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I bestseller Miraggi 2017 su Vita de editor

I bestseller Miraggi 2017 su Vita de editor

Vita da editor ha chiesto alle case editrice quali siano stati i loro bestseller del 2017. Ecco l’intervento di Miraggi

Miraggi (Alessandro De Vito, direttore editoriale)
Il libro più venduto del 2017 è stato Parigi XXI, di Iacopo Melio. Ne sono particolarmente fiero perché la sua poesia (eh sì, i primi 6 libri più venduti sono poesia, chi lo direbbe?) ha una forza tenera e dirompente, ma implacabile, che unita al peperino toscano che è lui fa capire molto bene perché sia così seguito (ed è un segnale molto positivo di questi tempi, che in molti seguano e sostengano il suo cuore e le sue sacrosante battaglie). Per il resto, dato che Miraggi ha diverse anime, siamo molto contenti del successo di tutta la collana di traduzioni Tamizdat, il cui bestseller è Memorie di uno psicopatico di Venedikt Erofeev, nome di culto.

Non risponde mai nessuno: la recensione di Francesco Borrasso per sulromanzo.it

Non risponde mai nessuno: la recensione di Francesco Borrasso per sulromanzo.it

I racconti della commedia umana

«Danilo lavorava alla cooperativa, andava al manicomio due volte alla settimana col furgoncino bianco e il disegno di un sole sulla fiancata con cui portava allegria».
I gesti quotidiani e i movimenti consueti: parlare con un amico, preparare il caffè, spostare un oggetto, riguardare una vecchia vhs. Ogni cosa che facciamo assume quasi sempre valore nel momento in cui proviamo a ricordarla. La vita ci scorre spesso di fianco, restiamo lì, immobili, e troppo spesso ci rendiamo conto di non farne parte, o almeno non nella maniera in cui vorremmo.
E poi come una scarica, ci arriva un input, delle volte mentre siamo indaffarati nel fare qualcosa di manuale, ci piomba addosso una storia, un’immagine, un suono, una voce; e siamo costretti a scavare, a trovare elementi di residuo, e quello che ci è appartenuto ci sembra meno sbiadito.

La nostra esistenza non è un atto unico, è composta da momenti, miliardi di momenti che spesso non riescono a restare vicini e se sono gli attimi che danno valore alla vita intera è importante forse riuscire a vivere le nostre emozioni nel durante e non solamente nella memoria, quando tutti sono bravi a dirsi: beh, lì ero proprio felice, e non me ne sono reso conto.
Cerchiamo punti di svolta in modo continuo senza, apparentemente, trovarli mai, semplicemente perché quando ci capitano non riusciamo ad accorgercene; tutto diventa chiaro nel momento esatto in cui iniziamo a raccontare un evento, attraverso le parole e la narrazione, elementi che ci sembravano poco lucidi e distorti, trovano come per magia la loro collocazione.
Simone Ghelli è nato nel 1975, Non risponde mai nessuno è la sua seconda raccolta di racconti, questa volta pubblicata da Miraggi editore.

I racconti che compongono questo libro ci narrano della commedia umana, del vivere quella vita che come un palcoscenico teatrale ci costringe ogni giorno a entrare in scena, con la speranza di non dimenticare nessuna battuta chiave. Siamo all’interno di vite che non sono nostre, ma che ci rimandano l’eco di qualcosa di familiare, e possiamo provare la sensazione che ogni racconto possa essere un nostro personale ricordo, in una frase, una sfumatura, un’immagine.
E ci ritroviamo con Giovanni e le sue idee dolorose (I tafani del Merse), il suo confronto con ciò che vorrebbe essere e ciò che, in fondo, è realmente. Veniamo catapultati nei ricordi di Paolone, nella sua infanzia (Il missile), nella voglia che ha di mantenere stretto un movimento passato ma mai sbiadito. E questi racconti ci parlano di lutti (Con un figlio così), di impossibilità (Non risponde mai nessuno), di confidenze ed errori (Vedevano tutto il suo dolore).
«Con uno stacco siamo di nuovo fuori dalla Turbina. Zoom lento su tre macchine da scrivere impilate una sopra l’altra e infestate dall’edera. È l’immagine più poetica, la più commovente. Dopo il senso di abbandono che ci accompagna per nove minuti, arriva, improvvisa, questa specie di epifania. È qualcosa di definitivo, un monito con cui fare i conti».

