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L’EDOnista – recensione di Angela Vecchione su Exlibris20

L’EDOnista – recensione di Angela Vecchione su Exlibris20

Francesca Angeleri e Alessandra Contin

Scrivere un libro a quattro mani non è semplice, vale per i saggi, per i testi divulgativi. Se parliamo di romanzi la faccenda si complica: incastrare pezzi di storia servendosi di approcci e sensibilità creative diverse. Una sfida. Quando poi la voce narrante è addirittura quella del protagonista sembra quasi impossibile. Se non sacrificando coerenza di stile e credibilità. La voce è la voce.

Invece ci riescono benissimo Francesca Angeleri e Alessandra Contin con L’EDOnista, pubblicato da Miraggi. Angeleri è giornalista freelance e collabora con numerose testate tra cui Il Corriere della Sera e Donna Moderna; Contin è esperta di cultura videoludica e scrive per La Stampa, compare in molte antologie e quaderni di “games studies”. Mondi diversi che in questa riuscita prosa trovano sintesi.

L’EDOnista appunto. Il protagonista è Edo, giovane, bello e dannato di famiglia torinese molto agiata. Casa in collina, servitù, padre fedifrago e madre che nel botulino e nelle fughe solitarie dalla città trova riparo e motivo per andare avanti. Un copione già scritto tante altre volte. Eppure ogni volta diverso.

Quelle del protagonista sono giornate fotocopia, studio, locali, droga, sesso, tutte irrimediabilmente accomunate da una apatia disarmante, che cela rabbia. Pronta ad esplodere e trovare la sua canalizzazione nel padre, dal quale il ragazzo vorrebbe affrancarsi sapendo in realtà di assomigliargli inevitabilmente.

Edo ha tante relazioni, donne quasi prive di identità, non fosse per Viola, sua compagna sin dall’asilo verso la quale nutre qualcosa di simile all’amore. Tutte le altre, alle quali riserva il nomignolo di “Disturbia” e un sostantivo che le differenzia, hanno il comune denominatore della magrezza, aspetto per lui irrinunciabile.

Colpisce che la voce narrante, così egocentrica e in qualche modo sprezzante del mondo femminile alla quale si rapporta, sia frutto dicevamo non di una ma ben di due donne, che si sono alternate nella stesura dei capitoli del romanzo. Il risultato è credibile e, sebbene le due in diverse interviste si siano dette diametralmente opposte nel modo di scrivere, questa prova non ne ha risentito al punto che leggendo sembra di trovarsi di fronte ad un autore solo. Dico volutamente autore non per generica definizione di mestiere che preferisce il sostantivo maschile anche quando ci si riferisce ad una donna. La mano autoriale sembra proprio quella di un uomo. Grande lavoro di astrazione da se stesse e grande lavoro di revisione si immagina.

Fosse un film il primo punto di svolta sarebbe l’incontro-scontro di Edo con il padre al quale un bel giorno rinfaccia tutta la sua assenza, tutto il suo menefreghismo verso un matrimonio nel quale forse si sente costretto e basta. Un momento epifanico in cui il protagonista riversa anni di collera inespressa. Tutta la sua inquietudine cresciuta in un mondo apparentemente dorato. Il secondo punto di svolta sarebbe il suo trasferimento a Londra dopo la laurea: viaggio di formazione che vive come tantissimi giovani alla sua età. La zia Ginevra, sorella minore e molto più giovane di suo padre, è l’approdo dei naufragi emotivi di Edo e colei che gli offre un tetto. A Londra sistema i pensieri, riprende la musica, sua vera passione sin da piccolo, cerca di realizzare se stesso riconoscendo finalmente quali sono i suoi bisogni. Pian piano diventa grande.

C’è tanta Torino in questo romanzo, i luoghi dove la gioventù torinese consuma alcolici e il suo tempo, il Po che fa da spartiacque tra la borghesia della collina e il resto della città, underground e mistica.

Edo è un ragazzo che potremmo incontrare ai Parioli a Roma, in Sant’Ambrogio a Milano, a Posillipo se fossimo a Napoli; è la voce autentica di una gioventù che sente di bruciare le sue stagioni cercando emozioni forti nelle serate estreme, nelle relazioni che durano una sola notte, nell’esaltazione data da sostanze eccitanti.

Tutto al solo scopo di cercare l’unica cosa per cui valga davvero la pena spendersi: il senso dell’essere qui.

QUI l’articolo originale: