Eda è ad una festa di cinquecento persone quando d’un tratto si sente chiamare. Un uomo è caduto giù dalle scale ed è morto. Da uno squarcio invisibile del suo corpo sta sgorgando del sangue che si sparge sul parquet. Alcuni invitati non si sono accorti di nulla e continuano a ballare il valzer ma, all’arrivo del medico, si accalcano tutti intorno all’uomo. Era un venditore che proveniva dalla Moravia del Nord e aveva alzato un po’ troppo il gomito. Bisognerà avvisare la moglie prima che la notizia faccia il giro dei giornali e la responsabile della comunicazione decide che sarà proprio Eda ad andare a comunicarglielo. Lui prova a immaginare come reagirà la donna alla notizia e gli torna in mente l’altra volta che ha dovuto portare la notizia della morte di Eliska a sua madre… Nina è tornata nella sua casa d’infanzia per il funerale della mamma. Il signor Antos del piano di sopra suona ancora come quindici anni prima il suo clarinetto. Nina pensa che qualcuno dovrebbe dirglielo che non ha fatto progressi e che la solita routine (tre composizioni, rimozione dell’ancia, pulizia del clarinetto, tossetta e cena) è sempre più insopportabile. Gli armadi sono stracolmi di vestiti che come i copriletti, le lenzuola e le tende sono coperti di larve di tarma. Fa un gran freddo, c’è odore di chiuso e di piscio di gatto e prima di buttare via ogni cosa lei si fa prendere dai ricordi in quella casa con i genitori e la sorella Eliska, con la quale è sempre stata in competizione. In mezzo a loro tante figure ma due di loro, Eliska e il padre di Eda, decisamente disturbanti…
La vicenda si svolge nell’arco di 24 ore. Due persone – Eda e Nina – alternano la loro voce ad ogni paragrafo. Lui è messaggero di brutte notizie, lei deve mettere ordine in un’eredità. Sono uniti nel passato da memorie di esperienze condivise che però ognuno interpreta a modo suo. Un racconto che diventa il mezzo per scendere nel loro personale inferno, l’inferno dei segreti di famiglia che porta con sé la perdita dell’innocenza, nella vita di chi è cresciuto alla fine del regime cecoslovacco. Un’intersezione di voci su una struttura narrativa che si regge in equilibro perfetto. Libro d’esordio di Bianca Bellová, ma sua terza opera uscita in Italia, Romanzo senti/mentale rivela già l’impronta di una delle voci più interessanti del panorama letterario ceco. Nel romanzo si scoprono i temi cari alla scrittrice: infanzia perduta, condizione femminile, legami familiari, solo per citarne alcuni che sono tenuti insieme dalla sua scrittura con una maestria ben riconoscibile. Una voce potente in un gran bel racconto.
Anche se solo inconsciamente, ho sempre saputo che sarebbe finita così. Dopo tutti gli anni di “non toccare quella tazza!”, “meglio lasciarla sullo scaffale”, “è l’ultimo ricordo di Eliška”, “questa non la diamo nemmeno agli ospiti”, era chiaro che prima o poi si sarebbe rotta. Ora giace qui davanti a me, raro design degli anni Settanta con un astratto disegno a fiori arancione, spaccata in mille pezzi, alcuni ancora oscillano sul pavimento con aria di sfida, sembrano ammiccarmi in modo ambiguo: “Tanto lo sapevamo che sarebbe finita così”.
