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“Di notte sgomitano le crisi”: l’intervista a Tomas Bassini su convenzionali.wordpress.com

“Di notte sgomitano le crisi”: l’intervista a Tomas Bassini su convenzionali.wordpress.com

di Gabriele Ottaviani

Quando eravamo portieri di notte: Convenzionali intervista con felicità il suo autore, Tomas Bassini.

Da dove nasce questo romanzo?
Si può dire che è venuto fuori da una crisi, un mio personalissimo buco nero a cui devo dire grazie. Naturalmente una volta pubblicato il libro non appartiene più (o nel del tutto) a chi l’ha scritto, o meglio, il lettore può farsi la sua idea e dare al libro l’interpretazione che preferisce e in questo lo scrittore non ha voce in capitolo, e meno parla meglio è. Ma se mi domanda da dove nasce questo romanzo non posso fare a meno di risponderle che nasce da un fatto prettamente privato che ha un indirizzo e un codice fiscale, forse oggi anche una partita IVA.

Che cosa rappresenta la notte per lei e nell’immaginario collettivo della nostra società?
Nell’immaginario collettivo non saprei ma per quanto mi riguarda è in un certo senso l’ambiente ideale per il buco nero di cui le ho accennato. È di notte che certe crisi riescono a sgomitare e a far la voce grossa, è proprio lì che anche il più piccolo intoppo si trova in una posizione privilegiata che gli permette di guadagnare spazio e tempo, di stratificarsi senza che quasi te ne accorgi, almeno all’inizio, che dopo un po’  sì che te ne accorgi  e non è più possibile tornare indietro, e non c’è quindi da stupirsi se puoi non si riesce a dormire.

Che valenza ricopre l’abbandono?
In questo romanzo ha un ruolo fondamentale. Un po’ come se fosse l’attore principale che non esce mai di scena, e anche quando per sbaglio non c’è, anche solo per un minuto, si finisce comunque per parlare di lui. È il filo conduttore che influenza ogni cosa, in maniera sia negativa che positiva. Non è però da intendersi semplicemente come l’atto di qualcuno che abbandona qualcun altro, e nemmeno come la condizione di chi l’ha subito, ma qualcosa di molto più ampio e duraturo, molto meno occasionale.  L’abbandono in sé può essere un concetto estremamente banale, l’abbiamo provato tutti, e tutti sentendocelo raccontare ci siamo annoiati; quello che mi sembrava più interessante era vedere invece com’è che un individuo può reagire a questo, e soprattutto come questo particolare tipo di resistenza può mantenersi e svilupparsi. Quello che per il protagonista conta non è lo spazio vuoto che un brutto giorno s’è trovato davanti (quello al massimo lo indispettisce) ma ciò che può essere utilizzato per riempirlo. La differenza non la fanno le grandi giornate, dice più o meno Lui, ma tutto ciò che sta fra una grande giornata e quella dopo.

Perché scrive?
Diciamo che non ho trovato niente di meglio da fare. Ma va benissimo così.

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“Quando eravamo portieri di notte”: la recensione di Gabriele Ottaviani per convenzionali.wordpress.com

di Gabriele Ottaviani

Ora dovrebbe essere proprio Lei a spiegarmelo, ecco, mi metto comodo, incrocio le braccia e le permetto di parlare. Vorrei sapere da Lei cosa ci devo fare con questa tappezzeria che ho ereditato, con questo tipo di arredamento che se ne sta qui, tronfio, e non va da nessuna parte. Ho lasciato che disseminasse i suoi ninnoli per tutta la casa e ora, per una puntuale legge del contrappasso, me li ritrovo fra i piedi, infilzati per bene dove dà più fastidio. Diamine, non era così che si doveva mettere la faccenda. Io volevo rimanere fino a vedere quel suo culo ingrossare, farsi cadente e impresentabile; volevo tenerle la testa ogni volta che ce ne sarebbe stato bisogno, quando l’avrei convinta a bere un poco con me, quando non avrebbe retto niente e vomitato tutto; volevo tenerle la testa per le influenze stagionali, quando si sarebbe riempita la pancia di brodini caldi con il dado vegetale, di tisane digestive, drenanti, depurative; volevo rimanere lì comunque andava e fare, per Lei, ogni genere di commissioni; col tempo sarei pure diventato un esperto di tinture per capelli, creme contro la cellulite, cremine contro le rughe e pastiglie per la circolazione; volevo mettermi in fila al supermercato e rimanerci ore e ore a discutere con le cassiere riguardo all’ultima offerta per i soci e per i non soci; avrei fatto la raccolta bollini, ogni raccolta bollini esistente, e sempre le avrei fatto scegliere il regalo. Volevo esserci per qualunque dei suoi denti devitalizzati e incapsulati; volevo esserci per gli ascessi e anche per tutte quelle visite di controllo, quelle tanto generiche e tanto poco necessarie; sarei stato lì a ogni rinnovo della carta d’identità fino al punto di poter ironizzare sulla voce “peso” fortunatamente non menzionata. Oh, non so cosa avrei dato per esserci al momento clou delle emorroidi, per tutte quelle malattie che almeno da fuori fanno ridere, ma anche per quelle che non fanno ridere per niente.

