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Langhe inquiete – recensione di Loredana Cilento su Mille Splendidi Libri e non solo

Langhe inquiete – recensione di Loredana Cilento su Mille Splendidi Libri e non solo

“Le inquiete Langhe dal cielo di piombo”

Lo scrittore Marco Giacosa, autore de Il pranzo di nozze di Renzo e Lucia, Miraggi, 2017, il saggio L’Italia dei sindaci add, 2015, la serie  DisasterChef , Miraggi, 2014, e la raccolta di racconti L’occhio della mucca, MarcoValerio, 2014, ritorna in libreria sempre per la casa editrice piemontese Miraggi,  con un memoir dedicato  a suo padre, una storia di paesi e di colline, e a suo nonno con il quale ha vissuto l’infanzia in campagna giocando con gli animali, studiando i nidi delle formiche e  cercando il muschio.

Marco Giacosa ripercorre i sentieri dei suoi ricordi nelle Langhe Inquiete, una biografia dedicata alla sua famiglia, ai suoi affetti, tra partite di pallone, i primi amori, ma soprattutto ripercorrendo la vita dei suoi genitori, il padre veterinario che ha sempre mantenuto i suoi principi onesti della professione, non si è mai arricchito a spese degli indifesi nella lotta del potere, e Marco si scopre essere identico a lui “perché sono come te, perché io me ne frego se i professionisti come te si sono arricchiti e tu no. Piango come un bovino perché ti sei sentito di questo colpevolmente incapace, io che invece per questo ti ho amato, padre.”

Un passaggio delicato, profondamente intenso che racchiude la storia di un uomo che curava anche i cani dei sinti piemontesi, senza alcuna remora, senza alcun pregiudizio.

Nei suoi racconti di bambino che diventano sempre più maturi,  il rapporto genitoriale che assume spesso – come in qualsiasi famiglia – i tratti della conflittualità e della ribellione, ma sempre con pacatezza e condivisione. Sono frammenti, ritagli di immagine di un passato vissuto in una cultura che ostenta una pervicace devozione religiosa,  ma anche l’impronta di un luogo ancora intimidito dalle superstizioni dove si narra del canto della civetta, un canto che agli occhi di un bambino può incutere paura, la paura della morte.

“Sei una roccia che si sbriciola, occhi dolcissimi che guardano lontano, seppure l’infinito sia ora il corridoio, sei bellissima perché il male non riesce a spegnere il tuo sguardo. Quando sorridi incanti.”

In queste bellissime parole, Marco affida il ricordo della sua amata madre, della sua malattia e del suo lavoro alla Ferrero e di come siano cambiati i tempi, da una piccola comunità di lavoratori, alle grandi realtà moderne.

“Reinventarsi è la parola che accompagna delocalizzazione. Per una persona che in un posto si reinventa, ce n’è una che altrove migliora la qualità della vita.”

Una realtà – oggi –  ben diversa da quella degli anni settanta, che si affacciava al nuovo decennio, cosa sia meglio o peggio rispetto ad allora non è facile a dirsi, resta sempre e comunque la memoria di un vissuto cementato nel profondo e di una idea di casa mai abbandonata sempre e comunque viva nel ricordo

Sono flashback di  langhe, si inquieta, perché  racchiudono una inquietudine interiore, ma anche forse il ritratto di un luogo in bianco e nero che narra le storie dei suoi protagonisti, e di un bambino che giocava a pallone elastico.

“Sciolgo la barca e ti faccio salire, il mare si calma, ti sospingo via, lontana, è ora che il male vada, che rimanga tutto ciò che sei libera dal male, dalla morte, è ora che tu vada, ti faccio morire, mamma, è il più bel regalo che possiamo farci.”

QUI l’articolo originale:

MONA – recensione di Loredana Cilento su Mille Splendidi Libri e non solo

MONA – recensione di Loredana Cilento su Mille Splendidi Libri e non solo

«Nessuno vuole morire» sussurra Mona. «Si sforzano tutti di vivere, di sopravvivere. Si aggrappano tutti alla vita, anche quelli a cui resta solo mezzo cervello e senza una gamba. Nessuno vuole morire».

