –

Mona di Bianca Bellovà è stata una scoperta bellissima. Su consiglio di Angelo Di Liberto (fondatore di Billy il vizio di leggere- il gruppo Facebook) acquistai Il lago di Bellovà che è rimasto nella pila dei libri in attesa.

Ho acquistato Mona allo stand di Miraggi al BookPride di Milano, Fabio Mendolicchio mi aveva detto: “Molla tutto quello che hai e comincia Mona, non c’è libro più adatto di questi tempi”. E devo dire che non si è sbagliato.

Mona - Bianca Bellova - Miraggi edizioni

Mona è la commovente (e cruda) storia di un’infermiera in tempo di guerra. Mona è un racconto pieno di orrore, bellezza e dolore, Mona è un romanzo che contiene moltissimi temi e pochissime parole.

Mi è piaciuta parecchio la scrittura di Bellovà: precisa, intensa, apparentemente scarna perché è potente, scorrevole e ammaliante. Ora sì che non vedo l’ora di leggere anche il resto.

Ma torniamo alla nostra storia dai contorni temporali e geografici indefiniti. Bellovà racconta l’orrore della guerra e no, non c’è bisogno di avere le coordinate geografiche per immedesimarsi. Gli occhi di Mona diventano i nostri: ovunque si posino non facciamo altro che vedere sangue, sentire urla… i medicinali scarseggiano, l’odore della morte è così forte che stordisce.

«Nessuno vuole morire» sussurra Mona. «Si sforzano tutti di vivere, di sopravvivere. Si aggrappano tutti alla vita, anche quelli a cui resta solo mezzo cervello e senza una gamba. Nessuno vuole morire».

Mona con i dolori alle ossa, piegata dalla stanchezza, stufa dei soprusi dentro e fuori dall’ospedale, incrocia gli occhi di Adam, soldato che ha appena perso la gamba.

Comincia così una narrazione alternata tra presente e passato. Della nostra infermiera cominciamo a conoscere l’infanzia, traumatica e ingiusta.  Ripercorriamo le bugie, i drammi, la solitudine che hanno cambiato per sempre Mona. La guardiamo diventare adolescente e poi diventare moglie e madre. Errori, rimpianti conditi da apatia e nervosismo. Quanto avrei voluto abbracciare questa bambina costretta a dormire con la luce di notte per non rivivere l’incubo della prigionia.

Ed eccola lì, tra quattro pareti non murate. La stanza – ma poteva chiamarsi stanza? – era completamente buia, senza finestre. Alzandosi in piedi Mona toccava con la testa la botola da cui una volta al giorno riceveva una ciotola di riso e consegnava il recipiente con gli escrementi

Mona - Bianca Bellova - Miraggi edizioni

Ma la storia di Adam non è più facile: i primi amori, le amicizie, quella spensieratezza destinata a non durare  per l’arrivo della guerra. Che cos’hanno in comune Mona e Adam? La dignità. Mentre il mondo fuori viene inghiottito dalla violenza, quella della Guerra, quella dell’oppressione nei confronti delle donne, ecco che loro due conservano la forza dei principi. Fedeli a sé stessi daranno vita un legame in grado di superare ogni orrore.

Bellovà con poche ma precise pennellate ci trascina in una storia che dimostra non solo l’insensatezza della guerra, ma anche la violenza di cui siamo capaci in quanto esseri umani.

Esistono molti tipi di umiliazione, Mona ne conosce a migliaia, per sentito dire e per esperienza diretta. Gli uomini che incrociandola per strada fanno schioccare la lingua. L’impiegato della banca che ticchetta impaziente con la matita sullo sportello, senza prendersi la briga di aprir bocca, quando Mona si attarda troppo a cercare un documento. Gli inopportuni palpeggiamenti sull’autobus. Gli infiniti parlottii, essere chiamata puttana quando esce con la testa scoperta.

Se da una parte siamo invasi da amarezza, sdegno e disgusto, dall’altra Bellovà è in grado di commuoverci, regalando un finale delicato e inaspettato.Uccidi il gallo che in eterno scaccia la notte,Uccidi il gallo che chiama il giorno:dondoliamoci sulle onde del buiofino all’orlo dell’eternità.

Mona è…

Struggente. Ho amato tutto di questo romanzo ma non ho dato cinque stelle perché avrei voluto durasse di più. Ho bisogno di stare ancora in compagnia di Mona e Adam.

In queste settimane sono molte le persone che mi hanno detto di non riuscire a leggere per via del conflitto tra Russia e Ucraina. Comprendo perfettamente, ricordo anche che durante le quarantene molte persone non riuscivano a dedicarsi ai libri. Eppure oggi vi consiglio spassionatamente questo libro perché certo non distrae ma colpisce e ci costringe a calarci in una realtà vicina e spaventosa con un trasporto emotivo che forse prima non avremmo avuto.

Mona per reggersi in piedi beve molta acqua e tè verde. Questa è una guerra, le ripete l’inconscio fino alla nausea, la guerra e così, li porteranno qui finché laggiù ci sarà ancora qualcuno, in prima linea, nelle trincee, tra i fili spinati… Non ha idea di come sia davvero il fronte, le fotografie delle battaglie sono sottoposte a censura e chiedere ai moribondi le sembra senza senso.
Il letto di Adam è per lei l’unico rifugio dall’incessante flusso di uomini sofferenti.

QUI l’articolo originale:

Il bruciacadaveri – recensione di Alessandra Fontana su La lettrice controcorrente

Il bruciacadaveri – recensione di Alessandra Fontana su La lettrice controcorrente

La trama

Praga, 1938-39. La storia del Novecento marcia a passo forzato verso uno dei suoi momenti più critici: il magniloquente Nuovo Ordine nazista, la guerra imminente, la “questione ebraica”, le persecuzioni pianificate, l’invasione dell’Europa. Chi è il signor Kopfrkingl, protagonista di questa storia nera praghese? Un tenero, sdolcinato padre di famiglia, impiegato al crematorio, un uomo che sorride sempre. Sì, in apparenza. Interiormente, invece, è una marionetta dall’animo monodimensionale, dalla volontà larvale, dalla morale astratta e limitata, che vede tutto e tutti come stereotipi. Un uomo intimamente servile per cui il bene è indifferentemente cura e sterminio, felicità e olocausto, la cui idea di paradiso in terra condanna gli altri all’inferno. Lo stile ossessivo e preciso di Fuks sottolinea perfettamente questo aspetto e gli è funzionale. Il bruciacadaveri procede come una partitura con il frequente contrappunto di ripetizioni di nomi e intere espressioni. Lo sguardo alienato e distorto del protagonista, con tracce di macabro divertimento, amalgama un testo di cui si può apprezzare la struttura profonda e la caleidoscopica creatività. Postfazione di Alessandro Catalano.

Attuale

Il bruciacadaveri  di Ladislav Fuks (Miraggi edizioni) è una lettura difficile da raccontare. Un racconto disturbante, dai contorni sfumati come in un sogno, o meglio, in incubo.

Ho comprato questo libro nel 2019 e ha atteso fino a poche settimane fa in libreria (fa parte della sfida dello scaffale strabordante) e sono contenta di averlo letto ma sono sincera: senza la postfazione a cura di Alessandro Catalano, non avrei mai colto la bellezza e la profondità del testo, che non è sempre di facile comprensione.

Il protagonista è Karel Kopfrkingl: odioso, repellente e contraddittorio. Non sopporterete quest’uomo e tutto quello che rappresenta.  Innamorato della moglie in maniera ossessiva, lavora in un crematorio. Ovviamente il suo non è un lavoro come gli altri ma una vera e propria missione.

Ossessionato dalla morte non fa altro che ricercarla tra gli articoli di giornale, tra gli sguardi nel mondo, tra le bare pronte ad essere bruciate. La polvere deve tornare polvere, questa è verità assoluta.

La sepoltura mediante cremazione è assolutamente sicura, e libera chiunque, in modo definitivo, dal timore di ritornare in vita.

Grottesco a ambiguo, si muove in un mondo in cui i personaggi sono trascurabili, quasi finti. Il bruciacadaveri  viene scritto (e letto) con gli occhi del protagonista: le ripetizioni, i rituali, la maniacalità, tutto contribuisce a costruire un quadro inquietante e grottesco.

Siamo a Praga a cavallo tra 1938 e il 39, noi leggiamo questo libro con il senno di poi. E la contraddizione di Karel è quella che ci stranisce. Marito premuroso ma ipocrita, continuerà a farsi visitare da un dottore per paura delle malattie veneree, è un fanatico travestito da mediocre. Un simbolo dell’orrore più buio della storia del Novecento.