Che rumore fa una tazza che, cadendo, si infrange in mille pezzi? La traccia fragile di un passato che non può tornare ma che non possiamo nemmeno cancellare. Si moltiplica, divenendo altro da sé, ma conserva la complessità della sua natura. Si sgretola, fino ad assumere una forma multisfaccettata della sua primordiale realtà, si riduce in una miriade di frammenti, che confondono la vista e trasfigurano l’idea dell’oggetto. Sono così, a volte, i rapporti umani e quelli che dovrebbero circonfondere l’individuo, per garantirgli la sicurezza affettiva utile ad affrontare il mondo di fuori, che inizia al di là del rifugio che ci accoglie quando giungiamo al mondo. La penna di Bianca Bellová, autrice ceca di origini bulgare apprezzata sia nel suo Paese che all’estero, si è mostrata da sempre assai abile nei rapporti già guasti all’origine, nella funesta interferenza della famiglia nelle dinamiche relazionali, nella sua intrusione rovinosa nell’età dell’innocenza, nella sua azione distruttiva di qualsiasi confortante idea di “passato”. L’autrice ha guadagnato importanti riconoscimenti (Premio Unione Europea per la Letteratura e Magnesia Litera) e ha raggiunto un pubblico più ampio nel 2016, con la pubblicazione del romanzo Jezero, che la casa editrice Miraggi ha pubblicato con la traduzione di Laura Angeloni (Il lago 2018), consentendo ai lettori italiani di conoscere una delle voci più affermate della letteratura ceca contemporanea. Ad approfondire questa preziosa conoscenza, si sono aggiunte le pubblicazioni del romanzo Mona (2020) e, in ultimo, di Romanzo senti/mentale che, anche se apparso a ottobre 2021 nella sua prima traduzione all’estero, rappresenta l’esordio della Bellová. Questi titoli, insieme a quelli di altri scrittori (drammaturghi, sceneggiatori, contemporanei e non) vanno a nutrire una collana interessante e necessaria che gli editori di Miraggi hanno intitolato “Nova Vlna”, a ricordare il movimento cinematografico cecoslovacco degli anni ’60 del Novecento.
Romanzo senti/mentale (Senti/mentální román 2009) contiene già quegli argomenti che l’autrice approfondirà nei lavori successivi in maniera più matura, ma anche più misurata. Perciò, la lettura del romanzo d’esordio, oltre che per la storia in sé e per la particolare struttura che lo sostiene, risulta interessante per scorgervi tutto il coraggio e la spregiudicatezza che vengono espressi mediante un realismo che non cede a esitazioni neanche di fronte a scene particolarmente violente e scabrose, e che potranno risultare inattese se confrontate alla delicatezza espressa altrove.
Al centro del romanzo e della ricerca portata avanti dalla scrittrice vi sono i rapporti difficili o irrisolti, in particolare quelli familiari, che inducono i protagonisti a intraprendere un viaggio – talvolta anche propriamente fisico – sui luoghi d’infanzia, attraverso i ricordi di un’epoca non sempre idealizzata, nel tentativo di afferrare il senso di una perdita o di colmare un vuoto, o di giungere a una qualche possibilità di comunicazione che però difficilmente avviene.
Eda è investito suo malgrado del ruolo di angelo della morte: durante una festa aziendale un uomo ubriaco precipita da una grande scalinata e rimane a terra senza vita: l’espressione sorpresa, gli occhi sbarrati, la camicia dello smoking immacolata e una macchia di sangue che si allarga sul parquet. Tra i cinquecento presenti, lui viene incaricato di raggiungere la vedova dello sconosciuto e di darle la tragica notizia. Lo attende un lungo viaggio, attraverso una notte fredda e piovosa, in compagnia di sonno e stanchezza e di una serie di ricordi che emergono da un passato tormentoso.
Nina torna nella casa di famiglia che non abita più da quindici anni. La casa è piena dell’assenza della madre – della cui morte dovrà farsi messaggera fino al padre ormai ricoverato e assente a se stesso – e soprattutto è piena dell’assenza della sorella Eliška, presenza ingombrante nella sua infanzia, nella sua adolescenza e nella sua memoria. Nel tentativo di liberare la casa dai ricordi, tra oggetti guasti, oggetti intoccabili e altri dimenticati, si solleva un’intera vita come un’ombra, a proseguire la sua opera di tormento. Le vite di Eda e Nina si intrecciano nel nome di Eliška.
Gli occhi del lettore scorrono, riga dopo riga, pagina dopo pagina, sulle esistenze di Eda e Nina e sulle loro voci, che si alternano regolarmente, includendo altri personaggi e ampliando lo spettro dell’incomunicabilità. Dalle pagine si scende nelle profondità dei loro segreti e dei sensi di colpa inconfessabili, nei dubbi perpetui. Man mano che riaffiorano i ricordi, per il tonfo di un oggetto che cade, per l’improvviso addensarsi del cielo, per una voce che spezza, riemergono anche paure, incertezze, gelosie laceranti, scene traumatiche e indelebili, vuoti che riempiono gli animi a distanza di tempo, che i chilometri e gli anni non hanno saputo annientare del tutto. Il peso del lutto, che mentre schiaccia i protagonisti sembra conferire loro allo stesso tempo l’impulso ad alzarsi e a scrollarsi di dosso il passato, è raccontato da Bianca Bellová attraverso un ritmo estremamente calibrato, che ci conduce alla conclusione del racconto senza balzi improvvisi, nonostante la crescente drammaticità del filo narrativo. La dimensione familiare è una trappola da cui Eda e Nina non riescono a liberarsi.
