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LA PERLINA SUL FONDO. HRABAL, LA NARRAZIONE COME VIAGGIO ETERNO NEL MISTERO DELL’UMANO – recensione di Paolo Romano su Quotidiano del Sud

LA PERLINA SUL FONDO. HRABAL, LA NARRAZIONE COME VIAGGIO ETERNO NEL MISTERO DELL’UMANO – recensione di Paolo Romano su Quotidiano del Sud

Le esperienze che ha collezionato diventano figurine di un album. I tanti lavori che ha svolto la materia grezza che la scrittura può plasmare

Finalmente la traduzione in italiano del primo libro di racconti di un autore tanto geniale quanto poco conosciuto. Esce ora per i tipi di Miraggi Edizioni il volume di Bohumil Hrabal “La perlina sul fondo”. L’autore ceco è stato un personaggio camaleontico, un clown della vita, un artista capace di calarsi nei bassifondi dell’esistenza con leggerezza e ironia. Per scrivere ha attinto proprio alla quotidianità, alle esperienze che ha collezionato come fossero figurine di un album, ai tanti lavori che ha fatto e che gli hanno permesso di conoscere storie esistenziali più ricche della stessa fantasia di qualsiasi romanziere.

“Ho inchiodato rotaie, fatto il capostazione, offerto polizze assicurative, ho lavorato come commesso viaggiatore, operaio di acciaieria, imballatore di carta da macero e macchinista teatrale”, diceva di sé. Uno scrittore ingordo d’una antropologia fatta carne, di esistenze colte nell’attimo stesso in cui sono vissute e tradotte mirabilmente in questi racconti dallo stile indefinibile: “Quello che volevo era sporcarmi con l’ambiente, con la gente comune, e trovarmi a vivere, ogni tanto, l’esperienza sconvolgente riscorgere la perla sul fondo dell’essere umano”. Se quest’ultima frase spiega le ragioni del titolo di questa preziosa antologia di racconti, non dice però dell’originalità di Bohumil Hrabal, capace come pochi di proiettare su carta le pellicole che le persone comuni girano di giorno in giorno. Nemo profeta in patria vale per un autore del quale, in una lettera anonima a lui indirizzata, si chiedeva la forca. “Con i racconti di Hrabal, nel 1963 – scrive il curatore del volume Alessandro Catalano – fanno prepotentemente ingresso nella letteratura ceca i discorsi della gente, l’inventiva linguistica e la creatività popolare di operai delle acciaierie, commessi viaggiatori, ferrovieri, assicuratori, notai, impiegati del macero della carta, macchinisti teatrali, che, attraverso un lessico colorito, espressioni dialettali e slang professionali, restituivano alle pagine dei libri la vivacità dell’osteria e lo splendore dei chiacchieroni e il loro sollazzarsi”. Nell’ottima traduzione dal ceco di Laura Angeloni si coglie al meglio le potenzialità di una scrittura sempre sul confine tra reale e irreale, comico e grottesco, di una tale naturalezza da sembrare surreale. Il lettore se ne accorge sin dalle prime battute del primo racconto “Corso serale”, dove le lezioni di scuola guida per motocicletta si trasformano in un pretesto per produrre una narrazione orale, di spaccati esistenziali. Mentre si legge la scena si staglia nel palcoscenico degli occhi tanto da far dimenticare in maniera così forte che sia soltanto un racconto breve e non un romanzo. Lo stesso avviene con “Un pomeriggio uggioso”, dove la vita si beve come uno dei freschi boccali della birreria dove è ambientato. Qualcuno si ricorderà di Hrabal indirettamente, forse per aver visto la versione cinematografica del suo romanzo “Treni strettamente sorvegliati”, una pellicola del 1965 in bianco e nero, passata alla storia per la scena del capostazione che trascorre una notte a stampare timbri ferroviari sul fondoschiena della fidanzata. Altri romanzi celebri di Hrabal sono: “Ho servito il re d’Inghilterra”, “Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare”, “La cittadina dove il tempo si è fermato”, “Spazi vuoti” e “Uno solitudine troppo rumorosa”.