La follia collettiva, l’indifferenza, la banalità del male… Il bruciacadaveri racchiude i grandi temi con cui molti scrittori si sono misurati, ma Fuks lo fa in maniera inedita, creativa, inquietante  sì, ma a tratti anche divertente.

Dopo cena il signor Kopfrkingl baciò la sua celeste e disse:

«Vieni, ineffabile, prima di spogliarci, prepariamo la stanza da bagno.»

E prese una sedia e andarono, la gatta li guardava.

«Fa caldo qui, » disse il signor Kopfrkingl nel bagno, e mise la sedia sotto il ventilatore, «forse ho esagerato con il riscaldamento. Accendi il ventilatore, cara.»

Quando Lakmé salì sulla sedia, il signor Kopfrkingl le accarezzò il polpaccio, le gettò il cappio al collo e con un tenero sorriso le disse:

«E se ti impiccassi, cara?»

Lei gli sorrise dall’alto, forse non aveva capito bene le sue parole, anche lui sorrise, calciò via la sedia ed ecco fatto.

Le cose si complicheranno quando l’antisemitismo entrerà nelle vite dei protagonisti del romanzo, tra promesse di promozione, scelte, dolori… e adesso sarei crudele io a raccontarvi di più.

Il bruciacadaveri è…

Attuale, in maniera sconcertante. C’è una frase che i personaggi ripetono spesso durante la lettura ed è questa:

La violenza non paga per nessuno. Con essa si può tirare avanti solo per un breve periodo, ma non si può scrivere la storia. Viviamo in un mondo civilizzato, in Europa, nel Ventesimo secolo.

Forse è anche quello che ci ripetiamo noi quando leggiamo alcune notizie sul giornale come i protagonisti de Il bruciacadaveri, forse è quello che speriamo quando il clima di odio intorno a noi si fa insopportabile, forse è la scusa per non intervenire quando vediamo la violenza.

Il bruciacadaveri è sicuramente un libro di grande spessore e sono contenta che Miraggi sia riuscita a ripubblicarlo. Un romanzo che dovrebbero leggere tutti, perché è facile dimenticare, difficile prendere una posizione diversa.

Sono sincera però, pensavo che avrei fatto meno fatica ad entrare nella storia e invece non riuscivo ad orientarmi, spesso perdevo il filo. Benedette siano le analisi degli esperti quando ci si trova di fronti a testi importanti.

Consigliato per chi vuole leggere qualcosa di diverso su un tema letto e riletto. Per chi è in cerca di una storia particolare, angosciante e stridente. Il ricordo del protagonista sorridente e malvagio non vi lascerà in pace molto presto.

QUI l’articolo originale:

Il richiamo del dirupo – recensione di Alessandra Fontana su La lettrice controcorrente

Il richiamo del dirupo – recensione di Alessandra Fontana su La lettrice controcorrente

Frammenti

Il richiamo del dirupo di Mìcol Mei è un libro breve, particolare e intenso. Difficile collocare in un genere un racconto così, composto da frammenti, suggestioni, emozioni e ricordi.

L’atmosfera è ammantata di mistero e io ho pensato subito, lo so anche se non c’entra quasi nulla, a Shirley Jackson e al suo L’incubo di Hill House. Anche ne Il richiamo del dirupo infatti la protagonista sembra essere una casa assai particolare, una casa che inghiotte e trasforma i suoi personaggi.

Raccontare Il richiamo del dirupo è difficilissimo perché il pericolo “spoiler” è sempre dietro l’angolo e io ovviamente non voglio rovinare la sorpresa a nessuno. Degno di nota è il modo di raccontare la storia. Il lettore si trova sempre di fronte a un registro diverso: ci sono descrizioni tradizionali, canzoni, diari… Il richiamo del dirupo è un racconto in costante movimento.

Se all’inizio crediamo di trovarci di fronte a un horror, con l’andare avanti delle pagine scopriamo che non è proprio così. La seconda metà del libro esplode e si trasforma in qualcosa di completamente diverso.

Il richiamo del dirupo racconta la storia di una casa in stile vittoriano a picco sul mare. Un giorno il proprietario, Felice Hernandez, decide di ingaggiare un agente immobiliare per affittare la casa. E fin qui direte: cosa c’è di strano? Gli inquilini dovranno avere particolari caratteristiche e infatti gli ospiti della casa di Hernandez saranno quattro persone diversissime e soprattutto tormentate da qualcosa.

Nell’inquietante casa prenderanno posto una donna che ha perso la figlia,  uno scultore, un’ ex tennista e un ragazzo affetto da una rara malattia.  Ed è qui che comincerà per loro un percorso attraverso ossessioni, vendette e ripicche.

(…) ciò che colpì maggiormente il giovane furono però delle vecchie foto appese con cornici d’epoca. Ritraevano quelli che avevano tutta l’apparenza d’essere vecchi attori d’inizio secolo, quando tradizionalmente ci si aspetterebbe di trovare fotografie di parenti e famigliari.

In questa casa nulla è lasciato al caso: le stanze degli ospiti sono arredate secondo un’intenzione precisa. Nessuna è uguale ad un altra, proprio come nessun dramma assomiglia a un altro.

Se ho imparato una cosa buona da lei, è che la tragedia col passare del tempo diventa farsa, perciò tocca sorridere quando grandina.

Il richiamo del dirupo è…

Frammenti. Mei compone un puzzle avvincente e spiazzante. All’inizio si può fare un pochino di fatica perché la narrazione non è tradizionale. Questo è sicuramente l’aspetto che ho apprezzato di più. Mi è piaciuta la tensione crescente quando entrano in scena i personaggi e l’idea di immergerli, come se fosse in un esperimento, in un ambiente pronto a far emergere le loro fragilità e addirittura di ribaltare le convinzioni che avevamo su di loro.

Quello che mi è piaciuto meno è stata la brevità. Avrei voluto rimanere ancora un po’ in loro compagnia e magari aggiungere qualche pagina mi avrebbe fatto innamorare di più. Ma lo sapete, io amo i mattoni e non faccio testo.  Ringrazio AldoStefano Marino e l’autrice per avermi mandato la copia. Miraggi ancora una volta si è distinta pubblicando un romanzo nuovo, insolito e godibilissimo.

Consigliato per gli amanti delle storie inclassificabili, per quelli che sono in cerca di storie particolari e mai banali, per chi non si accontenta e vuole essere stupito.

QUI l’articolo originale:

Pontescuro di Luca Ragagnin è un libro che ho divorato! – Recensione di La lettrice controcorrente.

Pontescuro di Luca Ragagnin è un libro che ho divorato! – Recensione di La lettrice controcorrente.

RECENSIONE: Pontescuro (Luca Ragagnin)

RECENSIONE: Pontescuro (Luca Ragagnin)Valutazione: four-stars

Pontescuro di Luca Ragagnin
Illustratore: Enrico Remmert
Pubblicato da: Miraggi Edizioni il 15 febbraio 2019
Genere: Fiction, General, Narrativa italiana, Narrativa contemporanea
Pagine: 160
ISBN: 9788833860411
ASIN: B07NQ4BT76

La trama

C’era una volta, nella bassa padana, un pontescuro costruito con pietre, sangue e nebbia, in mezzo al vuoto dei campi. Intorno al ponte, sulle due rive che annoda, sono sorti poi un castello, dove abitano da sempre i padroni, e un villaggio

– Poesia – 

Presentazione Pontescuro di Luca Ragagnin - Miraggi edizioniPontescuro di Luca Ragagnin (Miraggi edizioni) è un libro che ho divorato. Durante la presentazione a Una Marina di libri sono rimasta molto colpita da Pontescuro. L’autore, presentato da Angelo Di Liberto, ha letto dei passi del romanzo e la natura, le foglie e gli uccelli, hanno accompagnato la lettura. Un momento che non scorderò.

Quando ho cominciato il libro, terminato in un solo giorno perché nulla poteva distogliermi dalla storia, da quelle voci che non potevo ignorare, me lo aspettavo proprio così: intenso, dalla prima all’ultima riga.

Ho vissuto sensazioni molto diverse. Da una parte sono stata cullata da una prosa che è poesia, e dall’altra mi sentivo costantemente turbata.  Proverò a raccontarvi Pontescuro  anche se non sarà facile.

Avete presente la nebbia? Dicono che faccia del male alle persone. Sono quelle dicerie che nascono un giorno, non si sa come, e poi quel giorno si perde nel tempo. Nella notte del tempo, anzi, nella nebbia del tempo. E così le origini di un’affermazione così forte, così perentoria, svaniscono, come dire, nel tempo.

Pontescuro - Luca Ragagnin - Miraggi edizioniPontescuro è un luogo in cui ogni elemento ha la sua voce. A chi piace pensare che le cose che abbiamo toccato, vissuto,  conservino tracce di noi?  A me sicuramente. Questo è un argomento che mi sta molto a cuore e che mi fa tornare in mente Pavese e la sua famosa citazione sui paesi che restano ad aspettarti perché hanno qualcosa di tuo, persino l’erba si ricorda di te. E a Pontescuro è così: i ponti, gli alberi, gli uccelli e persino gli scarafaggi hanno una storia da raccontare. Ed è proprio la natura a descriverci l’atmosfera che si respira in quel paese  di campagna nel 1922. Ed è sempre l’ambiente circostante a dare una lezione agli abitanti e a noi…

Dafne è troppo diversa dagli abitanti di Pontescuro che sono grigi, ignavi, schiavi della mediocrità. Prigionieri di loro stessi non comprenderanno mai che la bella Dafne si concede a tutti per disprezzo. E’ un concetto che non li sfiora nemmeno lontanamente. Perché? Perché sono incapaci di immedesimarsi, l’empatia non esiste.  (Vi ricorda qualcosa?)

«Mi chiamo Dafne Casadio e avrò per sempre ventiquattro anni.
«Sono morta da sette ore.
«No, non quel sentiero, prendete a destra. Sì,  questo. Fate attenzione, si scivola. No, non è ancora acqua, gli argini del fiume tengono bene. E anche se mi piacerebbe, se farebbe di me ciò che in vita non sono riuscita ad essere, non sono nemmeno le mie lacrime. È la nebbia che se ne va, sbavando. Tra poco sarà chiaro e qualcuno mi troverà. Con il mio nastro rosso stretto intorno al collo. È così che sono morta: con un nastro rosso  stretto intorno al collo. Strangolata, diranno. E non è nemmeno di seta, diranno. D’altronde la seta non le sia addiceva. Quella sgualdrina.»

Dafne però non è sola. E’ vero, quando ci racconta la sua storia è già morta, ma non ci sono solo elementi negativi. E’ amica di Ciaccio: lo scemo del villaggio. A Ciaccio voglio bene subito. E’ stato abbandonato da neonato sulla riva del fiume e il suo nome glielo dà il verso degli uccelli (galeotto fu il passo letto a Palermo che mi ha fatto innamorare) . E’ ritardato ma ha il cuore buono e Dafne se ne accorge. La loro amicizia viene descritta con  purezza e incanto. La stessa che adopera Ciaccio per addobbare gli alberi:

Visti da lontano assomigliavamo a un quadro, che per qualche diavoleria si fosse improvvisamente animato. Uno di quei quadri esposti nelle gallerie importanti delle grandi città.

Incuranti delle etichette, felici di abbellire gli alberi con i pezzi di stoffa, Ciaccio e Dafne colorano e stravolgono Pontescuro. Incantano la nebbia, il fiume e tutto ciò che toccano.

Finché… finché Dafne non viene trovata morta. Ovviamente è stato Ciaccio, poteva essere soltanto lo scemo del villaggio. Lo sanno i preti, le pettegole, persino l’investigatore inviato da Roma. Perché farsi ulteriori domande?

Caso chiuso, anche per noi lettori. D’altra parte il punto non è trovare o non trovare l’assassino, far andare d’accordo la realtà dei fatti con quella degli abitanti. L’intento di Ragagnin è un altro. E’ il racconto delle azioni incompiute, delle strade non intraprese,  delle possibilità dimenticate. Ragagnin ci ha descritto l’incompiuto, l’immobilità dell’essere umano.  E alla fine scopriamo che il colpevole lo conoscevamo già dalle prime righe: l’invidia  (sociale, sessuale, sentimentale) accompagnata dalla pigrizia.