Il modo in cui Simone Ghelli ci accompagna in queste storie è romantico, la sua scrittura procede spedita, non perdendosi mai in inutili preziosismi stilistici; ogni racconto possiede la potenza del reale, la durezza della vita e la sacralità della memoria.
I racconti si alternano tra prima e terza persona, ma il gioco dello scrittore riesce talmente bene che, a un certo punto, anche i racconti scritti in terza persona ci possono sembrare introspettivi come quelli in prima persona.
«A vederli insieme così, in certe domeniche a braccetto, la gente giù in paese diceva che potevano sembrare davvero una coppia felice, che l’abitudine e il dolore non li avevano allontanati. Dopo aver passeggiato per il corso si mettevano seduti al bar prima del ponte sul fiume, e non facevano che ridere e guardarsi in quel modo che soltanto gli innamorati. Ma non erano che quaranta minuti, al massimo un’ora, che poi la vita tornava in carreggiata, affaticata dal peso dei problemi; il lavoro che mancava, un figlio ancora in casa a trent’anni passati, un fratello che non si capiva più dove avesse ficcato la testa.»
Sono poche le pagine che lasciano una speranza, è come se la “terribile” recita umana non possa portare altro che dolore e disperazione e anche lì dove si intravede uno spazio di luce il male, e la consapevolezza della condizione emotiva di ogni individuo, riporta una sorta di sconforto che resta come una macchia indelebile.

Non c’è una regola per vivere, non c’è una soluzione al dramma che ci può piombare addosso senza preavviso, non esiste una legge che possa condurci verso una soluzione; esiste solo la maniera che ognuno di noi ha di vivere la propria esistenza, esiste la possibilità di rifugiarsi nel ricordo quando il presente ci appare troppo duro, meschino ed ingiusto.
E anche se a volte tornare indietro nel posto di ciò che è stato può riempirci di scorie, è importante conoscere a memoria quello che siamo stati, quello che abbiamo subito e ciò che ci ha tagliato a pezzettini, per poter cercare di dare al presente una forma quanto meno diversa.

Francesco Borrasso per www.sulromanzo.it

“Agenzia Pertica” secondo Enrico Pandiani

“Agenzia Pertica” secondo Enrico Pandiani

Agenzia Pertica, edito da Miraggi, è il nuovo libro di Luca Ragagnin, autore prolifico e colto, che ci ha abituati a storie diverse, a cambi improvvisi di direzione, ricerche alcoliche, tabagismo e musica jazz. In questo romanzo racconta, strizzando l’occhio a se stesso, le avventure di uno strano quintetto:
Domizio Pertica, scrittore fallito, ma bevitore più che consapevole;
Venus Diomede, apparizione mozzafiato, piuttosto reale;
Zappa, un merlo indiano che straparla e beve vodka;
Pepe, una gazza ladra in cerca di redenzione;
Trambusto, un gatto filosofo piuttosto furbo.
Insieme, questi cinque guasconi fondano un’agenzia di investigazioni il cui scopo principale è trovare un alibi per i delinquenti.
Con scrittura surreale e nervosa dalla quale traspaiono un certo rancore e un’allegra malinconia, Luca Ragagnin ci racconta, tramite i pensieri dei suoi personaggi, una fiaba contemporanea che pare prendere in giro la realtà. Un po’ Bolaño, un po’ Perec, il racconto si snoda in un intreccio di situazioni spesso divertenti. La scrittura, che in certi capitoli sembra accelerare in una sorta di gramelot comprensibile, in altri si placa portando il lettore alla ricerca di un senso compiuto che i protagonisti, al contrario, si direbbe non vogliono trovare.
Le ultime pagine elencano, appendice o catalogo, i ventisette romanzi scritti da Domizio. Esilaranti le critiche e i nomi delle testate dalle quali sono tratte. Una per tutte:
“È un caso interessante, degno della nostra rivista. L’autore, non il suo libro.” Il Giornale dei Casi Clinici.

Non risponde mai nessuno: la recensione di Francesco Borrasso per sulromanzo.it

Al disagio della vita non risponde mai nessuno: le storie di Simone Ghelli

Non risponde mai nessuno” segna l’esordio di Simone Ghelli con Miraggi. Dieci racconti con un minimo comune denominatore che deriva da un’esperienza personale dell’autore, quella fatta come obiettore di coscienza presso un ospedale psichiatrico di Siena, città dove si è laureato. “La componente personale è sempre molto forte. Parto da un’esperienza vissuta, poi modifico. In questo caso si parla di gente che soffre una situazione di disagio di varia natura, di persone che si ritrovano abbandonate o si sentono abbandonate”.

Lo definisce bene la prefazione di Wu Ming 2.
Il vero filo conduttore è la vergogna, dei personaggi verso se stessi e dell’autore verso il genere umano di cui fa parte. Si permette che certe situazioni esistano, voltandosi dall’altra parte. Si vive nell’indifferenza, senza fare nulla”.

Come è nato il libro?
All’inizio era molto diverso. Quasi un anno fa mandai la raccolta a Miraggi, era parecchio disomogenea e diversi lavori erano già apparsi su riviste. Non pubblicavo da tanto, avevo bisogno di uscire dal guscio. Hanno letto, è piaciuto, mi hanno fatto sapere che non c’era fretta. Se c’è questo tempo, mi sono allora detto, riprendo il materiale. Per la prima volta avevo la fiducia dell’editore e la possibilità di lavorare senza pressioni. Sono nati altri racconti e, alla fine, dei dieci originali ne sono rimasti la metà”.

Perché la scelta del racconto?
Perché è la forma in cui penso di esprimermi meglio. Ho scritto un paio di romanzi brevi, fatico con la forma più lunga. Come Raymond Carver, che abbandonò il suo romanzo perché si annoiava… In effetti le idee di molti racconti sono tentativi di scrivere romanzi perché ho comunque questa specie di tarlo. Poi ci lavoro sopra, tenendomi l’idea forte”.

E viene fuori un lavoro a tutto tondo, come un disco.
Mi piace l’idea di un libro come un album. Non a caso il titolo è quello di un racconto, come la canzone che dà il titolo a un disco”.

Agenzia Pertica: il “tristissimo romanzo comico” di Luca Ragagnin inaugura la collana ScafiBlù

Agenzia Pertica: il “tristissimo romanzo comico” di Luca Ragagnin inaugura la collana ScafiBlù

Luca Ragagnin è al quarto libro con Miraggi. Ma questo è speciale, per due motivi: perché si tratta del primo romanzo, e perché con “Agenzia Pertica” Miraggi inaugura la collana ScafiBlù, dedicata solo ad autori italiani. “E sono molto contento di essere il numero uno”, dice Ragagnin, autore di quello che definisce “un tristissimo romanzo comico”.

Perché questo ossimoro?
“Domizio Pertica è un uomo che vuole fare lo scrittore. Pubblica, ma non riesce a vivere di questo lavoro. Perde i lettori, addirittura la critica lo prende in giro. Con un atto rabbioso decide di cambiare vita e apre un’agenzia investigativa. Incontra una giovane praghese, con cui si fidanza, e lei porta da Praga il suo merlo indiano parlante. All’agenzia si uniscono una gazza ladra e un gatto di strada”.

Che razza di agenzia è?
“Sui generis, nessuno ha sostenuto gli esami per ottenere la licenza. E’ una banda di scalcagnati che ha come obiettivo trovare gli alibi per i delinquenti ma che non riesce a combinare nulla. E’ un tristissimo romanzo comico perché c’è un diffuso sentore di cose perdute e di sconfitta. La compiutezza di tutti questi personaggi si avvera nella sconfitta. Pertica perde l’amore per la scrittura. Venus Diomede perde la sua città. Il merlo perde una lingua che conosceva, venendo in Italia. E la gazza è single perché ha ammazzato la sua consorte: le gazze, come le tortore, sono inseparabili”.

