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“Pontescuro”: novellistica gotica e allegoria nel capolavoro di Luca Ragagnin – a cura di Stefano Sgambati

“Pontescuro”: novellistica gotica e allegoria nel capolavoro di Luca Ragagnin – a cura di Stefano Sgambati

Se Pinocchio filtra con David Lynch, tra le campagne di una Twin Peaks padana. “Pontescuro”: novellistica gotica e allegoria nel capolavoro di Luca Ragagnin

«Nello spiazzo angusto, creato dalle case di Paolo di Ca’ Bassa e da quella di Giorgione, smangiate e polverose una di fronte all’altra come due duellanti senz’arme e stanchi, si formò un capannello di gente intimorita.
Un consesso di malati con i demoni nascosti sottopelle, disposti in semicerchio per potersi guardare tutti negli occhi e legarsi con l’incrocio degli sguardi a una fitta rete di salvataggio, ecco a cosa assomigliavano ora.
Erano ombre malvestite, in via di disfacimento, e diventavano, con il sole ormai issato nel vuoto, impietoso nella messa a fuoco del turbamento, esseri capovolti: l’umanità avuta in dote si rovesciava nelle viscere e il demone personale si arrampicava fuori dal buio, distendendosi sui lineamenti».

Ogni romanzo ha un difetto. Quello di “Pontescuro”, di Luca Ragagnin, è di non essere riuscito a “bucare lo schermo” come avrebbe meritato: dozzina dello Strega sfiorata, per esempio, un passaparola tra i lettori che non fa il paio con l’esaltazione della critica “mainstream”, troppo impegnata forse, be’, con il “mainstream”. 
Sta a noi, allora, a chi ha avuto la fortuna di incappare in questo libro e di amarlo, ai lettori, agli scrittori agli addetti ai lavori che dalla prima pagina si sono sentiti magicamente proiettati in un posto nuovo e diverso dal solito, spetta a noi parlarne, sta a noi renderlo un romanzo “chiacchierato”. 
Romanzo ambiziosissimo, breve, inatteso. In una parola: “strano”, un’ibridazione incestuosa tra una certa tradizione popolare italiana, da Collodi e Rodari, e quella americana più “weird” (sarò pazzo, ma vi ho trovato dei punti di contatto con Twin Peaks di David Lynch, soprattutto per come il Male viene rappresentato in senso metafisico). 
Novellistica gotica e allegoria: geniale. Il tono è favolistico, da “c’era una volta”: le voci narranti sono svariate, romanticissime (la nebbia, un cadavere, una ghiandaia, delle barche): ogni capitolo, soprattutto all’inizio, porta la voce di un personaggio diverso. Ambientazione: 1922, l’anno della marcia su Roma. 
Siamo nella Bassa padana, nel villaggio di Pontescuro e c‘è un delitto. A morire è la scandalosa e provocante figlia del signorotto locale, una meravigliosa “Bocca di Rosa” che a un certo punto, già da morta, parla così dei propri “carnefici”: «Dopo pochi mesi il paese incominciò a disprezzarmi dritto negli occhi. E forse, se fossero stati almeno un poco intelligenti, tutti avrebbero capito dall’unico sorriso ebete, che ogni giorno cambiava volto ma non caratteristiche, chi era stato l’ultimo a slacciarsi la cinghia».
C’è un colpevole e un capro espiatorio, ma c’è tutto l’orrore proprio della provincia, l’omertà, il sesso, la superstizione. C’è pure un ispettore, che a un certo punto arriva da Roma, tuttavia senza che con lui arrivi anche una vera e propria indagine.
La scrittura è superba, forse la prova apicale di uno scrittore con una lunghissima carriera alle spalle.
Si sente forte la “carriera” di Ragagnin, la sua cultura, l’erudizione, le infinite letture, lo spasmodico rapporto carnale con altre forme espressive come la poesia, la musica. 
“Pontescuro”, senza strizzare l’occhio a niente e a nessuno (tantomeno alle mode) riesce a essere sia ipercontemporaneo, per i motivi già addotti, sia già un piccolo classico, soprattutto per ragioni di lingua, di lessico e di forma.
L’eros che sconvolge un’esistenza: De Tavonatti e i suoi “Racconti molesti”

L’eros che sconvolge un’esistenza: De Tavonatti e i suoi “Racconti molesti”

Enrico De Tavonatti di professione fa l’imprenditore, e lo fa bene. Ha creato una municipalizzata che si occupa di smaltimento dei rifiuti nella provincia di Bergamo e che rappresenta un’anomalia in Italia: produce sempre utili. De Tavonatti stesso è un’anomalia, perché scrive. Racconti molesti è il libro con cui esordisce per Miraggi, nella collana Golem.

Perché questo titolo?
“Perché parlo di situazioni che si insinuano nella vita in maniera inaspettata. Sono come il gesto che fai per scacciare una mosca noiosa, entrano nella monotonia di mezza età in cui tutto sembrerebbe ormai appianato e già stabilito. In questi racconti accade invece qualcosa di erotico, erotico inteso come forza generatrice, che sconvolge le esistenze e che obbliga a prendere una decisione, magari in una direzione non auspicabile. Le risposte dei miei personaggi non sempre producono buoni esiti”.

Parliamo di Nebbia, che apre una serie di sette storie.
“Era un racconto lungo, che ho riadattato. Parla di un uomo sui 35 anni, atteso dalla moglie a Parigi per festeggiare l’anniversario di matrimonio. Lui rimanda sempre fino a quando decide di partire, ma a Linate c’è – per l’appunto – la nebbia e i voli sono annullati. Una nuova scusa per non andare da lei, però una persona gli suggerisce di prendere il treno, viaggiare di notte e arrivare la mattina dopo. L’uomo si lascia convincere, senonché proprio sul treno incontra una donna che gli confonderà le certezze e che gli farà capire che un’esistenza è tutt’altro che finita a 35 anni. La vita dura finché c’è la vita stessa”.

Qual è il racconto cui è più affezionato?
“Fermo posta. Parla di una donna di mezza età, separata dal marito. Di ritorno da una cena trova una rivista erotica sotto i portici di piazza Duomo a Milano: la raccoglie, la sfoglia e si lascia attrarre dagli annunci per incontri. Scrive a un’altra donna e… È il primo racconto che ho scritto e che avevo lasciato in un cassetto, salvo tirarlo fuori un giorno per sfida. Con gli amici discutevamo di un libro di Busi, che ha prodotto ottime cose alternandole ad altre di basso profilo. “Per scrivere così non è necessario scomodare i grandi” e ho recuperato Fermo posta per dimostrargli che era vero”.

Prima dei racconti c’era stato un romanzo.
“Maria Assunte Frassine, per fortuna o per forza. È la storia di una prostituta bresciana, che lavorava al Carmine, un quartiere oggi alla moda ma che 40 anni fa era il centro del sesso mercenario. La vicenda parte da una chiesa dove lei è entrata per pregare perché ha vinto alla lotteria. Una fortuna che la emancipa ma che lei si era già costruita nel tempo, perché aveva accantonato dei soldi: una rendita andata di pari passo con il crescente disinteresse per se stessa e per la professione, visto che arriva a pesare 110 chili. Chiude con quella vita, fa un viaggio a Montecatini dove incontra un nobile napoletano, impotente, e comincia un’altra esistenza”.

L’eros fa sempre da filo conduttore.
“L’eros azzera e resetta la condizione degli esseri umani. Le persone cambiano di fronte a una grande disgrazia oppure davanti a un amore travolgente. Ho voluto parlare di questo secondo aspetto”.