Porta la firma di Marino Magliani, insieme a quella di Riccardo Ferrazzi, la traduzione dallo spagnolo del libro di Sylvia Saitta appena pubblicato da Miraggi Edizioni.
Il libro intitolato “Arlt. Lo scrittore nel bosco di mattoni. Una biografia” racconta la storia dello scrittore e giornalista di Buenos Aires, in principio incompreso, ma oggi considerato uno dei padri della letteratura argentina. Magliani, apprezzato narratore, è da sempre attivo anche come traduttore, sia dallo spagnolo che dall’olandese. Noè Jitrik, Haroldo Conti, José Luis Cancho e lo stesso Arlt sono alcuni degli scrittori tradotti dall’autore di Prelà.
«Nei momenti difficili… sento il bisogno di ritornare lì. In quella camera dove tutto è rimasto classificato con amore, dove i titoli dei brani sulla copertina delle cassette sono battuti diligentemente a macchina, dove i momenti preziosi di quel passato restano custoditi. Il rifugio mentale che mi permette di non tradire mai la mia giovinezza». La scrive Max Casacci la prefazione al nuovo libro di Luca Ragagnin Autoritratto in Vinile edito Miraggi, con le foto di Alberto Ledda, che lo scrittore presenterà oggi alle 18.30 al Blah Blah in compagnia del leader dei Subsonica e di Flavio Ferri dei Delta V che si esibirà in alcuni brani tratti dal suo nuovo album Testimone di passaggio , i cui testi sono stati scritti in toto da Ragagnin.
In quella cameretta azzurra che ricorda Casacci lei ci è tornato. «È stata la mia cameretta di bambino e oggi sono tornato a frequentarla come uomo adulto. Era diventata la stanza dei gatti di mia mamma Giuseppina, che era professoressa di lettere e che è stata la persona che mi ha trasmesso la passione per i libri, mi insegnò a leggere che ero molto piccolo. Cinque anni fa, quando è mancata, ho sfidato qualunque legge della psicanalisi e sono tornato in questa casa e l’ho ripristinata esattamente com’era 30 anni prima. Per prima cosa ho fatto ridare quell’azzurro che i miei amici ricordano alle pareti della mia stanza. È esplosa: ci ho messo dentro 30 anni di musica e di libri. Di dischi ne avrò sui diecimila titoli, i libri stanno intorno ai seimila. Tanti li comprai al villaggetto di bancarelle sotto il tetto di lamiera in corso Siccardi che purtroppo non c’è più».
È la casa di Luca grande o di Luca piccolo? «Di Luca grande. Anche se non è facile ritornare nel luogo dove sei cresciuto. Negli ultimi anni ho scritto un grande romanzo, nel senso di dimensioni poderose, in cui c’è il tema dell’infanzia e della memoria, non è un memoir ma una storia composita che dovevo scrivere per andare altrove. Volevo chiudere i conti con quel ragazzino. Inizia negli anni 70 e finisce l’11 settembre. Uscirà il prossimo anno».
Cos’è invece «Autoritratto in vinile»? «Un libro occasionale. Sono piccole scritture nate in un periodo in cui, ogni giorno per sei mesi, pubblicavo su Facebook un disco e un libro affiancati da alcuni miei aneddoti personali, ben lontani dal voler essere una critica musicale o letteraria. Ne pubblicai 150. Non sono mai più stato e né mai sarò tanto attivo sui social. Per il libro ne abbiamo scelti 50».
Quali? «Con i ragazzi di Miraggi, che da qualche tempo è la mia casa editrice, siamo stati severi per eliminarne 100. Abbiamo scelto quelli dove entravo più come autore e meno legati al quotidiano. Non faccio il professorino della musica, ma c’è una sorta di proselitismo musicale un po’ nascosto: c’è molta musica anni 70».
C’è qualche brano del suo autoritratto che ama di più? «Il primo, che è su Ummagumma dei Pink Floyd, un disco che entrò nella mia vita di quattordicenne nel 1979. La prima volta lo ascoltai in cuffia, e non c’erano i volumi e continuavo ad alzare. C’era un tappeto sonoro bassissimo che poi erompeva con un urlo agghiacciante di Roger Waters. Io, che avevo il volume al massimo, feci un salto terrorizzato e versai il caffè ovunque».
Da dove si parte per scrivere il testo di una canzone? «È una questione di sartoria, bisogna mettersi al servizio completo dell’artista e della sua storia. Tutte le mie collaborazioni con vari musicisti sono nate in maniera spontanea. Nei prossimi mesi potrebbe cominciare un mio corso dedicato al song writing per i ragazzi che fanno trap. Per loro la parola è molto importante».
Due anni dopo Paris Canaille, dedicato alla canzone francese, ritroviamo Giangilberto Monti con un libro su un’icona della cultura popolare francese: Coluche.
Si intitola Coluche, il comico politico il nuovo libro di Giangilberto Monti, scrittore, chansonnier, autore per radio e televisione, studioso della canzone francese e di cabaret. Dopo il successo di Boris Vian. Il principe delle notti di Saint-Germain-des-Prés, Monti ha scelto di raccontare Michele Colucci, in arte Coluche, il più geniale e popolare comico di Francia, che all’apice del successo decise di candidarsi alle Presidenziali del 1981. Il suo manifesto elettorale diventò un violento j’accuse contro la corruzione e l’insipienza dei politici: “Prima di me la Francia era divisa in due, con me sarà piegata in quattro dal ridere”. Tra lo stupore generale, i sondaggi andarono alle stelle, ma Coluche all’improvviso si ritirò dalla competizione ed entrò in depressione. Dopo un periodo difficile tornò a recitare e nel 1983 vinse il Premio César come migliore attore per la sua interpretazione nel film Ciao amico (Tchao pantin); seguirono due film di Dino Risi, tra cui Scemo di guerra (1985), i cui protagonisti erano lo stesso Coluche e il comico italiano Beppe Grillo. Nel 1985 lanciò una campagna nazionale contro la povertà e la dissipazione delle risorse, inventando i “Ristoranti del Cuore”. Morì ad appena 41 anni, nel 1986, in un incidente automobilistico mai del tutto chiarito.
«Questo libro – avverte Monti – non è un saggio storico o un pamphlet politico, ma una biografia romanzata e divertita del buffone più amato di Francia, perché la storia di Coluche ci aiuta a capire quello che ha attraversato anche il nostro paese. Se la comicità diventa una branca della politica, allora la politica è solo una delle tante industrie dello spettacolo? O forse la satira è un ingrediente necessario alla democrazia e allora, nell’eterna lotta tra il re e il buffone, poiché l’orrore è umano, riderci sopra ci aiuta a vivere”.
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