MUSICA SOLIDA. “QUANTE AVVENTURE IN QUEL VINILE” – recensione di Francesco Prisco su Il Sole24Ore

MUSICA SOLIDA. “QUANTE AVVENTURE IN QUEL VINILE” – recensione di Francesco Prisco su Il Sole24Ore

QUANTE AVVENTURE IN QUEL VINILE

L’invenzione degli apparecchi per la riproduzione del suono sarà anche di quattro secoli successiva a quella della stampa, ma la storia dell’industria discografica ha più di un punto in comune con quella dell’editoria. Tanto per cominciare, in entrambi i casi abbiamo a che fare con un’attività economica che vende contenuti. Alti o bassi, che si tratti di opere d’arte o lavori di mero intrattenimento, di esperimenti o materiali divulgativi. E la parabola tra le due “industrie” presenta numerosissime analogie: c’è un’età pionieristica a dimensione artigianale, poi crescono i consumi e. parallelamente, si evolve la tecnologia, dall’artigianato passiamo alla dimensione industriale. Alla fine si arriva a uno scenario di concentrazioni: pochi player di grandi dimensioni che danno le carte, mentre fuori dalla porta si muove un panorama felicemente disordinato di piccoli soggetti che, per comodità, chiamiamo indipendenti.

Riflessioni che arrivano puntuali dopo la lettura di Musica solida Storia dell’industria del vinile in Italia, voluminoso saggio scritto da Vito Vita. Il titolo è come se contenesse una polemica implicita nei confronti di quello che, quando adesso parliamo di music business, è lo spirito dei tempi: la cosiddetta musica liquida, una specie di precipitazione dei principi teorizzati da Zygmut Bauman in un universo nel quale, fino a ieri, comandavano le major ma oggi abbiamo le piattaforme di streaming come Spotify e Apple Music a capotavola. Vagli a spiegare a un millennial cresciuto a pane e visualizzazioni YouTube che c’è stato un tempo in cui i “padroni delle ferriere” erano quelli che avevano il potere di imprimere la tua voce su un microsolco, promuoverti attraverso un festival e distribuirti in tutto il Paese. Storie dell’altro ieri, prima che la crisi di Napster mettesse in ginocchio il settore. Storie che Vita dimostra di conoscere benissimo: dai primi esperimenti di voce registrata su fonografo e grammofono, dalle intuizioni di Thomas Edison ed Emile Berliner e dai cilindri e dalla gommalacca. L’approccio è, in prima battuta, quello di raccontare il fenomeno a livello internazionale, per scendere quindi a livello dell’Italia: eccoti l’ingegner Joseph Nigra, rappresentante per l’Italia di Edison che, alla fine dell’Ottocento, gira il Paese per illustrare la stravagante invenzione della macchina che riproduce il suono.

L’ordigno ci mette poco a trovare terreno fertile nel Paese del Bel Canto che, nell’epoca della Belle Époque, ha due capitali musicali: Milano e Napoli, la città della Scala e quella della Piedigrotta. La musica, prima di venire incisa, circola essenzialmente scritta e a queste latitudini prosperano le case editrici specializzate in repertori musicali: a Milano c’è Casa Ricordi, a Napoli i vari Curci, Bideri, La Canzonetta, quasi in tutti i casi imprese a gestione familiare. Se la Ricordi dovrà aspettare fino al 1958 per avere un’etichetta discografica, ai piedi del Vesuvio apre subito i battenti la Società Fonografica Napoletana destinata a diventare Phonotype, label indipendente specializzata in canzone tradizionale. Per il resto, il potenziale del mercato italiano è un’occasione colta soprattutto da aziende e imprenditori stranieri. A Milano ne arrivano in tanti, nel primo e nel secondo dopoguerra: la francese Pathé, le tedesche Parlophon e Odeon, la inglese His Master’s Voice che qui da noi si chiamerà Vcm (1931), prima di diventare Emi Italiana (1967), ma anche lo scaltro impresario ungherese Ladislao Sugar che, con Messaggerie Musicali, diventerà punto di riferimento per la distribuzione, prima di allargare il proprio business alla incisioni con la Cgd comprata da Teddy Reno, e le famiglie svizzere Carisch e Gürtler, quest’ultima destinata a scoprire un certo Adriano Celentano con le etichette Music e Jolly. Gli anni del boom economico e della relativa esplosione dei consumi musicali sono quelli del dualismo tra 33 giri e 45 giri che, qui da noi, si consumano nel derby tra Fonit Cetra, partecipata dalla Rai, e Rca Italiana, costola tricolore della multinazionale americana partecipata dall’Ior del Vaticano. Ma è un coro a più voci, nel quale ai soggetti indipendenti toccano spesso parti di primo piano. In specie se si tratta di etichette fondate da artisti, come il Clan Celentano o la Pdu di Mina.

La storia della discografia italiana è un’antologia di vicende umane avventurose, come quella di Nanni Ricordi, rampollo di cotanta famiglia che nell’estate del 1961, per dissidi con i nuovi azionisti della Casa, passa alla Rca Italiana portando con sé Sergio Endrigo e Gino Paoli. Lo scopre Vincenzo Micocci, leggendario direttore artistico di Rca Italiana, e decide di fare il medesimo percorso Milano-Roma in senso inverso, trasferendosi alla Ricordi. Ci sono Gianni Sassi e Sergio Albergoni che, nei primi anni Settanta, fondano la Cramps offrendo campo libero a rivoluzionari delle sette note come gli Area, punta di diamante della stagione progressive. Quante avventure in una storia sola. Quanta sostanza nella musica solida.

 

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MUSICA SOLIDA – intervista di Alessandro Bottero su Classic Rock

MUSICA SOLIDA – intervista di Alessandro Bottero su Classic Rock

MUSICA SOLIDA

LA MUSICA È SOLIDA, SOLIDISSIMA. MA FORSE, SENZA IL VINILE ABBIAMO PERSO QUALCOSA. IL LIBRO DI VITO VITA RIPERCORRE LA STORIA DEL VINILE E DELL’INDUSTRIA DISCOGRAFICA IN ITALIA

Il sottotitolo recita “Storia dell’industria del vinile in Italia”. Ma è davvero esistita da noi una industria del vinile?

Certo: gli stabilimenti della Ariston a San Giuliano Milanese (che fabbricavano anche i flexy pubblicitari e le “cartoline che cantano”) o quelli della Durium a Erba erano fabbriche a tutti gli effetti, e le aziende erano strutturate con staff dirigenziali, amministratori, strategie di programmazione e così via. Un mondo che occupava migliaia di persone e che ormai è scomparso.

La musica solida è la musica riprodotta in modo industriale. Prima la musica si ascoltava, si ricordava, si studiava, si eseguiva a modo proprio… E oggi?

Oggi paradossalmente si ascolta molta più musica, pensa al sottofondo nei negozi oppure al supermercato, ma tutto scorre via sulle nostre orecchie senza lasciare tracce.

Il tuo libro inizia con la storia della tecnologia con cui si registra e riproduce la musica. Perché?

Era utile inquadrare la nascita della Phonotype nel 1903 e quella delle prime case discografiche milanesi sin un contesto di diffusione nel nostro Paese delle invenzioni d’oltreoceano, grazie ad alcuni pionieri: in questo capitolo tra l’altro c’è una mia scoperta, fatta consultando gli archivi dei quotidiani d’epoca, sul ruolo avuto dall’ex garibaldino Enrico Copello. Dal punto di vista storico, credo che sia una delle cose più interessanti del volume. Il discorso sulla memoria è però alla base di tutto il libro, non di un singolo capitolo: in ogni ambito, l’Italia pare essere un Paese senza memoria.

Nel 1955 “le vendite dei 78 giri e dei primi 45 giri ammontavano a sette milioni di copie”. E oggi?

Siamo messi male. La situazione però non è paragonabile. La musica si ascolta dappertutto e viene meno quindi il desiderio di acquistarla. Sopravvive il live.