LA PERLINA SUL FONDO – recensione di Gennaro Serio sul Venerdì di Repubblica

LA PERLINA SUL FONDO – recensione di Gennaro Serio sul Venerdì di Repubblica

Hrabal. Un boccale pieno di racconti

Prima edizione italiana per il Libro d’esordio dello scrittore ceco che per tutta la sua avventurosa vita raccolse le voci delle strade – e delle birrerie – nella sua Praga

Ecco un breve résumé delle principali occupazioni svolte da quattro grandi scrittori cechi del secolo scorso. Franz Kafka: impiegato presso l’Istituto di assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro del regno di Boemia. Jaroslav Hašek: impiegato di banca. Vladislav Vančura: medico. Karel Čapek: giornalista. Ed ecco invece un elenco, senza pretesa di esaustività, delle principali occupazioni svolte da Bohumil Hrabal: copista notarile, capostazione ferroviario, telegrafista, assicuratore, commesso viaggiatore (articolo trattato, giocattoli di seconda mano), operaio metalmeccanico, cameriere, magazziniere, addetto alla preparazione del malto in una fabbrica di birra, “assemblatore” di blocchi di libri pressati da mandare al macero su disposizione della censura sovietica (!), comparsa teatrale. Nel tempo libero scrittore e gran bevitore di birra Pilsner.

Per Hrabal, nato a Brno nel 1914, curriculum letterario ed esistenziale coincidono perfettamente: i racconti di La perlina sul fondo ne sono una nitida testimonianza. Li porta per la prima volta nelle librerie italiane – per ora solo in quelle virtuali – l’editore Miraggi (con la cura e postfazione di Alessandro Catalano e la traduzione di Laura Angeloni), presso cui hanno trovato casa già diversi titoli interessanti di letteratura ceca di nuova proposta e non solo (da ultimo il sommo e da tempo introvabile Bruciacadaveri di Ladislav Fuks).

Primo libro pubblicato da Hrabal a Praga nel 1963, La perlina sul fondo era rimasto inedito finora in Italia, dove sono state privilegiate sin da subito le opere successive, come Ho servito il re d’Inghilterra o Una solitudine troppo rumorosa. Scrittore-grammofono, Hrabal mostra in questi aneddotici racconti una compiuta maturità dello sguardo, e le intenzioni della sua letteratura sono già dichiarate: invitare il lettore a un giro senza meta sulla linea di un tram praghese, ascoltarne il brusio indistinto e imparare a distinguere le voci. Ma senza affezionarsi troppo perché si scende subito, le voci proseguono il loro viaggio mentre il lettore aspetta la prossima corsa (il prossimo racconto). Un vero e proprio Presepe praghese – titolo del racconto che chiude la raccolta – da attraversare guardando da vicino quegli uomini semplici e chiacchieroni che Hrabal aveva ribattezzato con amore «stramparloni» (pabitel), tra i quali si collocava lui stesso e con i quali volentieri si ubriacava di parole e non solo nelle taverne e soprattutto nelle birrerie della città (il protagonista di Una solitudine proverà a stilarne un memorabile elenco – questa volta sì, con pretesa di esaustività).

E dire che avrebbe anche potuto vestire i panni del tranquillo avvocato di provincia, Hrabal, ma la storia ha immaginato per lui qualcosa di diverso: si è appena iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell’università di Praga quando i carri armati del Reich sconfinano in Cecoslovacchia. Da lì in poi il destino suo e quello di Milan Kundera – che pure è stato nella stessa scuola a Brno qualche anno dopo di lui – si distanziano vistosamente. Niente università dopo la guerra, niente carriera accademica o gruppi di poesia d’avanguardia, e soprattutto nessun autoesilio a Parigi: Hrabal resta per tutta la vita in mezzo alla sua gente, quella da cui apprende le storie che finiscono nei suoi racconti, e grazie alla quale potrà costruire uno degli stili più riconoscibili (e imitati) di tutta la letteratura europea del Novecento. Una lingua a metà strada tra argot céliniano e un certo tocco surreale, favorito da quella «ironia praghese» di cui Hrabal parlerà a lungo nell’intervista al suo traduttore Sergio Corduas pubblicata in appendice a Treni strettamente sorvegliati (edito in Italia da E/O nel 1982; il romanzo, storia di un ferroviere boemo durante l’occupazione nazista, ha ispirato il film di Jiri Menzel premiato con l’Oscar nel 1967).

Fin dal dopoguerra, oltre a cimentarsi nel lavori più strambi, Hrabal non si fa mancare i problemi con il regime: nel clima ostile dello stalinismo, i suoi racconti circolano soltanto come samizdat, autopubblicazioni non registrate. Poi nel ’63 esce La perlina e diventa un piccolo best seller.Dura poco: con la fine della Primavera di Praga i suoi libri passano dall’essere venduti e apprezzati a essere vietati espressamente dalla censura sovietica, tanto che vengono fatti stampare all’estero e avventurosamente contrabbandati in patria. Paradossalmente – si direbbe per qualunque scrittore, ma non per lui – comincia il periodo più felice della sua produzione letteraria, fino al 1976, anno della «riabilitazione» da parte del regime.