E’ comunque una ben singolare compagnia di giro…
“Più che altro è un guscio narrativo, tutto si gioca sulla lingua e sui registri. Su quello che succede tra parentesi in una realtà che non parte mai. Ognuno dice la propria, animali compresi. E il trait d’union che attraverso le vicende è l’alcol, la vodka: bevono tutti come pazzi, anche gli animali tranne il gatto… I registri sono giocati molto sul basso, verso lo scorretto. A fare da contrappunto c’è un’altra voce che irrompe di tanto in tanto, in metacapitoli annunciati. E’ la voce di chi sta scrivendo, non necessariamente dell’autore. Salta fuori il sottofondo dolente, con una lingua diversa. Come un ammonimento al lettore. E’ un gioco di spiazzamento, per instillare dei dubbi. E’ una voce che fa sbalzare il sottinteso talmente coperto dalle vicende che sono comiche. Ti mostra il rovescio della medaglia”.

Parlando di investigazioni uno pensa a un giallo.
“Ci sono delle promesse, ma si capisce subito che non si tratta di quel genere. Le prime trenta pagine sono una lunga tirata del protagonista sul suo fallimento come scrittore. C’è l’affabulazione, tipica di una certa letteratura. La lingua è molto sorvegliata, anche nelle forme sgrammaticate. Ne viene fuori una favola sbilenca, con equilibri spezzati. Un libro anche apparentemente molto misogino, soprattutto in Pertica: parliamo di un cinquantenne incarognito dalla vita”.

Una disperata ribellione verso il mondo. La recensione di Antonio Cerasa su almanacco.cnr.it

Una disperata ribellione verso il mondo. La recensione di Antonio Cerasa su almanacco.cnr.it

Venedikt Erofeev (1938-1990) è stato uno scrittore-simbolo per intere generazioni, oltre che un autore tra i più controversi del post-modernismo russo. La sua vita al limite tra dipendenza da alcool e vagabondaggio ha fortemente contribuito sia alla sua immagine di reietto, sia alla crudezza della sua scrittura, che trova la massima espressione nel suo bestseller clandestino ‘Mosca-Petuska’. Un’opera grottesca, visionaria, tragicomica, che parte da Mosca per un viaggio forse mai compiuto.

‘Memorie di uno psicopatico’, scritta nel 1956 e ora riproposta da Miraggi, è una rarità. Si tratta infatti del primo libro di Erofeev, caratterizzato da un insieme di memorie scritte su pagine di un diario di cui non si conosceva l’esistenza. Pubblicato in Russia solo nel 2000, il libro è una costellazione di riferimenti e contestazioni furiose sui totem e i tabù della società sovietica. Protagonista di questi racconti è Venedikt, alter-ego dell’autore che, ancora giovanissimo, esprime la sua disperata ribellione verso il mondo.

Il libro mostra la psichedelica visione del mondo dell’autore: questi diari giovanili seguono il giovane Venedikt nel periodo che va dall’ottobre 1956 al novembre 1957. Tredici mesi cruciali, dall’ammissione con lode all’Università di Mosca alla successiva espulsione, dal primo impiego al successivo licenziamento. Il racconto delle esperienze autobiografiche si accavalla e si interseca con riflessioni di carattere filosofico, pseudoscientifico, spesso assurdo. Ciò che colpisce immediatamente è l’andamento bipolare della scrittura tra rabbia incontrollabile a paura, tra odio e bisogno di affetto; lo spazio e il tempo non hanno confini e la metrica del linguaggio di Venedikt richiama le figure cinematografiche dello sterminatore di scarafaggi William Lee nel film ‘Pasto nudo’ (David Cronenberg, 1991) o di Michael Anderson, il nano immaginario del telefilm ‘I segreti di Twin Peaks’ (David Lynch, 1991).

La violenza narrativa con cui Venedikt fa sentire la sua psicopatologia ci ricorda che ancora oggi, a oltre 60 anni dall’uscita di questo libro, esistono milioni di persone che come lui vagano perse per il mondo alle quali nessuno sa indicare loro la via del ritorno a casa. Anche se negli ultimi 40 anni, la scienza della malattia mentale è diventata capace di fornire diagnosi sempre più accurate.