L’affermata scrittrice ceca Bianca Bellovà ritorna, dopo il grande successo di critica de Il lago, con un libro davvero eccezionale, Mona edito da Miraggi e tradotto sapientemente da Laura Angeloni.

MONA
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Della trama sappiamo solo che è in corso una guerra, che spazza via interi palazzi, lasciando nuvole di polvere, i soldati feriti dal fronte vengono portati all’ospedale dove esercita Mona, sono talmente tanti che sono ammassati sui muri.

Mona la nostra protagonista ha avuto una vita difficile, da piccola è stata richiusa per mesi in una botola per nascondersi da chi aveva portato via i suoi genitori. All’ospedale viene ricoverato un giovane soldato a cui hanno amputato una gamba, Mona se ne prende cura, e le loro giornate sono scandite dai loro racconti del passato.

Mona sa quanto sia facile soccombere alle visioni, quanto impercettibile sia il passaggio tra sanità mentale e assoluta pazzia, ha comprensione per lui, gli preme una mano sulla fronte e pronuncia parole rassicuranti, non potendogli somministrare sedativi.

Mona ha superato suo malgrado le avversità della vita scrivendo poesie, non a caso conosciamo il potete salvifico della scrittura, e attraverso un linguaggio cifrato, scrive i suoi pensieri.

Mona affronta il bigottismo religioso, non ama coprirsi il capo e anzi sfida il veto imposto andando in giro senza il foulard, Mona è una donna audace che non teme i pettegolezzi.

“Esistono molti tipi di umiliazione, Mona ne conosce a migliaia, per sentito dire e per esperienza diretta. Gli uomini che incrociandola per strada fanno schioccare la lingua. L’impiegato della banca che ticchetta impaziente con la matita sullo sportello, senza prendersi la briga di aprir bocca, quando Mona si attarda troppo a cercare un documento. Gli inopportuni palpeggiamenti sull’autobus. Gli infiniti parlottii, essere chiamata puttana quando esce con la testa scoperta”

La narrazione è strutturata tra passato e presente, con gli eventi che hanno caratterizzato la vita di Mona e il soldato Adam, fino ai momenti correnti.

In un lento divenire, una Mona bambina fino a una Mona moglie e madre; per entrambi sono esplorazioni intime, pensieri ed emozioni che scorrono come un fiume in piena, entrambi hanno bisogno l’uno dell’altro.

Mona è un libro notevole dove i sentimenti sono i veri protagonisti, una storia che incolla il lettore alle sue pagine, e dove la fermezza di carattere porterà Mona a liberarsi finalmente da un passato ormai perduto come la sua infanzia, come le case e i balconi distrutti dalla guerra.

“Contro gli spessi muri della stanza i pensieri sbattono e rimbalzano rimbombano in una valle sorda e il sonno è l’unico incantesimo che la liberi dal desiderio

Bianca Bellová (1970) è una delle autrici più affermate della Repubblica Ceca.

Ha esordito nel 2009 con Sentimentální román (“ Romanzo sentimentale ”), ripubblicato in nuova edizione nel 2019, a cui ha fatto seguito nel 2011 Mrtvý muž (“ L’uomo morto ”), tradotto in tedesco, e due anni dopo Celý den se nic nestane (“ Non succede niente tutto il giorno ”).

Nel 2016 arriva il grande successo di critica e di pubblico de Il lago, tradotto in più di 20 lingue (in Italia in questa stessa collana) e vincitore nel 2017 di due importanti premi: il Premio Unione Europea per la Letteratura e il premio nazionale Magnesia Litera.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

CARA CATASTROFE – recensione di Loredana Cilento su Mille Splendidi libri e non solo

CARA CATASTROFE – recensione di Loredana Cilento su Mille Splendidi libri e non solo

Cara Catastrofe,
guardarti è come entrare in scena,
senza aver mai provato la parte.

