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Donne di mafia – Michele Lipori intervista Liliana Madeo su Confronti

Donne di mafia – Michele Lipori intervista Liliana Madeo su Confronti

Donne di mafia. La decostruzione di uno stereotipo

Il libro Donne di mafia aiuta a smontare un cliché delle donne che partecipano in diverso modo all’universo mafioso.

L’identikit delle donne di mafia lo fanno gli uomini, e quindi il cliché si fa portatore della visione che la mafia ha delle donne. In questa visione, la donna serve per fare i figli, per creare la famiglia e la continuità, e soprattutto per mantenere i contatti tra la famiglia di sangue e il clan. Questo però a patto che la donna non sappia niente di quello che riguarda il mondo della mafia, perché non ci si fida di lei. Si pensa infatti che la donna a causa della sua l’emotività possa essere portata a tradire. Ma come vivono le donne questo ruolo? Molti dei rapporti d’amore con gli uomini mafiosi nascono in età giovanile, sia da donne che vengono da famiglie mafiose, sia che vengono da fuori.

Nel primo caso queste donne non trovano niente di strano, perché rivedono quello che hanno visto fare in casa, il modo in cui venivano considerate le loro madri e tutte le donne della famiglia. Le donne che invece entrano in questo tipo di famiglie senza avere idea di quello che troveranno vanno a delineare lo scenario più complicato, perché alcune si adattano e vanno avanti in nome dell’amore, e altre che invece no. Per esempio la moglie di Buscetta, Maria Cristina de Almeida Guimarães, pur non condividendo e non partecipando a progetti mafiosi, non rinnega l’uomo e il padre dei suoi figli. Tuttavia sarà il trade unions con Falcone, verso il cambiamento di Buscetta e il suo diventare collaboratore.

Per esempio Rita Simoncini, la moglie di Francesco Marino Mannoia, il “chimico” della mafia, si innamora da giovanissima e rimane sempre al suo fianco, anche quando viene arrestato e inizia a collaborare. Falcone ha detto che grazie a lei ha capito come le donne possono vedere la mafia, come luogo chiuso, oscuro, di preclusione e di silenzio, e come la radiosità e la voglia di vivere di queste donne si vada a scontrare con questa realtà. Il mondo delle donne di mafia è estremamente variegato. Ci sono donne come la moglie di Leonardo Messina, che veniva da una famiglia mafiosa, e che non prende bene la decisione del marito di arrendersi, e altre come la compagna di Gaspare Mutolo, che accetta la decisione del marito di collaborare come una decisione giusta, solo perché viene da lui. Oppure Margherita Gangemi, la donna di Antonino Calderone, che pur non facendo parte di questo mondo, invita il marito a fuggire all’estero per non mettere a rischio i loro figli e lo aiuta nei suoi spostamenti, fino a che non viene arrestato e decide di parlare.

Poi ci sono casi, come quello della moglie di Stefano Bontade, che afferma di essere orgogliosa di essere stata sposata con un grande uomo e decide di non raccontare niente. Un altro è quello della moglie di Michele Greco, chiamato “il papa”, una donna colta e una musicista, che mostrando la sua casa piena di libri ai giornalisti, chiedeva loro come potesse appartenere a un mostro. 

L’immagine delle donne di mafia è vittima di uno stereotipo. 

Si tratta certamente di stereotipi. Ci sono uomini di mafia che usano le donne come oggetti, usate per sfogare gli istinti più brutali, e altri che si affidano completamente alle loro mogli, come il caso di Giacoma Filippello, moglie di Natale Lala, che decanta una vita meravigliosa e grandi imprese, e rimane al suo fianco fino a che non viene ucciso. Quando questo accade inizia a parlare per vendetta ed entra nel servizio di protezione. Poi ci sono alcune donne che subiscono e tacciono per amore dei figli, sia per tenerli fuori da determinate situazioni, sia perché pensano ai vantaggi che traggono dal denaro, dal potere e dalla visibilità. Quando negli anni ’80 scatta il maxi processo, molti uomini di mafia chiedono il consenso delle loro donne prima di collaborare, e loro gli si rivoltano contro. Quindi anche le donne hanno il loro potere nella famiglia mafiosa.

Non è chiaro se le donne nella famiglia mafiosa siano più vittime o carnefici, perché è tutto molto più sfumato di così.