Pontescuro di Luca Ragagnin è…

Pontescuro - Luca Ragagnin - Miraggi edizioniPoesia, racconto, riflessione. Ragagnin ci stupisce mescolando elementi diversi: ci sono frasi simili a versi, rumori che rimandano a canzoni… tenerezze e descrizioni che mi hanno fatto pensare ai racconti per bambini ( tra l’altro la storia è accompagnata dalle illustrazioni di Enrico Remmert) e riflessioni dal sapore del saggio. Primo libro che leggo di Ragagnin e di Miraggi, credo che non potessi aspettarmi di meglio.

In Pontescuro ci sono tantissimi temi, è vero la storia è ambientata nel 1922 ma guardando più a fondo si nota che Pontescuro è il luogo oscuro di ognuno di noi. E’ il rovescio della medaglia dei social, è la vita nei paesi ristretti e bigotti, è la malignità che si affaccia ogni tanto dentro di noi. Siamo fatti di azioni incompiute, spesso di ignavia, e  meno male che ogni tanto la natura riesce a riportarci sulla retta via.

Consigliato per chi ha voglia di immergersi in un mondo solo all’apparenza lontanissimo. Per chi ha voglia di tuffarsi in una storia senza pregiudizi. Pronti a lasciarvi togliere la maschera da Ragagnin?

 

four-stars

Luca RagagninLuca Ragagnin (Torino, 1965) è uno scrittore e paroliere italiano.
Incomincia a scrivere racconti e poesie nei primi anni ’80 e a pubblicare su rivista all’inizio dei ’90. Nel 1992 il testo teatrale “Eclisse del corpo” viene rappresentato a Torino e a Bologna presso il Teatro di Leo de Berardinis. Dal 1994 collabora come paroliere con musicisti di varia estrazione. Nel 1995 vince il Premio Montale per la poesia con una silloge inedita, letta nello stesso anno da Vittorio Gassman nel ciclo televisivo “Cammin leggendo” e pubblicata l’anno successivo dall’editore Scheiwiller. Nel 1996 viene invitato al Festival Internazionale di Poesia di Bar, in Montenegro, e un’antologia di sue poesie viene tradotta in serbocroato. Collabora con quotidiani e riviste di vario genere e, dal 1998 al 2003, ha tenuto una rubrica fissa su “Duel”, mensile di cinema e cultura dell’immagine. Nel 2007, insieme a Enrico Remmert, adatta per ii teatro il libro Elogio della sbronza consapevole”. Lo spettacolo viene portato in tournée in Italia e in Francia da Assemblea Teatro. Nel 2009, sempre con Enrico Remmert, scrive “2984”, testo teatrale ispirato a “1984” di George Orwell. Lo spettacolo debutta al Festival delle Scienze di Genova con la regia di Emanuele Conte e la produzione del Teatro della Tosse. Nel 2011 collabora alla stesura di “Operetta in nero”, testo teatrale scritto e musicato da Andrea Liberovici e scrive, con Michele Di Mauro, “Alla fine di un nuovo giorno”, spettacolo commissionato da Torino Spiritualità e portato in scena dallo stesso Di Mauro e dal compositore messicano Murcof. Nel 2012 scrive per Lella Costa “Elsa Shocking”, monologo basato sull’autobiografia di Elsa Schiaparelli Shocking Life, che va in scena il 20 ottobre al Teatro Carignano di Torino. Nel 2014 scrive per Angela Baraldi lo spettacolo “The Wedding Singers”, che debutta al Teatro della Tosse di Genova, con la regia di Emanuele Conte. Le sue poesie sono tradotte in Francia, Svizzera, Portogallo, Polonia, Romania e Montenegro.
È autore di romanzi (Marmo rosso, Arcano 21), racconti (tra gli altri, Pulci e Un amore supremo), testi teatrali (Misfatti unici, Cinque sigilli) e poesie (tra le altre, le raccolte Biopsie e La balbuzie degli oracoli) e testi di canzoni (tra gli altri, per Subsonica, Delta V, Serena Abrami e Antonello Venditti). Con Miraggi ha pubblicato il volume di racconti Musica per Orsi e Teiere, il saggio Capitomboli e, insieme ai Totò Zingaro, la trilogia musicale Imperdibili perdenti, composta dai dischi «Il fazzoletto di Robert Johnson», «Salgariprivato» e «Fiodor», di cui è autore di tutti i testi.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE: https://www.lalettricecontrocorrente.it/recensioni/recensione-pontescuro-luca-ragagnin/