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Il bambino intermittente – recensione di Dario Voltolini

Il bambino intermittente – recensione di Dario Voltolini

Questo librone è un libro leggerissimo. La sua vasta e perenne nevicata verbale copre e ricopre di candore un territorio che, tutto bianco, ci appare come sconfinato. Ha invece dei confini, ma noi non li avvertiamo perché Luca Ragagnin è un fuoriclasse del montaggio e il suo racconto corre, si impenna come un cavallo imbizzarrito, dilata in lunghe e molto belle pagine dialoghi di un momento, inventa a getto continuo cose, persone, situazioni, si riallaccia continuamente in sé stesso con rimandi vertiginosi messi lì sulla pagina pacatamente, tra parentesi in apparenza umili, comprime il Tempo mentre espande i singoli tempi. L’oceano di parole allestito dallo scrittore ha qualcosa di mirabolante: cioè è bello perdersi fra le sue onde, le sue correnti, senti che alla fine le quasi 700 pagine avrebbero potuto essere il doppio, perché le parole, qui, oltre ad avere il loro senso hanno anche una funzione particolare, che confluisce in un senso più ampio e generale. La funzione, che è a loro conferita dall’agilissima scrittura dell’autore, è quella di andare a dissodare un intrico di tempi, quello storico e quello personale, quello psicologico e quello immobile di un’infanzia e giovinezza cristallizzate. È una funzione di scoperta e insieme di copertura. È di scoperta perché tutte le figure che compongono il racconto e che attraversano il piccolo Berg (il bambino intermittente, ma anche una montagna) vanno a costellarsi in una formazione che probabilmente neppure l’autore si prefigurava all’inizio di questa straordinaria esperienza di scrittura (lo si intuisce dalla libertà che spira da tutte le frasi e che non esisterebbe se il progetto fosse stato tutto disegnato in anticipo). Dunque è una scoperta anche per l’autore, per il narratore e figuriamoci per il lettore. Ma è anche una funzione di copertura, perché la generosità e la ricchezza dell’affabulazione – la penna che scivola sulla pagina in stato di grazia e senza attrito – coprono qualcosa di abissale che si fa presto a chiamare “vuoto”, ma che vuoto non è: è piuttosto uno spazio tremendo fatto di paura e inesistenza, fatto di ondate di fumo nero e tossico, fatto di emozioni indicibili e maledettamente inevitabili, che riguardano la vita e la morte come un tutto, l’esserci e il sentirsi nulla incollati insieme in un organismo disperato. Qui il libro di Ragagnin va visto come un prodotto eroico, secondo me. Io vedo questo libro come la registrazione verbale, e pertanto preziosamente a disposizione di chi lo legge, di un atteggiamento che è dell’autore e che viene autodefinito come bulimico. Bulimico di che? Molto semplicemente della vita, direi. Un segno di questo sta nella mostruosa conoscenza musicale di Luca, tale per cui viene da chiedersi come sia possibile che tutti i brani che conosce totalizzino insieme un tempo di ascolto che supera di molti lustri il tempo della sua vita cronologica: li ascolta tutti insieme? Ha un acceleratore musicale in casa? Ha un’entrata nel cranio per fare un rapido download di tutto quanto? Qui nel suo libro la musica ha l’importanza che deve avere, ma è anche oggetto di smisurato amore, la bulimia di Luca è un atto d’amore. In questo libro si entra da tutte le parti e si esce anche da tutte le parti. Ma se si sceglie di uscire linearmente dalla fine, rimaniamo con questa immagine centrale e neuronale della perpetua costruzione di “nuovi edifici che crolleranno”, poiché questo fanno i nuovi edifici, crollano (struggente saluto, in epilogo, agli Einstürzende Neubauten).

QUATTRO GIORNI – recensione di g.cr. su Repubblica (Torino Libri)

QUATTRO GIORNI – recensione di g.cr. su Repubblica (Torino Libri)

Novantasei ore per salvarsi

Quattro giorni concessi dalle autorità penitenziarie a seguito di un lutto in famiglia a un uomo che sta scontando una condanna per traffico internazionale di stupefacenti; novantasei ore per tentare di salvarsi da una malattia che minaccia di ucciderlo. Ambientato tra le valli del ponente ligure e le lande peruviane chiuse e buie o all’improvviso accecate dal sole, con prefazione di Dario Voltolini, il romanzo a fumetti “Quattro giorni” pubblicato nella collana “MiraggINK” della torinese Miraggi è tratto da “Quattro giorni per non morire” dello scrittore e poeta Marino Magliani (Sironi, 2006). «Una storia cruda, dura, emozionante e asciutta», come la definisce Voltolini, scaldata dall’eco della letteratura sudamericana di cui Magliani è innamorato. La sceneggiatura è firmata da Andrea B. Nardi e le tavole dal torinese Marco D’Aponte, diplomato all’Accademia Albertina, che nel 2000 ha disegnato il fumetto più grande del mondo, la “Storia del traforo del Frejus”, collocato in Piazza Statuto. Sue anche alcune storie de “La valigia del cantastorie” di Guido Ceronetti, due graphic novel tratte dai gialli del commissario Martini, “Tazio Nuvolari, compagno del vento” sceneggiato da Pit Formento, “Cento anni nel futuro” di Riccardo Migliori e “Sostiene Pereira”, adattamento di Marino Magliani del romanzo di Tabucchi.

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