Negli anni 60 ci fu il boom dei 45 giri. Da cosa dipese secondo te?

Dal boom economico: all’inizio degli anni 60 la crescita di un ceto medio che comprava la Seicento, andava in vacanza al mare e acquistava i 45 giri. Poi, a metà decennio, con l’arrivo del beat i giovani per la prima volta vennero individuati come consumatori.

Nei 70 mutò il paradigma: dal 45 al 33. Cosa cambiò?

Nel 1949, di ritorno dagli Stati Uniti, Edgardo Trinelli della Fonit-Cetra previde l’affermazione del 33 giri, che consentiva di sviluppare un discorso artistico più completo, e in effetti l’avvento sul mercato degli Lp rese possibili progetti più complessi, i cosiddetti “concept album”. Il primo in Italia fu nel 1963 DIARIO DI UNA SEDICENNE di Donatella Moretti. L’affermazione definitiva negli anni 70 avvenne con il diffondersi prima del prog e poi dei cantautori, ma sostanzialmente non è che la promozione discografica sia cambiata più di tanto. È cambiata la funzione della radio: Per voi giovani poteva ogni tanto trasmettere un album completo (lo fece con TERRA IN BOCCA dei Giganti), ma in televisione casi del genere erano meno frequenti.

Negli anni 80 l’avvento del Cd rappresentò davvero la fine dell’industria del vinile in Italia?

Sicuramente: nel corso degli anni 80 chiudono aziende storiche come la Ri-Fi, la Durium, la Ariston, e altre vengono acquisite da grandi gruppi stranieri come la RCA Italiana. Il fenomeno continuerà negli anni 90 con la Ricordi e la Fonit-Cetra, per esempio.

 

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BOLAÑO SELVAGGIO – recensione di Gennaro Serio su Alias

BOLAÑO SELVAGGIO – recensione di Gennaro Serio su Alias

ALIAS DOMENICA

Bolaño, un florilegio di scritti per ricostruire le influenze continentali

Critica latinoamericana. Contributi saggistici e accademici sullo scrittore cileno: «Bolaño selvaggio», da Miraggi

Roberto Bolaño (1953-2003)

In un memorabile passaggio dei Detective selvaggi uno dei due protagonisti, Arturito Belano – giovane poeta invischiato nelle prime, focose battaglie stilistiche ed esistenziali – sfida alla sciabola un critico letterario che forse vuole dire male del suo ultimo libro. L’esito del duello, su una spiaggia isolata di Barcellona verso sera, è incerto.
Non è dato sapere se la lama del poeta abbia raggiunto l’insoddisfatto recensore, tuttavia ben altri sentimenti avrebbero animato Roberto Bolaño se avesse potuto tenere tra le mani il florilegio di scritti che lo riguardano e che ora arrivano in Italia tradotti da Marino Magliani e Giovanni Agnoloni per Miraggi.

È una raccolta pubblicata in spagnolo nel 2008 e rivista nel 2013, sotto il titolo Bolaño selvaggio (pp. 437, euro 24,00) a cura di Edmundo Paz Soldán e Gustavo Faverón Patriau, studiosi e scrittori sudamericani di formazione accademica statunitense; un volume che cerca di dare conto della vastità dell’influenza dell’opera di Bolaño mettendo assieme testi tra loro molto disomogenei, organizzati con un criterio improntato più alla suggestione che non a un vero rigore espositivo.

Apre un’illuminante introduzione di Paz Soldán, mirabile nel chiamare in causa Julio Cortázar e il suo racconto seminale Apocalisse a Solentiname per collocare Bolaño nella «tradizione apocalittica» della letteratura sudamericana. Il primo e l’ultimo testo della raccolta riportano parole dello stesso autore cileno («Discorso di Caracas» e un’intervista inedita di Sónia Harnández e Marta Puig). Nel mezzo, alcuni studi inediti (non tutti significativi) danno un saggio dei nuovi percorsi che la critica accademica – in America latina, in Spagna e negli Stati Uniti – ha intrapreso nello studio di un corpus letterario che va acquisendo, negli anni, una forma sempre più consistente.

Molti lavori di natura saggistica guardano allo scrittore cileno da prospettive biografiche e bibliografiche non convenzionali: alcuni inediti, ma anche molti testi già noti, a firma di scrittori e critici, in alcuni casi autori vicini a Bolaño o più spesso appassionati conoscitori della sua opera. Tra i più significativi, il saggio dello stesso Faverón Patriau sul rapporto dell’autore di Puttane assassine con la tradizione letteraria argentina, e lo scritto di Enrique Vila-Matas tra ricordo personale e sovrapposizioni Bolaño-Perec. E, ancora, i testi di Jorge Volpi, di Juan Villoro, e soprattutto del cileno Carlos Franz sulla malinconia in Bolaño. Allucinato dai «poeti senza opera» dei Detective selvaggi, Alan Pauls dichiara anch’egli la sua ammirazione.

Di certo utile, Bolaño selvaggio restituisce bene la tentazione di canonizzare in fretta uno scrittore che forse non lo avrebbe gradito: non al punto di arrivare a brandire la sciabola, certo, anche se a un intervistatore secondo lui troppo generoso con la sua opera, rispose, mimando Breton: «Chi sono io»?

 

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

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MUSICA SOLIDA di Vito Vita – recensione di Francesco Coniglio su “Vinile”

MUSICA SOLIDA di Vito Vita – recensione di Francesco Coniglio su “Vinile”

MUSICA SOLIDA. STORIA DELL’INDUSTRIA DEL VINILE IN ITALIA

L’industria discografica italiana nasce tra il 1899 e il 1901 a Milano e a Napoli, fiorisce per tutto il Novecento riempiendo di milioni di copie di pesanti 78 giri le case degli italiani, esplode negli anni 60 e 70 con i 45 giri e gli Lp e inizia un inesorabile declino negli anni 80, soppiantata dalla musica liquida. In 120 anni di storia, ci sono meno di dieci libri che possono concorrere a storicizzare il supporto fonografico, e sono tutti incompleti e parziali.

Oggi, ed è il caso di sottolineare finalmente, esce il testo di riferimento: Musica solida. Storia dell’industria del vinile in Italia (408 pagg., Miraggi Edizioni, 23 euro), di cui è autore una nostra vecchia conoscenza, Vito Vita. Nei nostri oscuri anni, in cui oltre alla musica si è liquefatta la memoria storica, si mandano al macero gli archivi, non si leggono più i giornali e i libri, la scrittura e la lingua parlata si sono impoverite come mai, c’è ancora qualcuno che raccoglie le informazioni con il metodo classico dello storiografo. Vito Vita ha concepito questo libro durante una cena nel 2009, nel ristorante Terra, sulla via Nomentana a Roma, sorto negli ex locali del Cenacolo della RCA Italiana. complici della sua visione, il sottoscritto, Michele Neri, Maurizio Becker e Luciano Ceri, praticamente il nucleo fondatore della nostra rivista «Vinile» e della mitica «Musica Leggera». In dieci anni di lavoro, Vito Vita ha fatto centinaia d’interviste, ha compulsato migliaia e migliaia di pagine di periodici e quotidiani nelle biblioteche, ha ricostruito, con la certosina e ossessiva precisione che ben conosciamo, gli avvenimenti, le circostanze, le date, e la storia delle persone che hanno vissuto l’avventura di cento anni di discografia italiana. Un libro di Storia che gratifica i sopravvissuti che ne hanno condivisa una parte, un libro di riferimento che traccia la strada per la ricerca che, ci auguriamo, fiorisca nei prossimi anni.

Il corredo di note a piè di pagina percorre la bibliografia e le fonti, l’indice dei nomi è presente ed efficace, la cura editoriale del volume è ineccepibile, e son tutte rarità nella cialtronesca editoria attuale. La prefazione di Giangilberto Monti non saltatela perché è divertente. Questo libro dobbiamo acquistarlo tutti!