Cara Catastrofe, la silloge poetica della giornalista Felicia Buonomo, Miraggi Edizioni 2020, si muove in una dimensione ricca di immagini e di assonanze. Sono soprattutto versi ispirati all’universo femminile, all’amore che sempre troppo spesso ne assume un altro volto, quello della violenza e degli abusi, dove la vita delle protagoniste procede per sottrazioni , dove l’amore  viene portato via dall’amore.

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Felicia sottolinea che molti spunti sono reali, “sottratti”se così vogliamo dire, alla vita, alle storie che ha vissuto come testimone trasferendo i fatti in versi.

Felicia ha tessuto con un grande afflato, armonizzando i vari fili delle storie incontrate e rendendo il lettore partecipe del dolore, della violenza e dei segni che un amore neutralizza l’amore.

E così si incartano le tristezze ordinate alfabeticamente…piegando le inquietudini.

Un amore che si insinua dentro per diventare figlia della paura.

Sono storie dolorose dove anche l’indifferenza ha la sua colpa, donne che vivono il supplizio all’interno delle pareti domestiche e dove le grida si soffocano nel dubbio della colpa, ci si domanda sempre se tutto questo male, la sua fonte mortale risieda dentro quei corpi martoriati dall’amore.

Ogni corpo ferito è il simbolo di un passato violento, di un presente agonizzante e di un futuro incerto.

Nel bene e nel male.
Finché morte – mia,
per mano tua – non ci separi.

I Versi di Felicia mi sono rimasti attaccati dentro, si sono insinuati sottopelle, hanno percorso ogni singolo tratto del mio corpo per arrivare nella parte più recondita della mia anima e sono implosi in un abbraccio catartico.

Valerio Di Benedetto nella sua postfazione a Cara catastrofe scrive:

“Lo amerete questo libro e a Felicia vorrete un bene smisurato, ne sono certo, perché lei è quell’eroe romantico che abbiamo sempre sognato di essere da bambini, una Lancillotto moderna che non ha paura di rompere gli equilibri, i silenzi, di gridare la verità.”

Ed è così…vi garantisco!

La poesia di Felicia è turbamento, è ossessione, è silenzio, è dolore, ma è soprattutto una voce, un grido sussurrato di speranza che purifica il tormento e il dolore.

Felicia Buonomo Dopo la laurea in Economia Internazionale, nel 2007 inizia la carriera giornalistica, occupandosi principalmente di diritti umani. Nel 2011 vince il “Premio Tv per il giornalismo investigativo Roberto Morrione – Premio Ilaria Alpi”, con l’inchiesta “Mani Pulite 2.0”. Alcuni dei suoi video-reportage esteri sono stati trasmessi da Rai 3 e RaiNews24. Successivamente pubblica il saggio “Pasolini profeta” (Mucchi Editore). Del 2020 è il libro “I bambini spaccapietre. L’infanzia negata in Benin” (Aut Aut Edizioni), diario di un reportage giornalistico sullo sfruttamento del lavoro minorile.

QUI L’ARTICOLO ORGINALE:

IN UN CIELO DI STELLE ROTTE – recensione di Loredana Cilento su Mille splendidi libri e non solo

IN UN CIELO DI STELLE ROTTE – recensione di Loredana Cilento su Mille splendidi libri e non solo

Il gol vincente di Lorenzo Mazzoni In un cielo di stelle rotte – Recensione di Loredana Cilento

 

“la verosimiglianza sta nei dettagli, che l’apparente verità è contenuta nei particolari, che tutte le storie possono essere migliorate o peggiorate a seconda di chi le racconta. Le performance teatrali, le confessioni davanti a un falò, i romanzi funzionano per il modo in cui vengono raccontati, non per quello che raccontano.”

 

Seduto alla sua scrivania, ricolma di fogli, appunti, fotografie, uno scrittore senza nome, con migliaia di libri attorno, il posacenere traboccante di mozziconi, mentre le vibranti note di vecchio giradischi, risuonano nell’afosa Ferrara/Bangkok, dà inizio a una storia sotto un cielo di stelle rotte.

 

Jimi Hendrix intona l’infinita Voodoo Chile

 

Quando un autore supera se stesso lo fa con un esercizio di stile impeccabile, Lorenzo Mazzoni con In un cielo di Stelle rotte (Miraggi Edizioni, 2019) riesce laddove molti tentano di varcare i confini dei  racconti, mettendo a segno un’opera davvero interessante.

Venti storie in cinque parti, dal 1930 al 2014, la storia attraverso i mondiali di calcio, un intreccio di eventi che si muovono in parallelo con le più attese sfide calcistiche in un turbinio di speranze e clamore.

 

E così prendono vita strani riti voodoo nel periodo dell’Italia fascista, per rinvigorire i giocatori e vincere una partita, ma a scapito di malcapitati; o mentre l’ Uruguay festeggia la vittoria, le Tigri di Mompracen vendicano una innocente ragazza barbaramente uccisa; o il ritorno dalle Falkland, dopo una guerra crudele che ha spezzato giovani vite.

L’innesto degli eventi è abilmente costruito da Lorenzo, i personaggi, le atmosfere, i dialoghi s’incastrano perfettamente nel susseguirsi di rapide e fulminee azioni…

 

“La palla calciata da Rahan cancella i demoni in maglia rossa e si infila in rete, alla destra di Gyula Grosics, suggellando il 3 a 2 per i dopatissimi teutonici contro i proletari e anticlericali magiari, Jacob Bloch si appoggia la canna sotto la gola e, dopo un sospiro, preme il grilletto” [1954 – Finale – Ungheria-Germania Ovest 2-3]

 

In un cielo di stelle rotte è anche un omaggio agli scritti, alla musica, a luoghi lontani nel tempo e nello spazio, echi di una cultura imprescindibile; un faro nel tempestoso e complesso mare della letteratura che sfocia spesso in opere modeste.

Lo scrittore senza nome si pone domande assai complesse, domande che spesso mi sono posta anch’io: “A volte mi chiedo come sia possibile che bipedi che non leggono possano bramare di scrivere e, cosa più raccapricciante, piacere a qualcuno…”

 

Leggere, sempre leggere, fortissimamente leggere, è il primo passo per iniziare a scrivere, e così che si scrivono le storie, è così che Lorenzo Mazzoni, attraverso un percorso narrativo affiancato dai grandi della letteratura mondiale, ha scritto un’opera di ampio respiro, vibrante e potente.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

Il gol vincente di Lorenzo Mazzoni In un cielo di stelle rotte – Recensione

MAZZARRONA – recensione di Loredana Cilento su Mille Splendidi Libri e non solo

MAZZARRONA – recensione di Loredana Cilento su Mille Splendidi Libri e non solo

I cardi ostili di Mazzarrona di Veronica Tomassini

Titolo: Mazzarrona

Autrice: Veronica Tomassini

Edizione: Miraggi

Pubblicazione: 2019

Pagg: 180

Recensione di Loredana Cilento

 

 

“Non volevo tornare a casa. La nostra solitudine morale era il terrore che dominava all’infinito ogni risveglio. Massimo era come me. La differenza era che esauriva il suo terrore con l’eroina. Io non avevo dove estinguerlo. Non avevo pace. Forse quei libri maledetti mi avevano rovinato

la vita, guastato i pensieri. Tenevo con me un paio di romanzi, li portavo in borsa, li leggevo ai compagni. Ma la vita era un’altra cosa. Oggi quando ripenso a noi, i compagni della valle, mi vengono i brividi. Non conoscevamo l’abbandono e la preghiera. Eravamo l’aspidistra di Orwell, duri al freddo e al caldo. Non ci siamo mai detti le nostre vite, confidati senza prima mentire. Avrei dovuto urlarvi sul muso: siete pazzi, morirete! siete pazzi.”

 

Leggere Mazzarrona di Veronica Tomassini (Miraggi Edizioni) è lacerante, doloroso, spietato, amaro, crudo: i colori sono sfumature compassionevoli di degrado urbano, una periferia fumosa, grigia, dai cardi, irti, ostili come occhi di drago. Lì si consumano le storie dei giovani degli anni ottanta, dalle poche parole slabbrate e impastate di eroina; è lei l’eroina non quelle delle favole che salva, bensì quella che ti lega un braccio e la vita. Sono storie di ragazzi emarginati, forse scontenti della vita o semplicemente rifuggono il presente per abbandonarsi e farsi cullare tra le spire della droga. Una liceale innamorata di un tossicodipendente… in attesa di un bacio che faccia boom

 

Mi avvicinai, il nostro bacio. Fu un boato in testa. Boom.

Oh, l’amavo. Non avevo ancora provato niente del genere.

Era fragile, bianco, però quando stavamo insieme, alle baracche,

succedeva qualcosa. E io dopo guardavo verso il

mare, lo immaginavo oltre la finestrella che sbatteva noiosamente.

 

Ma è un bacio che sa di metallo, un bacio all’eroina. Sono personaggi fragili il cui equilibrio è labile e si deforma in un contesto ostile, quella della periferia siciliana dove si intravedono pochi scorci di mare, l’azzurro del cielo è ottenebrato dalle ciminiere l’orizzonte offuscato dalle petroliere. Un profumo nell’aria che mette tristezza, come i giovani strafatti che giacciono ai piedi di un albero. Sono giovani deboli che si nascondono dietro falsi miti, in un paesaggio che li avvolge come un manto spettrale e il cemento arrogante.

 

Veronica Tomassini dipinge senza fronzoli, senza peli sulla lingua, con uno stile vero, sincero, crudo se vogliamo, ma sorprendentemente ammaliante; una narrazione impastata di realismo, non si fa scudo di una cultura letteraria incentrata sulle belle parole, ma scrive e scrive fiumi di parole che sanno di vita, di anime perse con cauta umanità.

 

Era la fine dei tempi.

Con delusione, capii che si poteva dimenticare. Ricordare,

dimenticando gli altri, il peggio, la vergogna. Il volto

bianco di Massimo. I suoi capelli bruni. Lui che mi chiede

al centro della pista: balli?

Io gli ho detto: sì

 

Veronica Tomassini vive in Sicilia ma è di origini umbre e abruzzesi. Scrittrice e giornalista, collabora con Il Fatto Quotidiano. Ama le ambientazioni suburbane, gli outsider, gli immigrati, chi sta fuori dal sentire borghese. Parla di antieroi e profeti delle panchine, di tutti coloro che rimangono sul bordo delle ciglia e che chiunque fa finta di non vedere.

Questo è il suo ultimo romanzo…e io aggiungo bellissimo!

 

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

I cardi ostili di Mazzarrona- Veronica Tomassini- Recensione

Il bruciacadaveri di Ladislav Fuks – Recensione a cura di Loredana Cilento su Millesplendidilibri

Il bruciacadaveri di Ladislav Fuks – Recensione a cura di Loredana Cilento su Millesplendidilibri

“Il futuro è sempre incerto. Nessuno sa che cosa ci aspetta o ci toccherà, l’unica certezza che abbiamo nella vita, è la morte”

Karel Kopfrkingl, il protagonista creato da Fuks nel 1962 nel grottesco e quasi surreale libro Il bruciacadaveri, pubblicato per la prima volta in Italia nel 1972, e oggi con una nuova traduzione a cura di Alessandro De Vito, per Miraggi Edizioni, è semplicemente geniale!

Fuks ha racchiuso nel morigerato e premuroso padre di famiglia e marito amorevole – al limite dello stucchevole – tutta l’atrocità e la contraddizione di uno dei periodi più abietti della storia: la follia delle persecuzioni naziste.