Quando eravamo portieri di notte, Tomas Bassini, Miraggi. Che l’amore è tutto è tutto quel che ne sappiamo. Sappiamo anche che quando nasce un amore ci sembra che finalmente il mondo abbia luce e senso. E viceversa quando finisce nulla ha più valore. Se non il ricordo. La rielaborazione. Riviverlo ancora perché non muoia del tutto, ripercorrerne il sentiero passo dopo passo per capire cosa c’è stato di giusto e soprattutto cosa di sbagliato. E tutto questo è reso ancor più facile se le notti sono lunghe. Tutte uguali. Insonni. Perché non c’è pace quando si lavora, quando si vive dall’altra parte della luna, lì dove si annida un sottobosco di umanità celata ai più. E così lei l’ha lasciato, e lui, complice il vino, si tuffa nel passato. Intenso e coinvolgente.

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“Quando eravamo portieri di notte”: la recensione di Andrea Bressa in “5 libri da leggere” su panorama.it

Il toscano Tomas Bassini (classe 1985) propone come esordio un breve romanzo dalla prosa fresca, nuova e originale. In sole 160 pagine entriamo nella mente di un uomo, il narratore anonimo, che tenta di dare forma e senso a un amore perduto, raccogliendo memorie, aneddoti e collegamenti con il presente. Il protagonista lavora di notte in un albergo e proprio nelle ore di servizio, fra incontri e apparizioni di personaggi dei più disparati generi, compila quello che può essere un elenco degli errori e delle vittorie di una storia ormai finita. Ma la malinconia è bene equilibrata da picchi di ironia e terapeutico cinismo.

Andrea Bressa

Quando eravamo portieri di notte
di Tomas Bassini
(Miraggi Edizioni)
164 pagine

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“Quando eravamo portieri di notte”: la recensione di Andrea Vignini su valdichianaoggi.it

È risaputo che in generale non c’è nulla di più difficile che scrivere d’amore e questa affermazione apodittica è tanto più vera oggi, nell’epoca del disincanto che ci è toccato in sorte di vivere. Ebbene, sapendo questo (perché lo sa, fidatevi), è proprio di amore che il giovane Tomas Bassini ha scelto di parlare nella sua opera d’esordio e per giunta di quello più ostico da raccontare, quello che finisce nella solitudine e nell’abbandono.
Ora, detto così, il lettore potrebbe legittimamente pensare che Quando eravamo portieri di notte (Miraggi Edizioni, 2017) sia uno di quei romanzi tristi e tormentati che stillano lacrime e sangue, una cosetta leggera come I dolori del giovane Werther o peggio ancora Le ultime lettere di Jacopo Ortis. Invece no, niente di più diverso.
Sia chiaro, il tormento c’è (e come non potrebbe) e si estrinseca in un ininterrotto flusso di coscienza per l’intero libro, ma lo fa con una voce ironica e scanzonata, a volte anche un po’ cinica e, soprattutto, autentica, che non solo non opprime il lettore, ma anzi molto spesso riesce perfino a strappargli un sorriso. Questo è senza dubbio il merito maggiore dell’autore, quello cioè di raccontare la sua storia con uno stile che, nonostante la gioventù anagrafica e letteraria, è già adulto, riconoscibile e personalissimo.
É bene dirlo subito, non è che l’agile volumetto di cui stiamo parlando (160 pagg. in tutto, compresi i ringraziamenti) sia del tutto esente da pecche. D’altra parte stiamo parlando di un esordio dopotutto, per quanto brillante. Al di là del titolo e della copertina infatti, entrambi non felicissimi a mio modesto parere (ma di questo non possiamo certo dare la colpa al Bassini), bisogna ammettere che talvolta il nostro gigioneggia un po’ troppo e si lascia trasportare dal suo stile brioso verso altezze inafferrabili. Ma si tratta di peccati veniali che personalmente sono più che disponibile a perdonare se li confronto col piacere di una prosa libera e non paludata, così rara nel panorama letterario nostrano, e che infatti affonda le radici, almeno a mio avviso, nel romanzo nordamericano contemporaneo (da Fante a Bellow fino al Richler de La versione di Barney) e scusate se è poco.
Un ultimo accenno lo meritano i personaggi del libro sui quali ovviamente giganteggia il protagonista e voce narrante (a proposito, sarebbe interessante sapere quanto c’è di autobiografico in questo libro) che occupa la scena dalla prima all’ultima riga con le sue sventure vere o presunte, i suoi incontri e, naturalmente, il suo cuore infranto. Riuscitissimo esempio di antieroe moderno calato in una realtà provinciale che però, fuori da ogni cliché, appare più simpatica e accogliente che cupa e matrigna. Tutti gli altri girano vorticosamente intorno a lui e ne sono in un certo senso l’emanazione, tutti meno uno, Lei, l’ossessione, l’amore perduto che incombe sulla narrazione come un fantasma che egli non riesce ad esorcizzare (o, più probabilmente, non vuole) e che in realtà è ancora presente in ogni sua azione e in ogni suo pensiero, fino a divenire la musa dispettosa dell’intero racconto.
Concludo dicendo che a me Quando eravamo portieri di notte è decisamente piaciuto e mi sento di consigliarlo spassionatamente al pubblico striminzito ed entusiasta che segue questa rubrica. Per quanto riguarda Tomas Bassini, non resta altro da fare che attendere la sua prossima prova letteraria. Vedremo se saprà confermarsi nella forma e magari migliorarsi nella costruzione di una trama più solida e strutturata. Noi lo aspettiamo al varco, ma contemporaneamente facciamo il tifo per lui.