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IL BRUCIACADAVERI – recensione di Edoardo Ghiglieno su Exlibris20

IL BRUCIACADAVERI – recensione di Edoardo Ghiglieno su Exlibris20

Bruciacadaveri

Il signor Kopfrkingl vive a Praga. È un uomo affabile e gentile, conscio delle proprie virtù e attento al prossimo.

Non fumo. Non bevo nemmeno, sono astemio. Ma se pensa che un bicchiere di qualcosa possa aiutarla per cominciare, beva pure tranquillamente, signor Dvořák. Noi astemi dobbiamo essere ragionevoli e comprensivi

Il signor Kopfrkingl è un marito innamorato e premuroso di una moglie adorabile e un padre amorevole e attento di due ragazzi meravigliosi.

L’articolo sul giornale di oggi, di quel padre che ha abbandonato la moglie e i figli per non doverli mantenere, è una cosa terribile

Il signor Kopfrkingl è un uomo di cultura: ama i quadri e li seleziona con cura, conosce bene la musica classica e ha una bella biblioteca che impreziosisce il suo salotto.

Prese dalla libreria la legge sulla cremazione e la sfogliò per un po’, poi prese forse ormai per la centesima volta il libro sul Tibet… il delizioso, affascinante libro sul Tibet, sui monasteri tibetani, sul Dalai Lama e le sue reincarnazioni

Il signor Kopfrkingl è un cittadino modello, innamorato del suo paese e con lavoro onesto che svolge con grande serietà e coinvolgimento.

Non si spaventi della tabella, signor Dvořák, è una sorta di nostro orario, un orario di viaggio della morte. In fondo è davvero il più sublime orario di viaggio che esista al mondo

Il signor Kopfrkingl è un ospite gioviale: ha una vita piena e soddisfacente, una bella casa e amici brillanti con cui discute di politica, di arte e qualche volta di sport.

Allora, bambini, mangiate, invitò di nuovo tutti gentilmente, abbiamo una festa di famiglia e sta restando tutto lì. Celeste mia…

Eppure, c’è qualcosa che non funziona.

Sarà quel suo modo di parlare, ripetitivo fino allo stordimento e così esageratamente mellifluo? Anche quella morbosa attenzione per gli articoli di cronaca e quella premura eccessiva che trapela ogni volta che si parla di persone in difficoltà, finiscono per stridere con l’immagine di un uomo così probo e generoso. Quei quadri poi, descritti minuziosamente e mostrati con orgoglio a tutti, sembrano più delle croste che dei capolavori veri e propri. Della sua ricca biblioteca, gli unici libri che consulta sono un volume con la legge sulla cremazione e uno sul Tibet e il Dalai Lama. E ancora, quell’ossessione per il lavoro, per la morte, per le tabelle orarie dei forni crematori, per il corpo dei defunti. Il signor Kopfrkingl mostra ben presto di portare assai male tutte quelle presunte virtù che cerca continuamente di ostentare. E il suo mondo finisce per risultare, nel volgere delle pagine, un microcosmo stucchevole e miserabile, scandito da monologhi autoreferenziali e spesso deliranti e repentini cambi di idee.

E poi, a dire il vero, il signor Kopfrkingl fa paura.

Basterebbe quel nome quasi impronunciabile e ripetuto all’infinito all’interno del libro, per capire subito che il signor Kopfrkingl è il peggior protagonista che un lettore possa mai augurarsi di incontrare. Non c’è empatia possibile con lui. Anche il lettore più benevolo finirà per provare repulsione per quest’uomo dai modi affettati e dalla personalità così ambigua. Perché dietro a un perbenismo dissonante e alle sue piccole e grandi manie, si nasconde in realtà un’anima nera e vacua.

Il Bruciacadaveri è un viaggio all’inferno senza ritorno. Ladislav Fuks accompagna il lettore lungo la parabola discendente di un personaggio tratteggiato con grande maestria, proprio mentre dense nubi si addensano sul cielo di Praga, funesto presagio degli orrori che di lì a poco deflagreranno con l’invasione tedesca del ’38. Non c’è redenzione, non c’è umanità. C’è soltanto la ripetizione ipnotica e ridondante di frasi, incontri e situazioni che conducono a un finale inaspettato e per certi versi atteso. Un classico moderno che Miraggi Edizioni ha riportato alla luce con grande merito; un testo che mai come oggi si rivela attuale e motivo di riflessione in momento molto delicato come quello che stiamo vivendo, in cui si avverte tangibile il rischio di ripetere errori e orrori di un passato non troppo lontano.

Edoardo Ghiglieno

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

Bruciacadaveri

NováVlna, una nuova collana per riscoprire i capolavori della letteratura ceca – di Lorenzo Mazzoni su Il Fatto Quotidiano

 

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La collana ha iniziato con il piede giusto, sono stati pubblicati due testi straordinari: Il lago di Bianca Bellova (traduzione di Laura Angeloni) e Volevo uccidere J.-L. Godard di Jan Nĕmec(traduzione di Alessandro De Vito).

Il lago è, dal mio punto di vista, un autentico capolavoro. Ritmo perfetto, nodi narrativi dosati nei punti giusti, un climax che stravolge completamente la percezione che si fa chiunque sfogli il romanzo, una collocazione geografica inedita e struggente, liquida e grigia come il lago che fa da cornice e coprotagonista alle vicende di Nami, il bambino che diventa uomo e deve continuamente inventarsi la vita e trovare una propria strada.

Come i Balcani immaginari di Zagreb di Arturo Robertazzi o Sniper di Pavel Hak, come l’Ungheria stregata di Ágota Kristóf, Bianca Bellova scrive una storia che affonda gli artigli nella dura realtà di un Paese dell’ex sfera sovietica. Il lago d’Aral, che non viene mai menzionato, tanto che il lettore si chiede continuamente se la vicenda si stia svolgendo in Uzbekistan o in Kazakistan – ma forse il lago non è nemmeno quello e di esso si riprende la tragedia del prosciugamento per colpa di politiche dissennate – è il luogo dove cresce Nami, nella casa dei nonni.

Si tratta di un piccolo villaggio che sopravvive grazie alla pesca. Ma poi i pesci muoiono e i pescatori soccombono allo Spirito del Lago. Rimasto solo, il ragazzino, parte per la capitale dove farà i lavori più disparati, mentre l’acqua del bacino – che ai tempi della sua infanzia ondeggiava tra il turchese e lo smeraldo – è ormai fango putrefatto e opalescente. Rami trasporta zolfo, stende catrame, diventa maggiordomo di un nuovo arricchito modaiolo post-comunista, si fa coccolare da una vecchia nobile decadente. Sempre alla ricerca di una madre perduta, sempre più in profondità nelle bestialità umane e negli orrori che il progresso è in grado di infliggere. L’eco dello Spirito del Lago rimane il richiamo costante, la colonna sonora di questo stupefacente romanzo con un finale altrettanto stupefacente.

Volevo uccidere J.-L. Godard ha tutt’altro ritmo e struttura narrativa. Jan Nĕmec, uno dei più importanti registicinematografici cechi del Novecento, definito l’enfant terrible della NováVlna, tesse un romanzo a episodi. Racconti scritti tra i primi anni Settanta e gli anni Novanta. Il filo si dipana cronologicamente a partire dalla Praga staliniana dell’elettroshock per i deviati sociali, passa per il jazz d’Oltrecortina, analizza in modo originale e dissacrante gli avvenimenti che hanno preceduto, accompagnato e suonato il requiem alla Primavera di Praga, fino a giungere alla fuga nei “liberi” Stati Uniti dove il narratore si troverà a vivere di stenti.

Autoironico, feroce, sarcastico, rabbioso e geniale, Jan Nĕmec riesce a parlare di un’intera epoca – e dei personaggi incredibili che l’hanno popolata – prendendo spunto dalle sue vicende personali. Critico e violentemente derisorio nei confronti del ’68 occidentale (esemplare il racconto Cannes 1968. La verità su quello che accadde, quando il regista e i colleghi cechi Milos Forman e Jiří Menzel erano in lizza per la Palma d’Oro e il festival venne interrotto da Godard e dagli altri intellettuali barricaderi) e dei suoi miti, prepotentemente coinvolto in diatribe sessuali e alcoliche, tenero e sprezzante nei confronti degli amici, l’autore scrive un libro fatto di tanti potenziali soggetti cinematografici. Un vero piacere leggerli.

Due testi riusciti, due coraggiosi manifesti di buona letteratura. Auguro un grande successo a NováVlna e ai suoi curatori. E non vedo l’ora che vengano pubblicati altri titoli.