di Alessandra Comazzi
Scianca e Comazzi raccontano i luoghi dove è nato e prospera il cinema in Italia

Quando si che un luogo, conosciuto e vissuto, è diventato un set, Un rapporto tra realtà e finzione assume un senso metafisico che incrocia essere e apparire. La finzione simula la realtà, a volte la supera, e appare in scala inferiore se è ricostruita. Ma Torino Filmopolis (Miraggi Edizioni) racconta i set autentici, non ricostruiti, proprio quelle strade,
quelle piazze, i monumenti, i palazzi. Se ne incontrano tanti, in città, di
set. E l’atmosfera è sempre un po’ da Truman Show. Ti aspetti che a un certo punto spengano il sole finto, o che laggiù si veda il mare.
È stato Giorgio Scianca, architetto, e, per inciso, pure mio marito, ad avere l’idea. Appassionato di cinema fin dai tempi dei cineforum al liceo Sociale, ha incrementato la passione occupandosi di architetti nei film, trovando e analizzando circa duemila pellicole dove Nei130 anni della settima arte non mancano le serie egli sceneggiati tv l’architetto è protagonista o c’entra comunque qualcosa, la vertigine della lista, come dice Umberto Eco. Ne erano nati due libri, La recita dell’architetto e Quo vadis, architetto. E adesso un altro grande scrittore ha fatto nascere Torino Filmopolis: Italo Calvino. Dice Scianca: «Nella mia formazione e nella vita di architetto, non di critico cinematografico e nemmeno di scrittore, i libri di Calvino sono sempre stati una fonte di ispirazione e di metodo. Se scrivessi un romanzo, il titolo sarebbe Se una notte d’inverno un architetto. Le città invisibili sono quelle in cui ho vissuto e che ho frequentato. Marcovaldo è stato la suggestione diretta. Ho cercato di raccontare una città con i film girati nelle sue strade, attraverso le sragioni della s1oria e dell’anima, sovrapponendo tempi e luoghi, con tre limiti precisi: i 130 anni del cinema, lo spazio pubblico (niente interni, quelli sono tutta un’altra storia) e i confini metropolitani».
Quindi le quattro stagioni, a cominciare dall’estate, scandiscono il viaggio. Che è un percorso tra i luoghi raccontati dai registi, abitati dagli attori, ammirati, o criticati, dagli spettatori. Se nel libro c’è Scianca che si occupa di film, poi ci sono io che mi occupo di serie tv, sia pure con minore esaustività. Partendo da alcuni temi trattati dal punto di vista cinematografico, tento un’analisi dal punto di vista televisivo. E risulta impossibile non ricordare che Torino è stata, ed è,
ugualmente fondamentale per il piccolo schermo. Accanto ai romanzi sceneggiati, ispirati ai grandi titoli della letteratura italiana, francese, russa, la tv doveva insegnare alle masse, si giravano gli “originali televisivi”, tratti da soggetti inventati apposta: e il primo Rai fu La domenica di un fidanzato, di Ugo Buzzolan, che diventerà poi critico televisivo de La Stampa. La bobina non esiste più. In compenso esiste la memoria. Magari Torino Filmopolis aiuterà un poco a recuperarla. Anche solo per vedere, per ricordare, un passato cittadino che non era così migliore come spesso siamo portati a vagheggiare. Potrebbe essere un’idea esportabile per tutte le città d’Italia che hanno ispirato il cinema.
Alla fine del libro, un QR Code permette di avere l’elenco completo di tutti i 458 film esaminati, con trailer e clip, in modo che il viaggio continui con le immagini. Torino ha visto nascere quest’arte in Italia, ha un Museo del Cinema fondamentale nel mondo, ha una Film Commission tra le più attive in Europa e un bel numero di festival internazionali, primo fra tutti il Tff. Ripercorrere in quaranta racconti, dal 1908 a oggi, i momenti cinematografici vissuti dalla città, significa
ritrovarne l’anima, un “come eravamo” vivente, ma anche un come siamo, pensando a come saremo. Dai tempi del muto, con le comiche del piccolo Robinet, si arriva al fantasmagorico The Opera di Davide
Livermore; passando attraverso pellicole diventate classiche, La donna della domenica, Profondo rosso, Santa Maradona, Dopo mezzanotte, si approda a quelle che raccontano una metropoli nuova, periferica, non banale: Anywhere Anytime dell’iraniano Milad Tangshir, premiato all’ultilno festival di Venezia, Peripheric Love di Luc Walpoth, Amanda di Carolina Cavalli. E scrive Calvino, sempre lui, «la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano».