Praga 1938-39, Kopfrkingl è impiegato nel crematorio comunale, il suo Tempio della Morte, ama il suo lavoro a tal punto da giudicarlo un aiuto necessario a Dio per estirpare il male definitivamente, e far tornare in polvere, ciò che il Creatore ha disposto. Ma Karel, come dicevo, è anche un marito presente e innamorato della sua celeste moglie dai capelli neri (un particolare che spesso ritorna nelle sue affermazioni). Ossessivo, logorroico, abitudinario e maniacale, in cerca della perfezione estetica, ama adornare casa con ninnoli (di dubbio gusto), passeggiare con la famiglia, e recarsi spesso da un dottore, suo vicino di casa, specializzato in “malattie veneree”. Ma nell’epoca dei grandi movimenti nazisti per ristabilire e ripulire la razza ariana, Roman/Karel, si lascia soggiogare dalle idee nazionalsocialiste tanto da prendere in considerazione il divorzio da Lakmè/Marie, di origini ebraiche. La sua goccia di sangue tedesco ribolle, mostrando un angelo nero, che armato di cappio, ucciderà la sua celestiale moglie, mentre risuona la grande aria di Lucia.

“Quando Lakmé salì sulla sedia, il signor Kopfrkingl le accarezzò il polpaccio, le gettò il cappio al collo e con un tenero sorriso le disse:

« E se ti impiccassi, cara? »

Lei gli sorrise dall’alto, forse non aveva capito bene le sue parole, anche lui sorrise, calciò via la sedia ed ecco fatto.”

L’atto criminoso di Karel completa la trasformazione, il nazista che è dentro di lui implode, la follia ha raggiunto l’apoteosi riservando un destino crudele  al resto della famiglia.

Fuks ha rappresentato il male in tutto il suo orrore, ha creato un personaggio vestito da uomo perbene, zuccheroso oltremodo ridondante, che si lascia accarezzare dal diavolo (Willie Reinke) persuaso dalle ideologie di purificazione, (in seguito con la creazione delle camere a gas) calandosi, ad esempio, nei panni di un mendicante per spiare i nemici ebrei, inculcato dal suo serpente tentatore.

Sottilmente, Fuks sparge tanti piccoli particolari che riportano al periodo nazista, persino i solenni rituali di Karel, come leggere sempre lo stesso libro sul Tibet, per poi sfociare nella pazzia; anche l’ossessione della stanza da bagno, l’arredamento…

…e ancora, i nomi non hanno valore, la simbologia degli animali, dei capelli neri delle donne tutto meticolosamente orchestrato per dar vita alla morte, una macabra pantomima che porta in scena la ferocia di un leopardo e la subdola destrezza di un serpente, il tutto scandito dall’orario di viaggio della morte.

“La morte libera l’uomo dal dolore e dalla sofferenza”

 Il bruciacadaveri non risponde a nessuna domanda, anzi ne pone come tanti capolavori letterari. Inquietante e stupefacente!

 Ladislav Fuks è stato uno dei più noti e rappresentativi scrittori cechi del Novecento (Praga 1923 – 1994). La nuova traduzione è affidata ad Alessandro de Vito, mentre la

postfazione al noto boemista Alessandro Catalano.

Articolo originale qui: Il bruciacadaveri di Ladislav Fuks

Pontescuro di Luca Ragagnin – Recensione di Loredana Cilento su Mille Splendidi Libri e non solo

Pontescuro di Luca Ragagnin – Recensione di Loredana Cilento su Mille Splendidi Libri e non solo

«I veri pericoli a Pontescuro sono sopra, nella ricerca difettosa di pulizia e ordine.

Preferisco il popolo delle radici. Lìalmeno nessuno ammazza nessuno. Nel carnaio di sopravvivenza e nutrimento, dove sto io, nessuno farebbe quello che hanno fatto a Dafne. »

Dafne Casadio, figlia del signorotto di Pontescuro viene ritrovata morta con stretto al collo un nastro rosso: è facile incolpare lo scemo del paese, Ciaccio l’ amico sincero della scandalosa e spudorata  ragazza.