La parola di Bianca Bellová si attacca alle cose come la polvere sugli oggetti vecchi tanto che riusciamo quasi a sentirne l’odore. E sui personaggi agisce come lo scandaglio negli abissi, cosicché questi sono d’un tratto davanti a noi, con tutte le debolezze degli esseri umani e con la loro precisa storia e la difficoltà che hanno a raccontarla. Loro sono davanti a noi e noi siamo dentro di loro. Forse il romanzo di Bianca Bellová non è “sentimentale” come suggerisce il titolo – che però già lancia un indizio con quel segno che divide: senti/mentale – ma la sua scrittura suscita forti emozioni e per questo non si lascia dimenticare.
Tuffarsi nel mondo di Bianca Bellová è una esperienza sensoriale a suo modo unica. Classe 1970, la scrittrice è una delle voci femminili più significative della Repubblica Ceca.
Grazie a Miraggi edizioni, nella collana diretta da Alessandro De Vito, arriva al lettore italiano questa narrazione assordante. Perché, se si potesse paragonare a un elemento, la scrittura della Bellová è acqua. Acqua di lago, pioggia incessante, non fa differenza, basta saper ascoltare e si sente il rumore dell’acqua.
È il suo romanzo di esordio Romanzo senti/mentale, che Miraggi pubblica dopo averci fatto conoscere di lei i successi internazionali Il lago e Mona. Eppure la scrittura già forte e distinta ne è la voce.
Ebbene, tuffandosi in questi abissi incontriamo Eda e Nina, le voci narranti di Eliška: di Nina la sorella, di Eda l’amore. In realtà sono tutti affascinati da Eliška e lo siamo anche noi dal primo istante, dalla sua prima entrata in scena. Nonostante siano trascorsi quindici anni da quando Eliška si è chiusa il sipario alle spalle, nessuno pare averla dimenticata anzi, il passare del tempo fa di lei ancora di più un personaggio centrale della vita e nella vita degli altri.
Estremamente interessante è il gioco di alternare le due voci nel corso della narrazione, che pare svolgersi nell’arco di un giorno, forse due. In parallelo siamo scaraventati indietro nel tempo quando, ancora bambini, Eda, Eliška e Nina si sono incontrati per non lasciarsi mai più.
Ancora più potenti sono poi le figure genitoriali in particolare modo i padri. Forse non è un caso che la Bellová dedichi il romanzo al papà.
Nella finzione il padre di Nina e Eliška è cosparso da una luce che “è come attraversata da una specie di nebbia”, un padre lontano con la testa altrove. Il padre di Eda invece “è un personaggio di un certo calibro. Non ho solo ricordi brutti di lui”. Un padre fisico, fin troppo, con la sua percezione rocciosa che diventa violenza sulla donna. Ambedue, per motivi diversi, diversissimi, incapaci di amare la voce femminile che ne è la compagna.
Il presente si fa ricordo. Eda e Nina hanno in comune un passato che diventa, per una strana casualità, di nuovo presente. Finalmente insieme, di nuovo. Un nuovo dove forse potrebbe trovare spazio non solo il ricordo di Eliška, ma anche la possibilità di ricominciare, di crescere e diventare davvero adulti. Oppure no. Perché né Eda né Nina hanno previsto una variante che manda all’aria tutte le possibilità: “il senso di colpa”.
Come scrive Angelo Di Liberto nella prefazione: “non si può scappare dalla volontà della colpa, ha memoria antica, si può solo desiderare di dormire per dimenticare”.
Ci sono i diari di Eliška che Nina cerca, ci sono gli sguardi del non detto, c’è l’arte e la capacità dell’arte di ri-generarsi e poi c’è quello sguardo “accompagnato da un sorriso di labbra e occhi, e poi gli occhi si abbassano. E poi la colpa. Dall’alba dei secoli quello è lo sguardo che si riserva agli amanti”.
Romanzo senti/mentale che sentimentale non è, lascia il segno e il rumore dell’acqua si fa più forte nonostante tutto.
A volte ti bastano poche righe per incontrare una voce che poi imparerai a riconoscere come familiare e addirittura andrai a cercare tutte le volte che ti sembrerà di essere a corto di letture, tutte le volte in cui guarderai la libreria strapiena, con gli scaffali piegati dai libri (alcuni mai aperti) e ti dirai: non ho nulla da leggere. Bianca Bellová è quella voce lì, quella voce che nell’arco di una pagina fa risuonare già un certo tipo di affinità che riservi solo agli autori e alle autrici che considerei beni rifugio quando ci sono tempi di magra.
“Romanzo senti/mentale” è, per quel che mi riguarda, solo apparentemente un romanzo a due voci. Il racconto viene portato avanti in modo alternato, guardando prima nella vita di Nina e poi in quella di Eda. In mezzo a loro due presenze disturbanti. Da un lato Eliška, la sorella di Nina e dall’altro il deux ex machina, il santone…il padre di Eda. La narrazione parte da due lutti non legati tra loro. Il primo lutto ha a che fare con la morte della madre di Nina, il secondo con quello di un cliente dell’albergo in cui lavora Eda. Eda viene incaricato di andare a casa del malcapitato e comunicare la sua morte ala moglie. Diventa un angelo della morte.
Ma c’è, sopra di loro, un lutto supremo dal quale nessuno riuscito a staccarsi. Nina ha perso la sorella, Eda ha perso l’amore. Eliška è stata, nelle loro vite, una presenza disturbante, folle, portatrice si squilibrio, ma allo stesso tempo, magnete che attira a sè gli sguardi e i desideri delle persone. Quell’Eliška che da artista vive la propria vita come fosse un’opera d’arte e poi soccombe a un demone interiore nutrito dal santone, il padre di Eda. E tutto questo con nello sfondo il regime e la sua presenza chiara e vivida nella memoria delle persone, presenza che la Bellová reifica nel personaggio potente e inquietante del padre di Eda. Un uomo che può tutto e a cui non si può opporre difesa.
“Romanzo senti/mentale” è caratterizzato da una serie di incroci tra persone, da una struttura che si regge in perfetto equilibrio e, come ho detto all’inizio, da un elemento importantissimo: la voce della scrittrice Bianca Bellová. C’è, nel suo modo di raccontare, nel ritmo che tiene durante tutto il libro, un lento avvicinamento verso la conclusione che a tratti ricorda la rigida e commossa malinconia dei cortei funebri. Si tratta di un romanzo breve che, ne sono certo, non potrà fare altro che rieccheggiare a lungo nella mia memoria.
Traduzione di Laura Angeloni.
Bianca Bellová (1970) è una delle autrici più affermate della Repubblica Ceca. Ha esordito nel 2009 con Sentimentální román (“ Romanzo sentimentale ”), ripubblicato in nuova edizione nel 2019, a cui ha fatto seguito nel 2011 Mrtvý muž (“ L’uomo morto ”), tradotto in tedesco, e due anni dopo Celý den se nic nestane (“ Non succede niente tutto il giorno ”). Nel 2016 arriva il grande successo di critica e di pubblico de Il lago, tradotto in più di 20 lingue (in Italia in questa stessa collana) e vincitore nel 2017 di due importanti premi: il Premio Unione Europea per la Letteratura e il premio nazionale Magnesia Litera. Mona consacra la sua voce unica e inconfondibile, quella di un’autrice tra le più interessanti nel panorama letterario contemporaneo.
Bianca Bellová è una delle voci più interessanti della letteratura ceca contemporanea. L’edizione italiana di senti/mentální roman (“romanzo senti/mentale”), fresca di stampa, riconferma al pubblico questo aspetto. Grazie alla traduzione di Laura Angeloni, è finalmente edito il primo romanzo dell’autrice presso la casa editrice Miraggi Edizioni, dove sono già stati pubblicati altri due romanzi: Jezero (“Il lago”) e Mona. senti/mentální roman è, straordinariamente, un romanzo d’esordio in cui è già possibile cogliere l’inconfondibile cifra stilistica dell’autrice. Ciò che colpisce sempre nei romanzi di Bellová è la sua capacità di condensare in un numero anche esiguo di pagine un intreccio molto complesso di sfumature tematiche. Innanzitutto, è necessario sottolineare il fatto che in senti/mentální roman si riscontra, nei confronti di Jezero e Mona, una differenza sostanziale, ovvero la presenza di coordinate spaziali e temporali precise, nonché contestualizzabili in passato recente. Il presente da cui procede inizialmente il romanzo è, infatti, la Cecoslovacchia all’indomani della Rivoluzione di Velluto del 1989. Nonostante ciò, la scelta di collocare l’azione entro coordinate precise si rivela essere un elemento relegato sullo sfondo della narrazione, mentre questa si concentra piuttosto sui singoli personaggi.
Il cielo si scurisce davanti ai miei occhi come una vasca da bagno in cui si versa inchiostro.
Con questa metafora si apre romanzo senti/mentale. Difficile parlare di un’opera come questa cercando di rendere giustizia all’incredibile capacità espressiva della sua autrice. Il romanzo presenta una struttura piuttosto interessante, dove la narrazione è affidata a due dei personaggi principali: Nina e Eda, legati da un passato e da un destino comune. In realtà, la vicenda ha come suo fulcro il motivo di questa connessione, ovvero Eliška, la cui voce emerge solo nell’ultima sezione del romanzo, in cui l’autrice decide di riportare una parte dei suoi diari. Le due voci narranti, rigorosamente in prima persona, si alternano in continuazione producendo così un effetto particolarmente dinamico e mettendo in luce la vicenda sotto due prospettive differenti. Tanto nel caso di Nina quanto in quello di Eda si assiste a un recupero del passato, partendo da un’infanzia che assume sembianze al tempo stesso traumatiche e mitiche, fino ad arrivare al presente, il momento in cui le due prospettive trovano il loro punto di intersezione. A risvegliare il bisogno di recuperare il passato è l’elemento della perdita, rappresentata dalla morte di Eliška. Legata dal vincolo famigliare a Nina e da uno di carattere invece sentimentale a Eda, Eliška si rivela essere la chiave di volta, nonché il pilastro su cui si regge tutta l’opera. Anche dopo la sua morte, continua a permeare e a invadere la vita, ad esempio, di Nina attraverso oggetti, tracce tangibili:
Dopo tutti gli anni di “non toccare quella tazza”, “meglio lasciarla sullo scaffale”, “è l’ultimo ricordo di Eliška”, “questa non la diamo nemmeno agli ospiti”, era chiaro che prima o poi si sarebbe rotta. […] Non era di certo quello l’ultimo ricordo di Eliška. Questa casa è così piena di suoi ricordi che per girarti devi prima uscire dalla stanza: una mezza dozzina di cavalletti, decine di tele in varie fasi di realizzazione, acquarelli, scatole piene di tubetti di colori a olio ormai secchi, addirittura tutte le uova di Pasqua che un tempo ha dipinto.
Gli oggetti che affollano la stanza non sono altro che una proiezione di quanto sia importante la (non)presenza di Eliška nella vita di Nina. Lo stesso accade nel caso di Eda, continuamente tormentato dal ricordo di lei e, soprattutto, dagli eventi immediatamente precedenti al suo suicidio. A complicare la situazione contribuisce il fatto che è proprio Eda a trovare il corpo senza vita e a comunicare la morte alla madre di lei.
Il tentativo di ripercorrere un tempo ormai trascorso si identifica con un processo, necessario, di ricostruzione di questo. Processo in cui, il lettore, non può rinunciare a nessuna delle due prospettive per poter avere un quadro completo, sebbene questo venga ricostruito solo grazie ai diari. Fare i conti con il passato si rivela essere, però, molto più complesso di quanto non sembri. Come accade anche ne Il lago, Bellová problematizza questo recupero costruendo una dimensione della vicenda profondamente umana, un discorso in cui non vengono mai messe a tacere questioni delicate o problematiche. Se, però, ne Il lago si assiste a un protagonista che si allontana dagli apparentemente sicuri luoghi dell’infanzia per entrare nella vita adulta, in romanzo senti/mentale si assiste al percorso opposto. Difatti, si palesa necessario un ritorno all’idillio dell’infanzia per comprendere le tragiche dinamiche del presente in cui i personaggi si ritrovano incastrati. Una nostalgia che nel romanzo si vede rappresentata dalla citazione di When you were young dei Killers: “Sometimes you close your eyes and think ok the place you used to live… when you were young”.
