fbpx
Cari jihadisti – recensione di Francesco Subiaco su Generazione liberale

Cari jihadisti – recensione di Francesco Subiaco su Generazione liberale

CARI NEMICI DELL’OCCIDENTE, UNA RIFLESSIONE SULLO SPAVENTO SENZA FINE DELL’OPEN SOCIETY

“Cari jihadisti, sottovalutate parecchio gli effetti della battaglia in cui vi siete gettati a capofitto. Siete le prime vittime della nostra propaganda, credete di mettere sotto scacco la nostra civiltà. Ci dispiace, non è così. Mirate al mulino a vento sbagliato. Qui non c’è nessuna civiltà”. Tagliente, ironico, disincantato, scorretto, lucidissimo è uno dei testi più affilati di uno dei pensatori più atipici della controcultura francese: “Cari Jihadisti” di Philip Muray (Miraggi Edizioni). Il testo si presenta come una lunga e cinica epistola agli esecutori dell’attentato delle Torri gemelle alla viglia della tragedia che aveva messo in ginocchio l’intero occidente. Una lettera in cui il pensatore francese riesce a mettere in luce le debolezze, le paure, le illusioni della società globale. Per Muray l’occidente non è una civiltà, ma un grande minimarket multietnico, un bazar underground in cui gli uomini, ridotti a consumatori autoconsumanti sono il prodotto e l’acquirente di una realtà distorta e inoffensiva, repressa e inibita, che vive del suo unico vero valore: l’inconsapevolezza. L’inconsapevolezza che pone gli occidentali nella condizione di non capire, e forse nemmeno vedere, la cappa di postverità di cui si circondano. Popoli, soprattutto quelli europei, che ridotti ad una condizione di meri agglomerati umani di consumatori omologati, separati solo da lingua e posizione geografica, vivono una vita erbivora, ignorando i giochi di potenza che si affrontano nei complessi legami geopolitici tra stati, vittime più che della menzogna della fine della storia, dell’illusione della fuga dalla storia. La realtà, questo l’acerrimo nemico di questi iperborei, però è quella cosa che non svanisce nemmeno quando smetti di credergli, infatti essa si è manifestata come una calamità che ha turbato il lungo sonno dell’occidente illuso di potersi rifugiare sotto l’ombrello della Nato vita natural durante. Un sogno che dal 11.09. 2001 agli atroci sviluppi dell’evacuazione afgana e della guerra ucraina, da cui sembra non poterci essere un risveglio definitivo. Come i personaggi descritti nella lettera di Muray gli europei sono una comitiva di stati sovrastanti che galleggiano sulla storia senza farne parte, senza capirla, vivendo in una specie di asilo nido incantato, un luogo di musichette che li stordisce mentre fuori c’è la morte. Dimostrando ancora una volta come l’occidente sia una mamma marcia che ha abolito ogni forma di tragedia e di resistenza al destino, cullandosi nella duplice missione, di abolire l’umano e di lottare per la totale decostruzione e distruzione del proprio patrimonio culturale. Dalla decostruzione della storia come processo di rapporti di forza, allo smantellamento dei classici, dei sistemi, del canone, riscritti secondo un terribile moralismo nichilista nutrito dalla religione di una falsa tolleranza che non è altro che una disperazione passione, tutto cospira per creare la fiaba di una open society autosufficiente dalla realtà. Scossi dalle guerre, dalle pestilenze e dalle crisi essi si dimostrano disarmati di fronte alle sfide del futuro, marci, vuoti, divisi, interconnessi, ma dissociati. Non più decadenti, ma decaduti, vivono come il pubblico del mondo, con indifferenza e rassegnazione, nel privilegio e nella disperazione. Gli europei davanti alla guerra, alla crisi, al fato che muove i destini dei popoli, come in Ucraina ed in Afganistan, si credono innocenti quando al limite sono solo ingenui. Ingenui perché continuano ad ignorare che la legge intrinseca della vita è lotta, che le religioni delle lacrime, umanitarismo, globalismo e universalismo, non sono altro che ornamenti del suicidio occidentale di fronte all’avanzata dei barbari, gli altri, pronti a conquistare i selvaggi, noi. Una stroncatura potente e crudele che però mette in guardia i nemici di questo paese dei balocchi, in primis, poiché il globalismo, come un ellenismo postmoderno, conquisterà i suoi futuri conquistatori, in caso di loro vittoria. In secundis perché nonostante per la nuova classe precaria globale morire per la Nato equivalga a sacrificarsi per la propria compagnia telefonica, essi si sono dimostrati in tutte le occasioni che il tempo gli ha offerto pronti per lottare affinchè il loro sonno secolare non venga disturbato. “ci batteremo e vinceremo. Eccome se vinceremo. Perché i più morti siamo noi e non abbiamo nulla da perdere”. Invece di lottare per la giustizia, per la patria, per la libertà dei popoli affianco dei loro alleati, anche loro purtroppo non più in grado di essere quella Republique imperiale teorizzata da Aron, essi preferiscono lottare per il loro sonno.

QUI l’articolo originale: