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MAZZARRONA – recensione di Loredana Cilento su Mille Splendidi Libri e non solo

MAZZARRONA – recensione di Loredana Cilento su Mille Splendidi Libri e non solo

I cardi ostili di Mazzarrona di Veronica Tomassini

Titolo: Mazzarrona

Autrice: Veronica Tomassini

Edizione: Miraggi

Pubblicazione: 2019

Pagg: 180

Recensione di Loredana Cilento

 

 

“Non volevo tornare a casa. La nostra solitudine morale era il terrore che dominava all’infinito ogni risveglio. Massimo era come me. La differenza era che esauriva il suo terrore con l’eroina. Io non avevo dove estinguerlo. Non avevo pace. Forse quei libri maledetti mi avevano rovinato

la vita, guastato i pensieri. Tenevo con me un paio di romanzi, li portavo in borsa, li leggevo ai compagni. Ma la vita era un’altra cosa. Oggi quando ripenso a noi, i compagni della valle, mi vengono i brividi. Non conoscevamo l’abbandono e la preghiera. Eravamo l’aspidistra di Orwell, duri al freddo e al caldo. Non ci siamo mai detti le nostre vite, confidati senza prima mentire. Avrei dovuto urlarvi sul muso: siete pazzi, morirete! siete pazzi.”

 

Leggere Mazzarrona di Veronica Tomassini (Miraggi Edizioni) è lacerante, doloroso, spietato, amaro, crudo: i colori sono sfumature compassionevoli di degrado urbano, una periferia fumosa, grigia, dai cardi, irti, ostili come occhi di drago. Lì si consumano le storie dei giovani degli anni ottanta, dalle poche parole slabbrate e impastate di eroina; è lei l’eroina non quelle delle favole che salva, bensì quella che ti lega un braccio e la vita. Sono storie di ragazzi emarginati, forse scontenti della vita o semplicemente rifuggono il presente per abbandonarsi e farsi cullare tra le spire della droga. Una liceale innamorata di un tossicodipendente… in attesa di un bacio che faccia boom

 

Mi avvicinai, il nostro bacio. Fu un boato in testa. Boom.

Oh, l’amavo. Non avevo ancora provato niente del genere.

Era fragile, bianco, però quando stavamo insieme, alle baracche,

succedeva qualcosa. E io dopo guardavo verso il

mare, lo immaginavo oltre la finestrella che sbatteva noiosamente.

 

Ma è un bacio che sa di metallo, un bacio all’eroina. Sono personaggi fragili il cui equilibrio è labile e si deforma in un contesto ostile, quella della periferia siciliana dove si intravedono pochi scorci di mare, l’azzurro del cielo è ottenebrato dalle ciminiere l’orizzonte offuscato dalle petroliere. Un profumo nell’aria che mette tristezza, come i giovani strafatti che giacciono ai piedi di un albero. Sono giovani deboli che si nascondono dietro falsi miti, in un paesaggio che li avvolge come un manto spettrale e il cemento arrogante.

 

Veronica Tomassini dipinge senza fronzoli, senza peli sulla lingua, con uno stile vero, sincero, crudo se vogliamo, ma sorprendentemente ammaliante; una narrazione impastata di realismo, non si fa scudo di una cultura letteraria incentrata sulle belle parole, ma scrive e scrive fiumi di parole che sanno di vita, di anime perse con cauta umanità.

 

Era la fine dei tempi.

Con delusione, capii che si poteva dimenticare. Ricordare,

dimenticando gli altri, il peggio, la vergogna. Il volto

bianco di Massimo. I suoi capelli bruni. Lui che mi chiede

al centro della pista: balli?

Io gli ho detto: sì

 

Veronica Tomassini vive in Sicilia ma è di origini umbre e abruzzesi. Scrittrice e giornalista, collabora con Il Fatto Quotidiano. Ama le ambientazioni suburbane, gli outsider, gli immigrati, chi sta fuori dal sentire borghese. Parla di antieroi e profeti delle panchine, di tutti coloro che rimangono sul bordo delle ciglia e che chiunque fa finta di non vedere.

Questo è il suo ultimo romanzo…e io aggiungo bellissimo!

 

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

I cardi ostili di Mazzarrona- Veronica Tomassini- Recensione

Il bruciacadaveri di Ladislav Fuks – Recensione a cura di Loredana Cilento su Millesplendidilibri

Il bruciacadaveri di Ladislav Fuks – Recensione a cura di Loredana Cilento su Millesplendidilibri

“Il futuro è sempre incerto. Nessuno sa che cosa ci aspetta o ci toccherà, l’unica certezza che abbiamo nella vita, è la morte”

Karel Kopfrkingl, il protagonista creato da Fuks nel 1962 nel grottesco e quasi surreale libro Il bruciacadaveri, pubblicato per la prima volta in Italia nel 1972, e oggi con una nuova traduzione a cura di Alessandro De Vito, per Miraggi Edizioni, è semplicemente geniale!

Fuks ha racchiuso nel morigerato e premuroso padre di famiglia e marito amorevole – al limite dello stucchevole – tutta l’atrocità e la contraddizione di uno dei periodi più abietti della storia: la follia delle persecuzioni naziste.

Praga 1938-39, Kopfrkingl è impiegato nel crematorio comunale, il suo Tempio della Morte, ama il suo lavoro a tal punto da giudicarlo un aiuto necessario a Dio per estirpare il male definitivamente, e far tornare in polvere, ciò che il Creatore ha disposto. Ma Karel, come dicevo, è anche un marito presente e innamorato della sua celeste moglie dai capelli neri (un particolare che spesso ritorna nelle sue affermazioni). Ossessivo, logorroico, abitudinario e maniacale, in cerca della perfezione estetica, ama adornare casa con ninnoli (di dubbio gusto), passeggiare con la famiglia, e recarsi spesso da un dottore, suo vicino di casa, specializzato in “malattie veneree”. Ma nell’epoca dei grandi movimenti nazisti per ristabilire e ripulire la razza ariana, Roman/Karel, si lascia soggiogare dalle idee nazionalsocialiste tanto da prendere in considerazione il divorzio da Lakmè/Marie, di origini ebraiche. La sua goccia di sangue tedesco ribolle, mostrando un angelo nero, che armato di cappio, ucciderà la sua celestiale moglie, mentre risuona la grande aria di Lucia.

“Quando Lakmé salì sulla sedia, il signor Kopfrkingl le accarezzò il polpaccio, le gettò il cappio al collo e con un tenero sorriso le disse:

« E se ti impiccassi, cara? »

Lei gli sorrise dall’alto, forse non aveva capito bene le sue parole, anche lui sorrise, calciò via la sedia ed ecco fatto.”

L’atto criminoso di Karel completa la trasformazione, il nazista che è dentro di lui implode, la follia ha raggiunto l’apoteosi riservando un destino crudele  al resto della famiglia.

Fuks ha rappresentato il male in tutto il suo orrore, ha creato un personaggio vestito da uomo perbene, zuccheroso oltremodo ridondante, che si lascia accarezzare dal diavolo (Willie Reinke) persuaso dalle ideologie di purificazione, (in seguito con la creazione delle camere a gas) calandosi, ad esempio, nei panni di un mendicante per spiare i nemici ebrei, inculcato dal suo serpente tentatore.

Sottilmente, Fuks sparge tanti piccoli particolari che riportano al periodo nazista, persino i solenni rituali di Karel, come leggere sempre lo stesso libro sul Tibet, per poi sfociare nella pazzia; anche l’ossessione della stanza da bagno, l’arredamento…

…e ancora, i nomi non hanno valore, la simbologia degli animali, dei capelli neri delle donne tutto meticolosamente orchestrato per dar vita alla morte, una macabra pantomima che porta in scena la ferocia di un leopardo e la subdola destrezza di un serpente, il tutto scandito dall’orario di viaggio della morte.

“La morte libera l’uomo dal dolore e dalla sofferenza”

 Il bruciacadaveri non risponde a nessuna domanda, anzi ne pone come tanti capolavori letterari. Inquietante e stupefacente!

 Ladislav Fuks è stato uno dei più noti e rappresentativi scrittori cechi del Novecento (Praga 1923 – 1994). La nuova traduzione è affidata ad Alessandro de Vito, mentre la

postfazione al noto boemista Alessandro Catalano.

Articolo originale qui: Il bruciacadaveri di Ladislav Fuks