Da giovani, Eliška, Nina e Eda sono semplici compagni di giochi che, però, si vedono già costretti ad affrontare le difficili questioni della vita degli adulti. A questo proposito, ad essere centrale è la complessità dei rapporti entro le mura domestiche, dove anela una profonda incomunicabilità. L’apparente idillio si rivela essere, al tempo stesso, un’infanzia tradita, che in Eda è determinata principalmente dalla figura del padre. Il loro rapporto si mostra insanabile sin dalla tenera età, quando Eda scopre della violenza sessuale che il padre esercita sulla madre, aspetto che condizionerà in modo profondamente negativo il modo che egli avrà di intendere la sfera della sessualità. Allo stesso modo anche nel caso di Nina riemerge in continuazione il difficile rapporto con i genitori, nonché quello con la sorella. Bellová si mostra particolarmente abile nel tratteggiare sia i complessi contorni di queste situazioni, utilizzando un linguaggio complesso e crudo, sia gli effetti che le esperienze traumatiche della giovinezza si riversano sui singoli personaggi nel corso della vita adulta. Un’indagine, quella dell’autrice, che conduce il lettore in una messa a nudo delle debolezze delle voci narranti, senza nasconderne in alcun modo le fragilità.
Tornando ad Eliška, che si è detta essere un elemento irrinunciabile dell’opera, è interessante osservare come si evolva nel corso nella narrazione. Sia in Nina che in Eda l’indagine sul sé è necessariamente anche un’indagine su Eliška e sulle relazioni che li legano a lei. I ricordi di Nina abbondano di descrizioni della sorella, alla quale spesso lei stessa si contrappone – mettendo in risalto i propri difetti – e che cerca, quasi disperatamente, di comprendere senza mai riuscirci. L’immagine che viene concessa al lettore, il quale non ha mai un contatto diretto con la voce di Eliška se non nella parte dei diari, è quello di una ragazza eclettica, dotata di un grande talento artistico e, al tempo stesso, profondamente instabile. Instabilità dovuta al suo stesso carattere e, in parte, all’impossibilità di essere compresa, che si mostra anche nei tentativi operati da Nina e Eda dopo la sua morte. Anche se il lettore dispone di un assaggio delle rivelazioni intime della ragazza all’interno die diari, il cui stile ne rivela in modo efficacie il carattere, non c’è mai una completa comprensione di Eliška, che perennemente sfugge all’essere delineata in modo chiaro: un’impossibilità profondamente umana. I diari si rivelano essere un elemento fondamentale anche per Nina e Eda, ma in modo diametralmente opposto. Mentre lei non ne è in possesso ed è determinata a recuperarli – col fine di riuscire finalmente a comprendere la sorella –, lui, avendoli, decide di distruggerli in un modo che viene annunciato sin dalle prime righe del romanzo, da quella “vasca da bagno in cui si riversa inchiostro” che si citava inizialmente. Ritornando alla questione dell’incomunicabilità, che permea tutto il romanzo, la forma del diario è anche l’unico modo in cui riesce a esprimersi con l’esterno: Vorrei con tutta me stessa che qualcuno trovasse questo diario, visto che non posso comunicare in altro modo…, dice a un certo punto. Anche Nina è attanagliata da questa difficoltà di esprimersi:
Ho sempre sentito il bisogno di livellare le mie emozioni. Eliška era quella che esprimeva sempre ciò che sentiva, e in modo dannatamente spontaneo; mentre a me veniva un groppo in gola appena, ahimè, un’emozione affiorava in superficie, e non sapevo come evitare di sembrare un’idiota, una rigida ochetta.
romanzo senti/mentale è dunque un microcosmo in cui Bellová mostra un’umanità lacerata, il tentativo e la necessità di ognuno dei suoi personaggi di ritrovare un equilibrio. Le voci si separano e si rincorrono, si smentiscono e si confermano, concorrendo così a creare una vicenda in cui vengono affrontati temi profondamente attuali, che penetrano la società in modo silente. La forza narrativa dell’autrice risiede proprio nel riuscire a scoperchiare il silenzio che li cela, senza rinunciare a incorniciare il tutto in una struttura complessa di voci e punti d’osservazione differenti. Bellová mette ancora una volta il lettore di fronte alle difficoltà del trovare un proprio equilibrio, anche se il finale porta a porsi un’ulteriore questione: esiste davvero un equilibrio possibile?
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