«La storia di Marie è una storia drammatica, angosciante, di sofferenza, di buio, di abisso appunto, un tunnel dal quale è attratta ma dal quale al tempo stesso vorrebbe disperatamente riemergere. Se da bambina questa attrazione la spingeva con curiosità a scoprire l’universo (“mi sporgo nel vuoto e guardo le stelle”) da adulta si trasforma in una ricerca autolesionista del dolore (“a furia di affilare il coltello, è il coltello che affila te”). Il viaggio che compie è l’occasione per guardare in questo abisso e finalmente, forse, trarne forza»
Lucie Faulerovà, con “Io sono l’abisso”, edito da Miraggi edizioni nella collana di letteratura ceca NováVlna, è la supervincitrice del Premio Salerno Libro d’Europa 2025.
Il romanzo ripercorre la vita di Marie, la ventitreenne protagonista, attraverso rapidi flashback che passano davanti ai suoi occhi. Marie sta viaggiando in treno, dal finestrino vede lo scorrere del paesaggio: il fiume poi il bosco si alternano rapidamente fino a scomparire, lasciandole l’immagine riflessa di sì stessa, quella che lei fatica a vedere. Inizia così il suo viaggio interiore. Si rivede bambina quando desiderava diventare un mago per poter scomparire e scoprire dove si va quando si sparisce, poi inventrice del perpetuum mobile, poi dendrologa. Vorrebbe essere tutto e niente. E poi si rivede con la sua amata sorella Madla a scherzare sedute sul davanzale della finestra o ai corsi di meditazione organizzati dal Comune mentre ironizzano sui santoni che di volta in volta raccontano sempre la stessa storia “purificarsi, armonizzarsi, concentrarsi”. Rivede la madre, che sembrava una zia divertente che una notte se ne è andata, il padre, l’albero frondoso, il fratello Adam, con cui si sta bene in silenzio e si piange anche bene, Mr Rochester, che – finalmente – la illumina come una torcia.

La storia di Marie è una storia drammatica, angosciante, di sofferenza, di buio, di abisso appunto, un tunnel dal quale è attratta ma dal quale al tempo stesso vorrebbe disperatamente riemergere. Se da bambina questa attrazione la spingeva con curiosità a scoprire l’universo (“mi sporgo nel vuoto e guardo le stelle”) da adulta si trasforma in una ricerca autolesionista del dolore (“a furia di affilare il coltello, è il coltello che affila te”). Il viaggio che compie è l’occasione per guardare in questo abisso e finalmente, forse, trarne forza. Marie è consapevole che la sua vita ruoti intorno agli altri, sia nelle assenze, quella materna prima, quella della sorella poi, sia nelle presenze, quelle del padre, del fratello, di Mr Rochester che sembrano ricompensarla di tutto il dolore. C’è un desiderio di contatto che è desiderio materiale di essere visti ma lei, probabilmente, deve innanzitutto imparare a vedersi.
Accanto ad un racconto forte, è la scrittura che colpisce, a tratti poetica, ricca di similitudini e onomatopee, a tratti divertente. Il ritmo del libro è cadenzato dall’incedere incessante del treno (il fantastico Tu-tutum nella traduzione della bravissima Laura Angeloni). È un ritmo sinusale, poi improvvisamente tachicardico. Le uniche pause d’aria, in cui come balene o delfini che decidono che vogliono respirare (“Allora è fantastico, non ti pare?”), sono date dalle digressioni in cui Marie, appassionata di manuali, indica le statistiche dei vari tipi di morte da suicidio nel mondo. Non è però una mera catalogazione, Marie è interessata, interessata soprattutto a quelli per cui l’atto non ha avuto “effetto fatale”.
È la stessa attrazione che prova verso l’ignota ragazza suicida sui binari del treno che, come un’ombra, accompagna Marie dall’inizio alla fine del suo viaggio. “Mi chiedo se ha gli occhi aperti. Mi chiedo se ha paura. Mi chiedo se prova sollievo.”
Ho incontrato Lucie Faulerovà emozionatissima. poco prima di sapere di essere la supervincitrice del Premio, a Palazzo Fruscione, quartier generale di Salerno Letteratura Festival, e a lei ho rivolto qualche domanda su questo libro pieno di emozione.
Partiamo dal titolo: in ceco il tuo romanzo si intitola “Smrtholka”, termine intraducibile in italiano, tant’è vero che si è dovuto scegliere un diverso titolo, “Io sono l’abisso”. Cosa significa esattamente questa parola?
Smrtholka è un altro nome per dire Morana, che è la dea della morte e dell’inverno nella cultura ceca. Significa molte cose: è innanzitutto la combinazione di due nomi, morte e ragazza, e la trovavo una parola perfetta per il titolo di questo romanzo sia perché nel libro parlo della tradizione ceca relativa a Morana, sia perché questa parola descrive al tempo stesso Marie, la protagonista, ma anche il suo doppio, la ragazza suicida alla stazione. Tuttavia, mi piace molto anche il titolo italiano, scelto dalla traduttrice Laura Angeloni, anche per chi non si conosce la tradizione ceca, sarebbe complicato a comprendere il significato del titolo.
Marie, la protagonista, ci conduce, nel suo viaggio in treno, attraverso una storia per immagini che porta il lettore in un abisso sempre più profondo. Marie ha una attrazione per l’ignoto: vuole fare la maga per poter scomparire e scoprire dove si va quando si scompare, poi vuole scoprire il perpetuum mobile, poi si sporge nel vuoto a guardare le stelle ed è affascinata dalla vastità sconosciuta dell’universo. La sua è più una curiosità verso la vita, visto che da queste esperienze estreme lei vuole tornare, o è una angoscia di morte?
L’atteggiamento di Marie – penso – è dovuto al fatto che lei ha avuto una infanzia non standard, segnata dalla scomparsa della madre prima e dalla malattia della sorella poi che finisce con la scomparsa anche della sorella. Questi sono certamente eventi che influenzano la personalità e la crescita di una persona. Malgrado non si tratti di un testo autobiografico, c’è dentro qualcosa che mi riguarda. Anche io sono stata una bambina strana: anche io volevo essere una maga e inventare il perpetuum mobile. Accanto a questo, il mio processo creativo ad un certo punto va da sé e dunque neanche io so spiegare ogni dettaglio che c’è nella storia.
A proposito di processo creativo: hai pensato prima alla storia da raccontare o prima ai temi dei quali volevi parlare?
Io penso prima alla storia perché è mentre scrivo che mi si chiarisce di cosa sto parlando e di cosa voglio parlare. Certo, inizialmente avevo la visione di questa ragazza che vuole autodanneggiarsi ma non sapevo esattamente perché no volessi parlare, così ho iniziato a raccontare la sua vita. Contemporaneamente ho sentito la storia della ragazza alla stazione metro e ho pensato di inserirla nel testo.
L’attrazione di Marie per l’ignoto mi ha ricordato un passo de L’insostenibile leggerezza dell’essere in cui Kundera afferma: “La vertigine è qualcosa di diverso dalla paura di cadere. La vertigine è la voce del vuoto sotto di noi che ci attira, che ci alletta, è il desiderio di cadere, dal quale ci difendiamo con paura”. C’è questa suggestione?
No, a dire il vero, non avevo pensato a questa influenza, in realtà, mi ha ispirato Nietsche secondo cui: “se guardi a lungo nell’abisso, anche l’abisso guarderà dentro di te”
Oltre il tema dell’ignoto, ci sono altri temi nel tuo romanzo: la ricerca dell’identità, il doppio, il bisogno dell’altro per conoscersi.
Madla e la ragazza del binario sono entrambe dei doppi di Marie. Questo del doppio, dell’altro è un tema fondamentale: io penso che in generale le persone sono specchi per noi stessi. Se io sono affascinata da qualcuno, se ci sono in sintonia, cerco di creare dei legami e mi riconosco attraverso quella persona.
Tra gli atti di autolesionismo più impressionanti che Maria compie verso se stessa, c’è il momento in cui si acceca con la punta della matita provando un dolore atroce. Mi è parsa una scena metaforicamente molto potente anche pensando a tutti i grandi classici a partire da Omero o Tiresia in cui la mancanza fisica della vista era simbolo di altro. Qual è il senso di questo gesto di Marie?
Ci sono molti significati in questo gesto. Principalmente io pensavo alla mia generazione, io vengo da un Paese democratico, in pace, in cui ci sono infinite possibilità di scelta, molta libertà. A volte però paradossalmente questa libertà estrema paralizza perché ci sono troppe opzioni. Marie subisce questa paralisi così decide volontariamente di togliersi delle possibilità, autolesionandosi, così che possa dire: “io non potrò essere mai una attrice, una cantante, una ballerina, perché non mi è possibile”. Si costruisce così un alibi per essere libera in un modo diverso, limitato.
Nel libro sembra che i personaggi maschili siano generalmente positivi rispetto a quelli femminili. È un caso?
Assolutamente sì è un caso e i personaggi non sono distinti bianco-nero, positivo-negativo. Anche il personaggio di Madla non è completamente negativo, d’altra parte i personaggi maschili sono residuali rispetto alla protagonista, Marie, che io volevo rendere assolutamente preminente. La vita di Marie era talmente tragica che ho pensato fosse utile alla storia inserire dei personaggi positivi, portatori di luce. Il messaggio ultimo del libro che volevo dare è mostrare che noi possiamo vivere una vita bella anche avendo perso i nostri affetti, avendo sofferto tanto, sforzandoci di aprire gli occhi e vedere le persone intorno che ci amano e che si prendono cura di noi.


QUI l’articolo originale: https://www.ulisseonline.it/cultura/intervista-a-lucie-faulerova-autrice-di-io-sono-labisso-vincitore-del-premio-salerno-libro-deuropa-2025/