Antonio Cerasa

Domenica 13 agosto c’è Di Benedetto al festival “Inventa un film”, a Lenola

Domenica 13 agosto c’è Di Benedetto al festival “Inventa un film”, a Lenola

Da mercoledì 9 a domenica 13 agosto Lenola, in provincia di Latina, ospita “Inventa un film”. L’evento, organizzato dall’associazione culturale Cinema e Società, è giunto all’edizione numero diciannove e ha in cartellone numerose iniziative collaterali. Tra queste c’è la Giornata del libro (qui il programma), dove Miraggi sarà ovviamente presente. Domenica 13, alle 16.15, Valerio Di Benedetto presenta il suo “Amore a tiratura limitata”. Appuntamento nello spazio allestito nella Pineta Mondragon.

Senti cosa ho scritto: la recensione di Fabiana Marzotto su Tre Mandorle al dì

Senti cosa ho scritto: la recensione di Fabiana Marzotto su Tre Mandorle al dì

Io amo le cose belle, le cose ricercate, le cose preziose. E oggi proprio di questo parleremo. Oggi ci facciamo trafiggere da una freccia poetica destinata a lasciare il segno.

Oggi vi presento “Senti cosa ho scritto” di Lorenzo Bartolini, pagine in versi suddivise in tre tempi. E il fatto che “Giugno in parole” dell’anno scorso fosse dedicato a un altro grande artista – che risponde al nome di Roberto Mercadini e che firma la prefazione del libro – non è un caso.

Sono emozionata, entusiasta, orgogliosa di avere letto queste righe e di avere conosciuto il loro padrone. Tutti dovremmo avere Lorenzo come amico, come conoscente, come poeta. A nessuno dovrebbe essere negato il diritto di godere delle sue parole, parole che si posano come polvere di stelle sulle nostre palpebre chiuse, parole che illuminano di meraviglia ogni sfaccettatura della realtà su cui si posano.

Lorenzo è un attento osservatore di ciò che lo circonda e ciò che i suoi occhi, la sua pelle e il suo cuore percepiscono viene riflesso in uno stile fatto per essere letto, uno stile pulito, nitido, gentile e indagatore dell’animo umano.

Non è possibile non rimanere incantati e stupiti dalla dolcezza e dalla sensibilità racchiuse in questi fogli di carta che ci conducono per mano in lande calorose e colorate.

Salpiamo sulla barca Bartolinica per un viaggio in una poesia che ha il potere di espandersi e occupare ogni spazio libero. Una poesia che ci mostrerà tutto ciò su cui lo sguardo, il tocco e la penna di Lorenzo si sono soffermati creando parole, immaginari e cornici da riempire di bellezza.

Una prima cornice, forse La cornice, è l’Amore: ogni poro di ogni foglio di carta trasuda amore; amore per la mamma, per la fidanzata, per la nipote, per l’amico, per le città (e Torino non poteva mancare). Ogni riga è un inno ad amare e a non avere paura di farlo e di scriverlo. Ogni riga è un inno a vivere ogni stato d’animo, anche quello che porta con sé il freddo vissuto da un cuore privato per un istante dal calore dell’amore a causa di una lite. Ogni riga è un inno a curarsi a suon d’affetto e a lasciarsi trasportare dallo stupore che avvolge ciò che ai più appare ovvio.

Una seconda cornice è la Vita, vita che ci appare straordinaria nella sua scansione temporale ordinaria. Vita che si compone di grandi temi affrontati con la bellezza della semplicità e della bontà di cuore. Qui la poesia riesce a smuovere le coscienze, a diventare uno spillo che ha il potere di sgonfiare quell’enorme bolla che ci costruiamo per non vedere ciò che non ci tocca da vicino. Uno spillo che fa convivere in un buco piccolissimo vino e vergogna. Ma la vita è anche gioco: un modo per rinfrancarsi dalla potenza e dall’energia delle passioni. E’ una pausa per fermarsi a riflettere e a ragionare, sospendendo quella frenesia che non è altro che una cattiva consigliera. La vita è anche non morte e quindi regno assorbente di ogni pensiero.

Una terza cornice è composta dai Ricordi poetici, lettere che sprigionano meraviglia, gioia, generosità, vicinanza, parità. Sono frammenti di attimi di riconoscimento di anime. E’ una cornice libera dove il poeta crea il suo mosaico emozionale che funge da stimolo per il lettore, il quale così potrà dare il suo valore emozionale alle parole che legge, riempiendo di luoghi, sensazioni e persone la terra, la natura e i gesti.

