Giuseppe e Maria, lui sedicente poeta e lei influencer che predica e pratica la verginità, sono in cerca del contesto ideale per vagliare nuovi orizzonti di intimità. Per loro sfortuna, il luogo prescelto non è un albergo qualunque, bensì l’Hotel Hilbert, che deve il nome al matematico tedesco, ideatore del Paradosso del Grand Hotel, e che si rivela una dimensione alternativa che segue le logiche dell’infinito. Li accoglie un istrionico portiere laureato in matematica, informandoli della difficoltà di assegnargli una stanza nonostante all’Hilbert le stanze siano infinite, e rimandando all’infinito la consegna delle chiavi per il semplice motivo che si è infatuato della donna. Il portiere chiama in causa Aristotele, Sant’Agostino e Nietzsche, e poi Kronecker e Gödel, rievocando i momenti cruciali nella storia della matematica, come la crisi dei fondamenti causata dalla scoperta, da parte di Russell, di una contraddizione nella teoria ingenua degli insiemi di Cantor, ovvero che non è possibile stabilire l’insieme di tutti gli insiemi che non contengono sé stessi come elemento, giacché, non contenendo se stessi come elemento, contengono se stessi come elemento. E così via, a furia di spiegare le applicazioni dell’infinito attuale e le caratteristiche dell’eterno ritorno, il portiere annichilisce Giuseppe e ammalia Maria, guidando quest’ultima tra le infinite meraviglie dell’infinito, dove tutto è possibile, e lo è infinite volte…

Gli amanti perduti del transfinito è un romanzo peculiare, divertente dalla prima all’ultima pagina, con momenti che metteranno alla prova il lettore poco predisposto alla matematica o che abbia urgenza di capire in che modo gli espedienti divulgativi plasmeranno la narrazione. Non ci si aspetti un racconto convenzionale: in una dimensione in cui tutto è possibile, non è necessario individuare gli snodi narrativi o comprendere una logica differente da quella della nostra presunta realtà. Meglio abbandonarsi come con la poesia, che d’altronde vive della non totale comprensione da parte del lettore; oppure pensare al piacere di immergersi in multiversi come quello di Epepe di Karinthy, con quel tipo di piacevole spaesamento. Curti è bravissimo ad animare il suo mattatore e a fargli sciorinare, in ordine crescente di difficoltà, ciò che bisogna sapere per immaginare l’infinito. Qualcuno si perderà strada facendo, ritrovando però sempre ad attenderlo l’umanità dei personaggi, per esplorare insieme un paradiso matematico in cui nessuno muore mai, o meglio, muore infinite volte e infinite volte rinasce e vive, e tutto gli è concesso, ogni gioia, ogni alternativa; l’infinito più grande, quello assoluto di Cantor, un nuovo Dio, benevolo e in qualche modo calcolabile. Curti consegna un’opera all’apparenza distante, quantomeno per impianto, dal precedente Quando i padri camminavano nel vuoto, segnalato dal Premio Calvino e pubblicato sempre da Miraggi, ma in realtà in dialogo con esso. Torna la qualità della scrittura, solida, accessibile e sorniona, tra il Buzzati raccontista e certi russi dei primi del Novecento, una prosa capace di umori diversi, di far danzare suggestione e matematica. Torna l’archetipo del padre, qui fondamentale nell’incapacità di Maria di autodeterminarsi, ma anche per il portiere, che ne ha ereditato l’idealizzazione dell’attrice Belinda Lee, così come era stata centrale in Quando i padri camminavano nel vuoto, nel quale l’autore esplorava l’autofiction e gli svantaggi di un genitore ossessionato dalla verbalizzazione. E ancora, torna la poesia, primo amore dell’autore, che qui caratterizza di sfuggita Giuseppe, ma che rimane una chiave di lettura di un testo all’apparenza razionalista che usa l’intelligenza per fantasticare sull’immortalità e sul libero arbitrio. Diventa chiaro, dopo che l’autore ci ha presentato le copie umane che si aggirano nell’Hotel, che Giuseppe e Maria potrebbero essere anche quelli biblici, e che impedendo loro di stare insieme, per gioco, il portiere stia predisponendo un presente radicalmente diverso da quello che conosciamo. Le interpretazioni di un simile romanzo sono infinite, e sebbene l’opera rimanga aperta (e come potrebbe chiudersi?), ben vengano esperimenti letterari che sanno stimolare zone intorpidite del nostro cervello, permettendoci di guardare il mondo, almeno per un po’, con uno sguardo diverso.

QUI l’articolo originale: https://www.mangialibri.com/gli-amanti-perduti-del-transfinito