Come tutta la sua vita, anche la sua morte è avvolta nella leggenda: a 83 anni, quando è ormai da tempo un autore canonizzato e celebrato in tutta Europa, cade dal quinto piano di un ospedale praghese, dove è ricoverato per i postumi di una caduta. Si è buttato – dicono – o forse voleva allungarsi verso un piccione che si era posato sulla balaustra. Tutte le possibilità erano già contemplate nella sua letteratura, comunque; in un libro del 1989 si legge: «Quante volte avrei voluto buttarmi dal quinto piano, dalla mia casa, in cui tutte le camere mi fanno male, ma l’angelo all’ultimo momento mi salva sempre, mi tira indietro, come dal quinto piano voleva buttarsi il mio dottor Franz Kafka, dalla Maison Oppelt».

Si è fatto seppellire in una cassa di quercia con sopra inciso il nome di una fabbrica di birra. Era il luogo dove sua madre aveva conosciuto l’uomo che avrebbe fatto da padre adottivo al piccolo Bohumil. Ma è anche l’estrema burla praghese con cui Hrabal si congeda dal mondo – dopo aver raccolto dal fondo della strada l’ultima perlina sporca di fuliggine.

LA PERLINA SUL FONDO – recensione di Bruno Ventavoli su Tuttolibri

LA PERLINA SUL FONDO – recensione di Bruno Ventavoli su Tuttolibri

Bohumil Hrabal. Un genio troppo rumoroso

Eccola lì, la provocazione in forma di refuso che ha reso leggendario Hrabal. Si legge in fondo a La morte del signor Baltisberger, che racconta un pomeriggio motociclistico a Brno, nel 1956. Durante la corsa delle 250 Hans Baltisberger, come davvero successe, ha un incidente mortale. La sua moto, Nsu Sport-Max, viene coperta da un telo come il corpo dello sfortunato pilota. Il buon Bohumil, che se ne infischiava del potere e dei suoi mostri sacri, aggiunse una «r». E scrivere che Ma(r)x giace cadavere in un fosso poteva essere pericoloso anche se a Praga cominciava a tirar una lieve aria di «primavera». La casa editrice se ne accorse in ritardo e costrinse sette solerti ragazze a cancellare a mano quella «r» malandrina, con un puntino di penna su tutte le copie già stampate. Lui se la rideva e si vantava della bravata in birreria (e poi nel libro Spazi vuoti). Fu con quella beffa, e con altri racconti di degna iconoclastia, che Hrabal debuttò nel panorama letterario praghese. E che per la prima volta, ora, escono in italiano, tradotti da Laura Angeloni, con dotta postfazione di Alessandro Catalano.

Il titolo, La perlina sul fondo, allude a quella gemma preziosa di umanità che brilla negli abissi di ogni essere, anche il più reietto, anche il meno fedele alla linea. Fannulloni, sabotatori, mascalzoni sbruffoni, piccoli fantasticatori, svitati, parassiti (li definiva Ripellino). Quei tipi che nel capitalismo sono la manifesta conseguenza dell’alienazione. Ma che nel paradiso dei lavoratori diventati padroni dei mezzi di produzione, e quindi di se stessi, non possono esistere, perché sarebbero un ossimoro, la dimostrazione che il marxismo fa cilecca. Hrabal invece non solo li incontrava nelle birrerie, nei parchi, ovunque si potesse sbevazzare e «stramparlare», ma li trasformava in (anti) eroi simpaticissimi del sottobosco praghese.

Anche se le maglie della censura si erano allentate dopo la morte di Stalin e la denuncia dei suoi crimini, la reazione della critica fu dura. Estenuanti, le trattative con l’editore per smussare toni e situazioni. Dopo la pubblicazione arrivarono a decine le lettere di proletari indignati. A quel tempo (meraviglia!) gli haters erano costretti a spargere la loro bile sulla carta e con la penna. Ma i toni non erano granché differenti dagli odierni post sul web. «Sporco maiale, quando la smetterai di avvelenare le anime umane con le tue perversioni disgustose!». «Sulla forca!, La letteratura è un letamaio, un allevamento per la produzione in serie di perversi assassini bestiali». La sua colpa era raccontare la «realtà» non il «realismo» socialista. Praga vera, per niente magica. Bordelli, bische clandestine, acciaierie dove si cazzeggia invece di imitare il compagno stakhanov, piloti di tram che abbandonano il mezzo per bere un caffè e lo lasciano girare pericolosamente senza guida al capolinea.