Questo è un lavoro che ha lo splendore e il fascino di una cometa persistente da un lato e la forza educativa ai sentimenti dall’altro. Qui le parole vibrano, si mescolano, si scuotono e danzano al ritmo di una musicalità inedita, una musicalità di cui non potremo e non vorremo più fare a meno.

 


I love the beautiful things, the valued things, the precious things. And today we will talk about these things. Today the poetical arrow will pierce us and it will leave a sign.

Today I present you “Senti cosa ho scritto” (You listen what I wrote), Lorenzo Bartolini’s verses divided in three times. It isn’t a coincidence that last year I talked about an other big artist in “The words of June” section: his name isRoberto Mercadini and he signs the book preface.

I am touched, enthusiastic, proud because I read these lines and I met its owner. Everyone would have to have Lorenzo as friend, acquaintance, poet. Everyone would have to have the right to enjoy his words, which place like stars dust on our closed eyelids, words that light every reality side with magnificence.

Lorenzo is careful observer and what his eyes, skin and heart sense has reflected in his style, a style to read, a clean style, a gentle style, a human spirit investigator style.

We are enchanted and amazed of his sweetness and sensitivity included in these sheets of paper, which join our hands to bring us toward loving and coloured lands.

With his ship, we sail off into the poem, a poem that has the power to grow and capture every free space. A poem that shows us Lorenzo’s reality: his gaze, his style and his pen create words, imaginations and frames to fill up with beauty.

A first frame, maybe the frame, is the Love: every pore of every sheet of paper trickles love; love for the mum, for the girlfriend, for the niece, for the friend, for the cities (and Turin is here). Every line is an ode to love and to not fear to love and write it. Every line is an ode to live every state of mind, even the state of mind that brings the cold lived by the heart when the warm of the love misses for a moment because of a fight. Every line is an ode to take care of us with the love; it is an ode to be surprised about what a lot of persons believe obvious.

A second frame is the Life, life that appears us extraordinary in its ordinary temporal scan. Life with its big questions faced with the beauty of ease and heart kindness. Here the poems move the awarenesses, they are a pin that deflates the big ball which we build around us to not watch what is not near us. A pin that creates a little hole where wine and embarrassment live side by side. But the life is a game too: a way to refresh us from the passions power and energy. It is a pause to stop and to think, without the frenzy that isn’t a good advisor. The life is a not death too and so it is a kingdom that absorbs every thought.

A third frame has made by poetical Memories: the letters give off marvel, delight, altruism, affinity, parity. They are fragments of instants of souls identification. It is a free frame where the poet creates his emotional mosaic that acts as an incentive for the reader, which will give his emotional value to the read words and he will fill up with places, sensations and people the land, the nature and the gestures.

This work shines as a persistent comet and it has the power to educate to the emotions. Here the words are vibrant, they shake, they dance with a fresh sound that will become indispensable for us.

Giugno in parole / The words of June: “Senti cosa ho scritto” di Lorenzo Bartolini

Tutto quel rumore di fondo. La recensione di Marco Patrone su Recensireilmondo

Tutto quel rumore di fondo. La recensione di Marco Patrone su Recensireilmondo

Ho fatto la doppietta di Claudio Marinaccio, dopo il divertente Come un pugno, ho dedicato

un´ora spensierata a questo nuovo Non disturbare, uscito per Miraggi Edizioni.

Il libro è strutturato a piccoli episodi, mutuati su quel mix di parodia di situazioni tipiche (il tormentone degli scocciatori al citofono o per telefono, testimoni di Geova, gestori telefonici, banche) e mini-cronaca di costume che caratterizza anche le attività dell´autore sul suo profilo Facebook. Ritroviamo in effetti anche la stessa voce onesta, a volte cinica, politicamente scorretta, con un certo equilibrio tra sarcastico e amaro/tenero e una modalità schietta e picaresca che potrebbe essere risultato di alcune sue letture americane.