È chiaro che le donne che racconto sono una minoranza. Il vantaggio che hanno è la ricchezza, infatti una volta all’interno dei programmi di protezione si lamentano delle case dove vengono collocate. È un mondo che scompare, quindi tutto dipende dalla consapevolezza personale. Per esempio una grande differenza la fa lo studio. Poi ci sono storie tragiche come quella della mamma di Giuseppe Impastato, che quando scopre di far parte di una famiglia mafiosa inizia a ribellarsi mettendosi contro il padre. Questa donna si trova così divisa tra il figlio e il marito, che poi viene ammazzato proprio perché il fatto che il figlio fosse contro la mafia lo aveva messo in cattiva luce.

Questa immagine della donna cristallizzata in una figura che esegue senza parlare, faceva parte della cultura dell’ambiente mafioso, ma anche della cultura dell’antimafia. Basti pensare al fatto che nel maxi processo gli imputati sono 474 mentre le donne imputate sono solo 4 e per reati non molto gravi. La mafia era un problema che riguardava gli uomini e anche la magistratura non aveva capito l’importanza delle donne, fino a che Falcone e Borsellino non hanno fatto luce sul vero ruolo che le donne avevano all’interno della mafia, ben diverso da quello che la tradizione aveva raccontato.

QUI l’articolo originale:

DONNE DI MAFIA – intervista di Salvatore Massimo Fazio a Liliana Madeo su La Sicilia

DONNE DI MAFIA – intervista di Salvatore Massimo Fazio a Liliana Madeo su La Sicilia

Anche la mafia ha il suo lato oscuro

Liliana Madeogiornalista ardita e scrittrice, dopo 25 anni nella la collana Scafiblu della torinese Miraggi Edizioni, torna con “Donne di mafia”, pubblicato inizialmente per Mondadori. Da qui iniziamo a farci raccontare come è avvenuta questa nuova edizione con Miraggi: «È il mio esordio con Miraggi. La proposta è venuta da loro stessi. Mi è piaciuto proprio che non venisse da una big». Potentina di Genzano di Lucania, sarà inviata del quotidiano La Stampa, per passare dal mondo dello spettacolo alla cronaca tra luci e ombre dell’attualità. Dal ’90 al ’92 è consulente al programma del Tg 2 Mafalda – Dalla parte delle donne. Ha scritto di terrorismo, criminalità organizzata, salute mentale, femminismo, iter legislativi di norme su violenza sessuale, aborto. Con “Donne di mafia” e “Donne cattive –Storie di donne contro” ha aperto una ‘voragine’ sulla evoluzione di quelle donne che trasgredendo hanno contribuito sia al cambiamento dell’identità femminile sia al varo di nuove leggi.


Venticinque anni fa cosa ti spinse a scrivere di questo argomento?
«Falcone fu ucciso. Quella sera stessa mi chiesi come si comportavano a casa gli assassini. Chi fossero le mogli o le amanti, che rapporto avevano con la mala. Non se ne sapeva niente, né se ne parlava mai. “Lo faccia, lo faccia questo libro“ mi disse a Palermo un giorno un alto magistrato. “Noi non sappiamo niente delle donne di mafia” aggiunse. Credo ancora oggi che le inchieste non hanno un destinatario unico, definito: riempiono un vuoto, si rivolgono a chi non sa e magari vuole sapere».

Chi erano e chi sono le Donne di mafia, delle quali dipingesti due profili?
«Certamente, come ho più volte detto, quelle cresciute in famiglie criminali e quelle che vi sono approdate, tramite relazione con un mafioso, quasi per errore».

Scrivere di mafia, con certi approfondimenti, ti ha arrecato danni, minacce, molestie, ritorsioni?
«No e credo perché sono stata rispettosissima dei dati. Le ricerche, le indagini, non ho modificato nessuna verità che non fossero fatti reali»

Eppure, hai raccontato di chi si è opposto alla ‘famiglia’ mafiosa dove accidentalmente, per amore, vi finì dentro…
«Indagini, inchieste, come ti dicevo, su fatti reali. Donne che pagarono a caro prezzo il loro rapporto sentimentale con un membro di ‘famiglie’; donne che si ribellarono per ottenere la libertà, donne delle quali tutto si sapeva e che ho raccontato, come il loro essere pavide in alcune circostanze. Poche le ardite. In breve, non ho avuto paura di dire quello che scoprivo perché corrispondeva alla verità».

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Donne di mafia, sembrano assorbite in uno stato degenerativo, come anguille che scivolano dalle mani del patriarcato mafioso, per orientarsi verso più orizzonti…

«Le facce delle donne che fanno parte della mafia sono tante: il libro fa nette distinzioni fra loro. Il sottotitolo è chiaro. Il senso e il pregio del lavoro fatto, pubblicato, ripubblicato. Certamente Cosa Nostra nasce come mondo al maschile, dove le donne tacciono e per questo sono rispettate e scelte; tutto è basato su violenza, sul potere, sull’imposizione al maschile. Attraverso gli atteggiamenti, conniventi o di ribellione, si è potuto capire chi ha abbracciato la “causa” e chi ha pagato a caro prezzo per ottenere la libertà».

La teoria della stratificazione sociale asserisce il cambiamento, ma non cancella l’identità.
«Probabile, ma la sicurezza di alcune donne di mafia ad esempio fu dovuta alla tranquillità economica, velata dalla fedeltà verso il maschio: si attivano nel momento in cui l’uomo cade nella trappola di avversari».

Liliana Madeo

Liliana Madeo

Quali differenze ci sono dalla prima edizione della tua inchiesta/libro ad oggi?

«Non esiste più la donna sottomessa all’uomo mafioso. Oggi e l’ho detto anche in una intervista per il mio editore “le compagne o aspiranti compagne degli uomini di mafia non stanno più nella penombra. Parlano in pubblico. Sono viaggiatrici instancabili, anche se nel metro di giudizio dei vertici di Cosa Nostra la donna resta un soggetto inaffidabile, una creatura debole, con molti talenti ma capace di provare emozioni che possono mettere a rischio l’intero territorio su cui la mafia esercita la sua signoria.” (Angela Vecchione, su miraggi.it, n.d.a.)».

Quanto importante è stato il tuo coinvolgimento in prima persona in questa inchiesta ?

«Abbattere il silenzio e i luoghi comuni sulle donne di Sicilia, sulla loro cronica subalternità al maschio e al potere maschile …. ti pare poco? Ti pare un tema relegato nel passato?»

QUI L’ARTICOLO ORGINALE:

http://www.salvatoremassimofazio.it/5178-2/

DONNE DI MAFIA – recensione di Silvia Morosi su La 27Ora – Corriere della Sera

DONNE DI MAFIA – recensione di Silvia Morosi su La 27Ora – Corriere della Sera

«Donne di mafia»: il tumulto provocato dalle figure femminili all’interno di Cosa Nostra

Vittime, complici, protagoniste. A raccontare le donne dei boss, omertose o ribelli, all’epoca dei primi grandi pentiti e il loro rapporto con il frantumarsi del fenomeno mafioso, è stata la giornalista lucana Liliana Madeo in «Donne di mafia», un’inchiesta giornalistica realizzata in Sicilia a partire dal 1992, e pubblicata nel 1994. Ristampato oggi dalla casa editrice «Miraggi», a 25 anni di distanza, non smette di fare luce e «mettere ordine» nelle intricate vicende di mogli, amanti, sorelle, figlie, giovani e anziane, da sempre immerse nell’ombra della famiglia. Il testo racconta, infatti, il tumulto che alcune figure femminili provocarono all’interno di Cosa Nostra: quelle che incoraggiarono i loro uomini a uscire dal circuito mafioso, abbandonando gli agi del potere; quelle che si pentirono; quelle che abbandonarono il marito; quelle che fuggirono, al loro fianco, nei rifugi all’estero o in Italia, e decisero di vivere sotto un altro nome, in luoghi continuamente diversi; quelle che si schierarono contro i compagni di una vita; quelle che arrivano addirittura a togliersi la vita. «Quando Giovanni Falcone fu ucciso, provai a immaginare la faccia dei suoi assassini, i loro festeggiamenti per il successo ottenuto. “E le mogli?”, mi chiesi. Come li avevano accolti, quella sera, i mariti? Se li erano stretti amorevolmente al petto? Di loro — le donne del pianeta mafioso — si sapeva ben poco», racconta al Corriere della Sera Madeo, ricordando la genesi del libro. «Mi precipitai a Palermo. Parlai con magistrati, dirigenti delle forze dell’ordine, sociologi, avvocati, anche con alcune delle donne che avevano avuto il coraggio di uscire dalle pieghe del silenzio e della sottomissione alle regole di Cosa Nostra. A molte mie domande ottenevo, in risposta, evasività, moti di fastidio e di sorpresa. Ho lavorato a lungo. “Lo faccia, lo faccia questo libro. Non sa quanto anche a noi può essere utile!”, mi incoraggiò un alto magistrato».