Pontescuro di Luca Ragagnin, edito da Miraggi Edizioni, è una favola noir, dove il male dimora nelle persone,  dove la nebbia, il fiume, una blatta e lo stesso cadavere di Dafne danno voce al male.,

« Mi chiamo Dafne Casadio e avrò per sempre ventiquattro anni. Sono morta da sette ore.»

Immaginate ora di essere nel lontano 1922 in un  piccolo paese di campagna dove il tempo resta sospeso, un paese diviso a metà da un ponte dove la continuità di questo luogo è data dall’interruzione, come le persone che sono nate e cresciute  qui, interrotte dai lori segreti o da peccati inconfessabili, ma del resto negli anni Venti tutto taceva sotto una coltre di piccoli e nefandi segretucci di paesi.

Un paese che non risente dei tempi che stanno cambiando, le case restano di paglia e pietra, il cuore di cento anime, poco più, è di paglia e pietra.

Tutti colpevoli, ma solo uno pagherà, l’unico innocente.

Una narrazione, quella di Pontescuro, semplice e diretta, ma che ti stupisce: un coro di voci astanti a dir poco  inconsueto, si fanno carico  di raccontare la morte e la vita della sfrontata Dafne.

Una ragazza nata con la luce nei capelli, un affronto per quel paese incolore e nebbioso.

Per le donne che chiudevano gli scuri al suo passaggio, per gli uomini che la desideravano, ma a Pontescuro i desideri non sono contemplati.

Pontescuro è una storia di male viscerale, di uomini e di donne, di bigotti che non percepiscono la vera essenza del bene, inneggiando senza scrupoli, puntando il dito, e sentenziando dal pulpito o dal banco di un tribunale di anime nere. Una bellissima storia amara, la spinta della gelosia fa commettere crimini orribili, oscurando il cuore degli uomini, che saziano la loro sete di vendetta, stringendo un nastro rosso, non di seta, non sarebbe stato adatto a sgualdrina. E infine l’amicizia tra Ciacco e Dafne e di una bellezza straordinaria…come straordinarie sono le pagine di Pontescuro che via via si lasciano leggere e amare…ti lasciano sospesi felicemente.

«Visti da lontano assomigliavamo a un quadro, uno di quei dipinti che le gallerie importanti delle grandi cittàrifiutano perché ce ne sono di migliori, nel genere, e nessuno ha bisogno di un paesaggista ubriaco. «Ma non eravamo ubriachi, soltanto sospesi, e nella sospensione, felici.

« Felici di essere una ghiandaia, lo scemo del villaggio e la sgualdrina ribelle. Felici di non avere soldi ma solo corde, stupore e aria, maledetti o compatiti da tutti. Felici di farci scappare il tempo dalle mani e dalle ali senza accorgerci nemmeno del tonfo che fa,

cadendo a terra. « Non piacevano a nessuno, quei due, ma a me sì»

 Luca Ragagnin è scrittore e paroliere.

Inizia a scrivere racconti e poesie nei primi anni ’80 e a pubblicare su rivista all’inizio dei ’90. Nel 1992 il testo teatrale “Eclisse del corpo” viene rappresentato a Torino e a Bologna.

È autore di romanzi (“Marmo rosso”, “Arcano 21”, “Agenzia Pertica”, “Pontescuro”), racconti (tra gli altri, “Pulci”, “Un amore supremo”), testi teatrali (“Misfatti unici”, “Cinque sigilli”) e poesie (tra le altre, le raccolte “Biopsie” e “La balbuzie degli oracoli”), tradotte in Francia, Svizzera, Portogallo, Polonia, Romania e Montenegro.

Nelle vesti di paroliere ha scritto testi di canzoni, tra gli altri, per Mina, Antonello Venditti, Garbo, Subsonica, Delta V, Totò Zingaro e Mao e la Rivoluzione.

 

Qui l’articolo originale: https://millesplendidilibriblog.wordpress.com/2019/05/16/pontescuro-di-luca-ragagnin-recensione/