Credo di non offendere nessuno se dico che questo libro potrebbe essere una versione appunto politicamente scorretta delle operazioni tipo “Momenti di trascurabile…” di Francesco Piccolo.
Il tema portante peraltro non è banale, si tratta del surplus di stimoli uditivi e visivi a cui siamo sottoposti: discussioni da bar preferibilmente a voce alta, cold-calling* e ancora scene di cd. ordinaria solitudine da social.
L´altro filo conduttore mi pare essere la cronaca della provincia (i bar, le puntate “in città”) e dei suoitipi, con alcuni esiti che possono ricordare alla lontana il capostipite di questo tipo di satira o ritratto, il Bar Sport di Benni (che però spingeva molto di più sui pedali di satira e parodia, mentre Marinaccio alterna in questi piccoli ritratti “invettiva” anti-luoghi comuni e una certa tenerezza specie per le figure degli immancabili anziani).

In conclusione e nonostante questo ancoraggio nella nostra attualità, penso non si faccia torto all´autore se si afferma che qui egli intendeva soprattutto intrattenere e far sorridere, non produrre particolari approfondimenti su un terreno giornalistico o saggistico.
Se si accetta questa premessa Non disturbare risulta una lettura simpatica e sorridente, conferma quella che è una buona penna e simpatizza con il lettore (o forse viceversa) con la tonalità sincera e scanzonata di chi racconta cose a un amico davanti a una birra o un vino rosso.

 

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*Cold callling è una definizione legale delle chiamate commerciali effettuate senza aver esplicita autorizzazione dal Cliente, qui nel mio paese è pratica considerata piuttosto grave e sanzionata – con gradazioni differenti rispetto a chi le fa, ad esempio per una Banca può comportare multe  salate ma anche conseguenze più gravi – dal libro mi par di capire che in Italia la situazione sia ancora a uno stato piuttosto selvaggio.

POST-SCRIPTUM ALLA MARINACCIO

Non saprete mai se il libro mi sia piaciuto davvero. Peró sai l´autore scrive e recensisce libri per Il Mucchio e Donna Moderna…non si sa mai, meglio tenerselo buono.

http://www.recensireilmondo.com/2017/06/libri-e-recensioni-claudio-marinaccio.html

L’amore raccontato da Andrew Faber. Opera seconda, e più spensierata

L’amore raccontato da Andrew Faber. Opera seconda, e più spensierata

Rigorosamente in minuscolo. Perché l’espediente scelto per il titolo (“d’Amore. di Rabbia. di Te”) vuole mettere in evidenza i sentimenti e la persona. E’ l’opera seconda di Andrew Faber, dopo “Non ho ancora ucciso nessuno”. Formula vincente non si cambia: poesie e racconti, più o meno brevi. Cambia però, aspetto fondamentale, il filo conduttore di fondo. Come racconta Faber: “E’ il proseguimento del primo libro, uscito a luglio 2016, ma il tono è meno serio. Strizzo l’occhio alla leggerezza evitando di scivolare, spero, nella banalità”.

Che cosa è successo in questi mesi?
“Il primo l’avevo scritto dopo essere uscito, in maniera pesante, da una storia lunga. Ero anche andato a vivere da solo. Ora sono più sereno, si vede nella scrittura: più spensierata, più leggera, più libera”.

E’ venuto fuori di getto oppure meditato?
“Di getto. Dopo “non ho ancora ucciso nessuno” ho scritto tutti i giorni, pubblicando su Facebook. A marzo mi chiama Miraggi e mi chiede di immaginare un volume che sia pronto in tre mesi. Io rispondo di no. Mi dicono di pensarci sopra, di prendermi qualche giorno. Ho valutato quanto avevo scritto, ho visto che era pubblicabile. In tre mesi ho irrobustito il materiale ed ecco “d’Amore. di Rabbia. di Te”.

C’è un tema che predomina?
“L’ho sempre detto: sono un gran fanatico della donna e anche in questo si parla d’amore, sia pure in maniera differente. E’ molto introspettivo e molto più maturo di quello precedente”.

Hai avuto modo di “testare” le poesie prima dell’uscita del libro?
“Non immaginando un secondo volume, ci sono cose che portavo negli spettacoli da tempo, conosciute da chi mi segue. Diciamo che ho già verificato sul campo e che è piaciuto”.

Ultimamente usciamo insieme” è il titolo dell’evento in cui coinvolgi Federico Sirianni, cantautore e scrittore. Come è nato il vostro rapporto?
“Io vivo a Roma, ho conosciuto Federico (un genovese) a Torino attraverso Catalano. Poi mi ha invitato a una sua serata quando è venuto nella mia città, ho letto alcune poesie. Ci siamo conosciuti e ci siamo presi. Volevo restituirgli il favore e sono felice che abbia accettato”.

Non disturbare: l’ironia di Marinaccio si abbatte su chi ha sempre qualcosa da dire (o da proporti)

Non disturbare: l’ironia di Marinaccio si abbatte su chi ha sempre qualcosa da dire (o da proporti)

La stand-up comedy in forma scritta: è “Non disturbare”, di Claudio Marinaccio, torinese, scrittore (Linus, Il Mucchio Selvaggio, Gq, Donna Moderna) e lavoratore (ma mantiene il più stretto riserbo su cosa faccia nella vita: nulla di illegale, comunque…). Se negli States si tratta di uno dei generi di maggiore successo – e di maggiore difficoltà, visto che la presa sul pubblico non deve mai calare, uno contro tutti a teatro come negli show televisivi -, in Italia è una forma di intrattenimento ancora poco frequentata, se non ignorata (o evitata) del tutto. Marinaccio ha accettato la sfida, passando dal romanzo d’esordio (“Come un pugno” del 2016) a un libro costruito su descrizioni fulminanti e dialoghi nonsense. Un susseguirsi di ritratti e situazioni nato dalle sollecitazioni su Facebook.

“Scrivevo dei post, in cui prendevo in giro quelli che ti scocciano al citofono oppure al telefono. I Testimoni di Geova che vogliono convertirti o i call-center delle aziende che vogliono farti firmare un contratto. Erano dialoghi surreali. Sono piaciuti, ne ho ideati altri ed è nato il libro. Volevo creare una stand-up comedy scritta. Da noi non tira, negli Stati Uniti va alla grande: c’è un professore di lettere che ha definito la stand-up comedy un genere letterario e la insegna così. E’ libera, racconta la realtà per come è sporca. Negli States sanno ridere di tutto in maniera intelligente, partendo dalle situazioni di vita quotidiana. Come ho provato a fare io”.

Perché il titolo “Non disturbare”?
“Siamo sempre in comunicazione 24 ore su 24, tra internet e WhatsApp. Non rimaniamo più da soli. Riceviamo milioni di input, tutti possono avere un’opinione e oggi manca un’intimità dell’opinione. Non sono obbligati a dirmela, invece lo fanno. Adoro una citazione di Palahniuk: “Quando ti chiedono come è andato il week-end è perché non vedono l’ora di raccontarti il loro week-end”.

Riflette il tuo modo d’essere?
“Amo stare in mezzo alla gente, la mia famiglia è numerosa e nel libro spuntano nonne e zie. Ma mi piace anche la solitudine in mezzo alle persone, senza uno scambio di parole. Si tratta di spazi vitali da difendere, si deve poter ritagliare la propria solitudine”.

E’ la posizione da cui guardi chi diventa protagonista dei tuoi racconti?
“Mi piace osservare quello che succede: entrare in una bar, vedere le persone, anche ascoltarle. Lo adoro. E poi mi piace passeggiare, ti dà la misura della realtà. Ti costruisci un’idea della gente e vedi le cose”.

Riveli una passione per i Testimoni di Geova…
“Ora mi scrivono quando al citofono si presentano i Testimoni di Geova. Non ho niente contro di loro ma mi fa ridere questo essere fuori del tempo, questa idea di convertire al citofono”.

E’ stato complicato il passaggio dal romanzo al racconto?
“Il romanzo è più vincolante nello sviluppo della trama, i racconti sono molto più liberi. A me sono sempre piaciuti i grandi classici: Hemingway, Dostoevskij, Bukowski. In loro è presente un’ironia di fondo, la mia è più cinica, quella che maggiormente si addice ai pezzetti di vita di “Non disturbare”.