Nel ’63, quando il libro uscì, Hrabal era già abbastanza attempato. 49 anni. Non aveva mai pubblicato nulla, a parte qualcosina in samizdat, eppure, sempre per quelle meravigliose contraddizioni del socialismo reale, era stipendiato per fare lo scrittore. Prima, però, aveva inchiodato rotaie, fatto il capostazione, offerto polizze assicurative, era stato commesso viaggiatore, operaio, macchinista teatrale. Perché voleva «sporcarsi» con la gente comune per raccontarla meglio.

Fu anche, imballatore di carta da macero. Da cui nacque il meraviglioso Una solitudine troppo rumorosa. L’Haňťa, che lavorava alle presse e, involontariamente, si istruiva con Nietzsche, Goethe, trattati di micologia, compare già qui, nel racconto Il barone di Münchhausen, e corteggia tutte le donne che incontra regalando romanzi rosa salvati dal macero. Fa impazzire il suo principale. E con il candore saggio dei paria spiega cos’è che manda a ramengo la società totalitaria e rende la burocrazia un mostro potentissimo. «Sa signor capo, a volte abbiamo solo bisogno di sentire di aver un potere sugli altri. Non dev’essere un potere eccessivo, ma un pochino, giusto per fargli abbassare un po’ la cresta». Era per questo che qualunque burocrate, funzionario, graduato, stellato, falcemartellato, con un sadismo tanto inutile, quanto deleterio rendeva ogni cosa un’avventura kafkiana (il Franz del Processo, con Hasek, si colloca nello stesso filone di Hrabal).

Hrabal sapeva esattamente quanti gradini bisogna scendere o salire per accedere a tutte le birrerie di Praga; come è bello sfrecciare in motocicletta e provocare incidenti; giocare a rugby e fare il tifo ai derby Sparta-Slavia; abbracciare le donne con seni grandi. Insomma raccontava la vita normale, che non può e non vuole essere redenta dal partito perché ci pensa da sola a redimersi con un boccale di birra o una bigliettaia con il rossetto sulle labbra. E soprattutto insegnava che il potere, qualunque esso sia, si scioglie di fronte all’assurdo come burro al sole. Prendete quel ragazzo che si chiamava Gangala.

«Quanto fa tre più tre?», gli ha chiesto un giorno il maestro. E Gangala ha risposto sette. Si è beccato un paio di sberle e di nuovo: «Quanto fa tre più tre?», e lui di nuovo sette. E tutta la classe ha dovuto fustigarlo a turno con la verga… e: «quanto fa tre più tre»? e sempre sette. Gangala sembrava così sicuro di sé che il maestro è andato di corsa nella sala professori a contare col pallottoliere. E ha continuato a chiudersi lì dentro per tutto l’anno e alla fine dubitava persino del pallottoliere. Ed è finita che Gangala e quella semplice addizione lo hanno fatto impazzire».

Hrabal se ne andò nel ’97 cadendo da una finestra del quinto piano. Secondo la versione ufficiale si era sporto troppo per cibare i piccioni, come un protagonista di qualche suo libro. E ne scrisse di meravigliosi, (Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare, Treni strettamente sorvegliati, Ho servito il re d’Inghilterra…). Leggetelo e rileggetelo. E capirete che nulla va preso sul serio. Perché su questa umana terra non è affatto vero che 3+3 non faccia sette. Né tantomeno che la scienza sappia come debellare un minuscolo virus.

QUI L’ARTICOLO:

Bohumil Hrabal
LA PERLINA SUL FONDO – recensione di Gaetano Moraca su Style del Corriere

LA PERLINA SUL FONDO – recensione di Gaetano Moraca su Style del Corriere

Tradotto finalmente in italiano grazie a Miraggi esce il libro d’esordio di Bohumil Hrabal, il maggiore scrittore ceco della seconda metà del Novecento. Vissuto facendo mille umili mestieri, ampiamente testimoniati nella sua opera, Hrabal pubblica La perlina sul fondo a 49 anni, nel 1963. Nello spettro dell’interesse dello scrittore rientrano le persone bastonate, quelle che appaiono sbruffone perché preferiscono nascondersi dietro un atteggiamento spavaldo piuttosto che mostrare i propri sentimenti, la gente che macina slang contribuendo alla formazione di una lingua nuova. Hrabal riesce a coglierne l’essenza, la perlina celata in ognuno di essi. In questa prima raccolta di racconti si trova tutta l’umanità dei bassifondi e dei margini che l’autore ceco investigherà nell’opera successiva.