Cultura e tempo

E così, pagina dopo pagina, intervista dopo intervista, nacque l’oera nella quale ritroviamo «donne giovanissime e inconsapevoli, che per amore finiscono nel circuito degli omicidi, tra latitanze, vendette e fughe. Donne che — con gli occhi e il metro di giudizio dell’uomo che hanno sposato — tutto vedono, giustificano, proteggono. O addirittura incrementano. Oppure – quando lui esce dal clan – rinuncia a un giudizio su quanto è accaduto», spiega. Accanto a loro, «ho descritto anche le figure di quante consideravano la convivenza con il marito un incubo e quelle che cui fu la stagione della felicità, sbandierando le virtù del compagno, padre esemplare, cittadino senza peccato». Tutte loro, nessuna esclusa, ci portano a riflettere su quanto sia «stretta la connessione tra noi e il nostro tempo, noi e la cultura che respiriamo». Tutt’altro che misterioso — precisa — è il compito che Cosa Nostra assegna alla donna: «Deve ubbidire, rispettare gli ordini, tacere. Garantisce la sicurezza della famiglia e la continuità del potere all’interno del clan. Le ragazzine dei vicoli di Palermo e delle periferie siciliane lo sapevano ma – ignoranti, sole, catturate dal richiamo sessuale e sentimentale oltre che dalla visione degli agi di cui avrebbero potuto godere – si inserirono senza titubanze in quel mondo cupo, maschilista, violento», chiarisce.

Rabbia, pena e ammirazione

Nel corso delle ricerche sul campo, «ho scrupolosamente riferito quanto proveniva dalle fonti ufficiali. Esili e sbiadite sono state le voci di replica», sottolinea. Senza dimenticare la «rabbia provata davanti alle matriarche, alla loro indefessa attività mafiosa, e la pena per quante – senza successo – sono andate nelle piazze a urlare i nomi degli assassini di una persona cara, di un figlio». A prevalere, però, è sempre stata «l’ammirazione per quelle che hanno portato il marito a denunciare i crimini commessi e i loro complici, a “parlare” dando il via a nuovi filoni d’indagine. Penso a Margherita Gangemi, moglie di Nino Calderone. Di famiglia non mafiosa, con un diploma e un impiego all’Università di Catania, si innamorata del bel giovane e lo sposa. Subito capisce qual è la sua attività ma tace, stipulando con lui una sorta di patto del silenzio. Finché un giorno – anni dopo – vede i rischi che incombono su di loro e viene allo scoperto. Fa partire Nino alla volta della Svizzera, gli organizza l’accoglienza presso suoi amici e strutture religiose, vende la casa e i gioielli, si licenzia, lo raggiunge …. Sarà lei a chiamare Falcone con cui si incontreranno a Marsiglia».

Il cambiamento di Cosa Nostra

Cosa o cosa non è cambiato da allora ad oggi? «Cosa Nostra è cambiata del tutto, nella struttura e nella gestione degli affari. Pure le figure femminili — anche se ufficialmente il loro ruolo resta quello di sempre — sono cambiate. Oggi non se ne stanno più nella penombra; parlano in pubblico; esibiscono la loro bellezza e i loro talenti. Non solo, sanno usare i mezzi di comunicazione più avanzati; conoscono le lingue straniere; prendono con disinvoltura aerei che le portano da una parte all’altra del globo collegando tra loro poli diversi di denaro e di potere. Ancora, però, non è concesso loro lo scettro del comando», conclude. Quale messaggio è importante rilanciare oggi, alle nuove generazioni che leggono per la prima volta queste vicende sui libri di scuola e non le hanno vissute? «Se un giovane ha interesse per il western, l’horror, il giallo, gli intrichi e gli imprevisti dei giochi d’amore, nelle storie passate di Cosa Nostra trova pane per i suoi denti. E così sarà in grado di gustare ancora meglio le inchieste, gli svelamenti — non poco clamorosi — che si preannunciano».

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

https://27esimaora.corriere.it/20_marzo_26/donne-mafia-tumulto-provocato-figure-femminili-all-interno-cosa-nostra-72e56690-6f78-11ea-b81d-2856ba22fce7.shtml?fbclid=IwAR2TruHco_YSkg-2pi4oVCdgO-SPn8q0PJSMD1A_obmoWWPs59SHQsZt4Bc