2 VOLTE PREMIATO CON IL MAGNESIA LITERA (2005 – 2011)
TRADOTTO ALL’ESTERO IN 10 LINGUE
QUESTA È LA SUA PRIMA OPERA TRADOTTA IN ITALIA
Jan Balabán, morto prematuramente a 49 anni nel 2010, è stato e resta una delle voci migliori e più forti della letteratura ceca contemporanea. Accostato a Milan Kundera e Jachym Topol, è nato e vissuto nella zona mineraria di Ostrava, molto diversa dalla “Praga d’oro” che tutti conosciamo, è autore di svariate raccolte di racconti e di due romanzi, ed è stato definito un “esistenzialista con una ispirazione cristiano-evangelica di fondo”.
I fratelli Hans, Emil e Kateřina devono far fronte, come la loro madre Marta, alla malattia e alla morte di una persona cara, il padre, il medico Jan Nedoma (che significa “senza casa”: nessuno in questo mondo è realmente a casa). Tutti e quattro si trovano a fare i conti con se stessi e i propri ricordi, e a far fronte alle accuse postume di complicità con le autorità comuniste mosse a loro padre da quello che un tempo era il suo migliore amico. Si tratta di un’amara ironia, “chiedere papà come siano andate davvero le cose” non è più immaginabile né possibile.
Il romanzo di Balabán è pervaso di domande che riflettono sul senso, sulla qualità e sul percorso della vita umana, sui rapporti famigliari, sulla malattia e sulla morte, e su quel che resta dopo. Con un’immediatezza straziante, che porta in sé una dimensione di meditazione e un’urgenza di espressione interiore concreta, l’autore descrive in modo estremamente preciso l’aspetto tragico del destino individuale che tende inesorabilmente al suo punto finale. Non è forse vero che è dalla nascita che si comincia a morire? E nel frattempo, che cosa facciamo, che cosa siamo?
Booktrailer
Quarta originale del poeta e amico Petr Hruška
«La morte osserva le nostre vite.
L’evento centrale dell’ultimo romanzo di Jan Balaban è l’agonia e la morte di un uomo, ma ciò che racconta davvero è l’impegnativa ricerca della vita. Poiché questa deve sempre essere trovata nella profondità di ciascuno. E poi di nuovo reinventata. In un certo senso siamo tutti simili ai personaggi della meravigliosa storia di Jan Balabán, traboccante di conversazioni, di soliloqui e silenzi. Una storia in cui si cerca la verità, e si trova la sincerità. Tutti noi, nella nostra parabola mortale, cerchiamo di scoprire qualcosa sull’essenza della realtà, o almeno trovarci per un un momento vicino a qualcosa di importante.
È quasi impossibile, perché ne sappiamo terribilmente poco. La nostra mente è sopraffatta da domande e dubbi, sfiducia e incredulità, nervosismo e aggressività. L’energia viene sprecata nel cieco affanarsi quotidiano. Le parole si ribellano in una inesattezza maligna, le mani sono corte …
Abbiamo ancora un cuore.»
Jan Balabán (1961-2010), è considerato una delle voci più potenti, originali e importanti della letteratura ceca contemporanea, spesso accostato a Milan Kundera e a Jachym Topol. Nato in una famiglia evangelica – frequenti infatti sono i riferimenti biblici, per quanto la sua fede sia spesso non ortodossa –, nei suoi scritti si interroga e ci interroga sull’esistenza e sul senso della vita di ciascuno e della società nel suo complesso, con forza e senza risparmiare a se stesso o al lettore la scomodità delle domande da porsi. Se sembriamo, come spesso afferma attraverso i suoi tipici personaggi, estranei in questo mondo, agli altri e anche a noi stessi, l’unico senso possibile dell’azione umana e, ancor prima, di ogni intenzione non può che essere la ricerca di un qualche punto di luce che possa accendere la speranza.
Ha pubblicato diverse raccolte di racconti e due romanzi, ed è stato insignito due volte del Premio Magnesia Litera: nel 2005 per i racconti di Jsme tady (Siamo qui) e nel 2011, post mortem, per Chiedi a papà, tradotto in questa stessa collana.
Il suo primo romanzo, Dove è passato l’angelo, è uscito una prima volta per una piccola casa editrice nel 2003, ed è stato ripubblicato nel 2005 in seguito alla notorietà raggiunta dopo il successo di pubblico e di critica e il premio citato, nello stesso anno.
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