MUSICA SOLIDA. “QUANTA STORIA RISUONA TRA I SOLCHI DEI VINILI” – recensione di Paolo Ferrari su La Stampa
QUANTA STORIA TRA I SOLCHI DEI VINILI
«Musica solida», un colossal, si direbbe al cinema, sulla storia dei supporti fonografici da fine Ottocento ai giorni nostri. Ne è autore il torinese Vito Vita, giornalista e musicista leader della band Powerillusi. In quel “solida” c’è tutto l’amore per il vinile, per l’oggetto disco, a 78, 33 o 45 giri che sia, contrapposto alla bufera di musica liquida che non risparmia nessun angolo del mondo.
«L’idea mi venne dieci anni fa a Roma – racconta l’autore – durante un pranzo di lavoro in trattoria con la redazione del periodico “Musica Leggera”. Mi dissero che un tempo in quei locali si ritrovavano gli artisti della famosa RCA Records, indicandomi i punti della sala in cui De Gregori realizzò il primo provino di Rimmel e l’angolo in cui scriveva i pezzi Rino Gaetano». Ora l’ambiente è una trattoria, e solo gli specialisti sanno cosa accadeva lì dentro negli Anni ’70: «In Francia l’avrebbero trasformato in un museo, e così pure gli uffici della RCA, che ora sono un anonimo magazzino di scarpe. Qui non ne siamo capaci, così decisi di raccogliere la sfida: salvare la memoria della discografia italiana». Partendo anche da una suggestione personale: proprio “Rimmel” di Francesco De Gregori fu il primo disco che l’autore del libro acquistò a 11 anni rompendo il salvadanaio.
Non è materia da poco. Tagliando al massimo sulle illustrazioni l’oggi cinquantacinquenne studioso torinese è riuscito a stare nelle 400 pagine, fitte di notizie, interviste, ricostruzioni storiche. Con un’altra missione in cuore: rendere giustizia al ruolo della sua città in questa vicenda: «L’etichetta più famosa era la Cetra, ma intorno a essa si svilupparono altre vicende significative. Penso alla Emanuela Records, cui va il merito di aver fatto decollare i Brutos, con lo storico album Destinazione Luna, come pure alla Shirak Records di Jonny Betti, cui si deve un gioiello ingiustamente dimenticato della canzone d’autore italiana, il 33 giri di Carlo Credi». Si intitola “Chi è Carlo Credi”, e chi lo ha di solito se lo tiene stretto.
Regola che dovrebbe sempre valere per il vinile, additato da qualcuno come inquinante: «Certo, è pur sempre un derivato del petrolio. Ma per noi appassionati il problema dello smaltimento non si pone: non si buttano mai via i dischi. E non dimentichiamo che possono essere custodi del suono anche il giorno in cui venisse a mancare la corrente elettrica: bastano un cavo e un corno per sentore, girando a mano, la musica che comunque i solchi contengono. Il cd senza elettricità è morto».
Quella della discografia italiana è anche una storia industriale, e come tale viene trattata nel corposo tomo di Vita: «Torno alla RCA, un’azienda che dava lavoro a circa tremila dipendenti. E poi c’era tutto l’indotto, un fiorire di piccole aziende anche di dimensione artigianale che con l’avvento del monopolio delle multinazionali sono andate a rotoli. Una grande, lunga avventura iniziata dai rulli e passata dalla gomma-lacca per poi approdare al vinile che tutto conosciamo. E che è in ripresa, i dati sono inoppugnabili. Sta finendo l’era dei cd, è al top la musica digitale, ma come supporto fisico 33 e 45 giri sono alla riscossa. Rispetto a Stati Uniti e Inghilterra l’Italia è più lenta, ma sta a sua volta dando segnali importanti.
QUI L’ARTICOLO ORIGINALE: