“Mia moglie va a fare la spesa: compra quello che ci serve e poi sceglie con cura le cose da lasciare nel frigo ad ammuffire.”
Felice è un uomo, un padre ed un marito che lotta con l’insonnia, con le perpetue richieste delle figlie al grido di “papoooo”, con un dente pulsante e con la fuga del frigorifero, esasperato dallo spreco costante di cibo.
Racconta le vessazioni che subisce e le sue più intime paure, giorno per giorno, in quello che diventa un vero diario.
Ad un certo punto, dopo l’ennesimo pacco di carote ammuffite, il frigorifero sparisce nel nulla. Zero. Scomparso.
Caro Andrea Serra e cari amici di Miraggi edizioni, ecco devo dirvi che, a ‘sto punto, mi son sentita come si sente un complice in un delitto, suppongo.
Se il mio frigorifero, d’un tratto, prendesse vita, temerei le reazioni più che la fuga.
Me lo immagino colpirmi alle spalle con una delle 32 soppressate sottovuoto che ivi ripongo dopo i miei soggiorni calabri. Per non parlare degli sbadigli dettati dalla mancante fantasia settimanale, dove più che l’ingegno può la fretta.
Dunque il frigo sparisce, il dentista è un matto ossessionato dagli alieni, le colleghe (uh le colleghe, per carità) tutte taglia 40, fissate con la dieta e con le tisane al pepe nero ed acido snellente-ventre piatto.
Al povero Felice non resta che dare un senso a tutto, iniziando con il Chi l’ha visto dell’elettrodomestico, che lo porterà fino agli inferi.
E in questo posto un po’ apocalittico, un po’ ibernante ed un po’ Agenzia delle Entrate, eccolo lì, l’elettrodomestico errante:
“Era il mio frigorifero che austero e divino mi disse: – Ora che anche tu sei nei ghiacci, posso rivelarti perché me ne andai. Far ammuffire carote, zucchine e uova è lo peggio peccato de lo mondo…
Che ad ammuffir prima di ogni cosa è la tua vita e la tua mente. Per questo tuo odor di muffa presi la via”.
Ora potrei star qui anche a dirvi se il viaggio è un sogno o se i sogni aiutano a viaggiare meglio, ma io non sono Marzullo e c’ho un frigo da sbrinare.
Leggete Andrea.
Che essere leggeri non è essere superficiali.
La leggerezza anzi la può usare solo chi sa andare anche fino in fondo.
Philip Roth, nell’ultima parte della sua vita, sarà stato sicuramente mortificato per non aver ricevuto il Nobel. Certo, però, non era in buona compagnia: quasi ogni cretino, anche con una sola plaquette di poesia pubblicata, è convinto di essere un vincitore ingiustamente mancato. Sono veramente pochi a non avere l’ego tanto grande da ambire a un qualche riconoscimento sovradimensionato rispetto alle loro reali qualità artistiche. Per fortuna, ogni tanto, capita di trovare uno scrittore che, con estrema modestia, non si sente in competizione con i grandi e non ambisce a scalzarli dal loro trono. Come Andrea Serra che, con il suo Frigorifero Mon Amour, Miraggi 2018, non è sceso in campo con l’intento di rivoluzionare la storia della letteratura. Molto più serenamente, lo scrittore torinese di origini sarde si limita a regalarci qualche momento di leggerezza e riso. E lo fa raccontandoci la toria tragicomica di una famiglia comune, la cui vita si trascina tra un’avventura grottesca e l’altra. Travolti dalla sua inguaribile tendenza a tramutare ogni situazione in un’occasione di divertimento, siamo andati a intervistarlo con l’animo sollevato, sicuri che non ci avrebbe ammorbati con la solita tiritera, della serie “sono il migliore, ma ancora nessuno l’ha capito”.
Insomma, ragazzo mio, hai letto i classici: Dostoevskij, Kafka, Camus, Sartre. Hai studiato a Torino, con pensatori del calibro di Gianni Vattimo e Maurizio Ferraris. Ti sei laureato in Filosofia a pieni voti… Com’è che poi hai deciso di non prenderti per niente sul serio e diventare l’autore di Frigorifero Mon Amour?
Questo libro che parla dell’amore per un frigorifero è qualcosa di serissimo. Ed è la diretta conseguenza dei miei studi filosofici e della mia imbarazzante dipendenza dai classici. Solo dopo aver conseguito la Laurea Magistrale in Filosofia Morale ho capito che, se volevo scrivere qualcosa di serio, dovevo evitare in tutti i modi la serietà. l mio intimo amico Franz Kafka, quando leggeva agli amici le pagine di Il Processo, rideva fino alle lacrime.
Hai scritto un libro che diverte ed è segnato da una profondissima leggerezza di fondo. A tuo avviso, nel mondo letterario, c’è bisogno di qualcuno che faccia ridere, di autori che non perseguano il tragico come partito preso?
Sì, penso che la leggerezza sia necessaria, soprattutto in questa nostra società liquida e liquefatta che viaggia a ritmi vertiginosi. La leggerezza, d’altronde, non è superficialità, come già affermava Calvino, ma qualcosa di essenziale e profondo. Basta solo non dimenticarla nello scomparto dell’umido. Insomma, non bisogna lasciarla ammuffire nel frigorifero, ma cibarsene quotidianamente. I medici consigliano di consumarne almeno cinque porzioni al giorno.
Quando ti ho presentato a Cagliari, hai confidato al pubblico di aver scritto qualcosa già prima, un libro che, se non ricordo male, avevi anche inviato al Premio Calvino. Quando ti è stata recapitata la scheda finale di valutazione, il tuo testo è stato bocciato senza possibilità d’appello e tu sei stato invitato a levarti dalle palle. Ci potresti raccontare dell’accaduto? Sono sicuro che saprai presentare un momento così difficile per uno scrittore come qualcosa di divertente e, magari, tirare un po’ su di morale i tanti scrittori che sono abituati a ricevere solo rifiuti. Ah, già che ci sei, potresti pure dirci cosa ne pensi dei premi letterari in generale.
Certo! Pensa che io avevo lavorato a quel manoscritto per diversi anni. Si trattava di una serie di racconti esoterici collegati tra loro. Il risultato era tra il terrificante e l’imbarazzante. Per fortuna, la giuria me lo fece notare. Io ci rimasi malissimo ovviamente, perché chi scrive pensa sempre di essere vicino al Nobel per la Letteratura. Ma le critiche e le stroncature, alla fine, sono il momento più prezioso, se si vuole davvero migliorare nell’arte della scrittura. Se non avessi ascoltato i consigli e i pareri negativi che mi sono stati rivolti, adesso non sarei qui a rispondere alle tue domande. Perciò, mi sento di suggerire a chi inizia a scrivere di fare tesoro di tutte le critiche e i suggerimenti, perché proprio lì si possono cogliere i segnali da seguire per trovare la direzione giusta. I premi letterari, inoltre, sono una bella occasione per mettersi alla prova e per confrontarsi con altre persone che hanno la tua stessa passione.
La cifra distintiva della tua narrazione sembra essere quella dell’esasperazione del quotidiano in chiave dolcemente grottesca. Com’è che hai deciso di adottare una simile soluzione nella tua scrittura?
Questa esasperazione grottesca non è studiata o programmata, fa parte di me da sempre. È una tragica tendenza della mia troppo fervida immaginazione. Mia moglie è giustamente disperata perché, conoscendomi bene, sa che, quando le racconto un fatto, questo non corrisponde mai al vero. Sono sostanzialmente un individuo disturbato che trascrive su carta i suoi deliri quotidiani.
Andrea, è la vita a essere divertente e la tua scrittura, di conseguenza, la imita; oppure la vita è così dolorosa che la letteratura deve riscattarla buttando in vacca ciò che è solo pena e afflizione? Perdonami la domanda che fa palesemente il verso a Marzullo.
Grazie per questa domanda marzulliana, che tuttavia non ho compreso completamente. Ma per non sfigurare voglio rispondere citando la Critica della Ragion Pura di Immanuel Kant, che, tra l’altro, fa molto figo. Direi che sono le nostre categorie mentali a dare forma al mondo. La realtà è divertente, tragica o noiosa sulla base degli “occhiali” che portiamo. L’ironia è un abito mentale, un abito che andrebbe insegnato a scuola a mio parere, perché permette di guardare le cose da prospettive diverse e consente di trovare soluzioni inaspettate. Con questa risposta credo di esserne uscito alla grandissima e, nello stesso tempo, di aver spremuto completamente il mio unico neurone. Ti chiederei pertanto di abbassare notevolmente il livello delle prossime domande.
Tu hai, diciamo pure, un buon successo presso il pubblico dei social, un successo che molti scrittori che perseguono la serietà a ogni costo si sognano. Da cosa pensi che dipenda una simile attenzione che tu riesci evidentemente ad attirare e altri no?
Ho iniziato a postare alcuni dei miei racconti da un paio d’anni, quindi relativamente tardi. Il mio approccio ai social è poco virtuale: io tratto tutte le persone che interagiscono con me come persone reali, per cui, se mi scrivono e commentano i miei post, rispondo sempre e, magari, nasce una conversazione, uno scambio, un’amicizia che va al di là della rete. E non importa se devo replicare a trecento messaggi in una sera. Sono tutte persone che hanno impiegato il loro tempo per dirmi qualcosa e il minimo che io possa fare è dare risposta a ognuno. Credo che il segreto stia qui. D’altronde, quello di cui abbiamo bisogno tutti è di essere riconosciuti, mentre i social, al contrario, spingono verso la massificazione e l’anonimato.
Non ho mai capito perché, ma mi pare che molti autori italiani si sentano provinciali a raccontare di ciò che li circonda. Tu, invece, sembri molto legato al quotidiano, alla vita di tutti i giorni. Infatti, come si evince da Frigorifero Mon Amour, prendi ispirazione dalla tua famiglia, dai colleghi di lavoro, ovvero dalle persone che ti ruotano intorno ogni giorno, per quanto ti conceda di trasfigurarli in chiave ironica. Non pensi che ci sia qualcosa di profondamente triste in tutti questi scrittori che hanno timore di raccontare con semplicità e onestà ciò che sono, la loro quotidianità, e tentano pietosamente di ambientare i loro romanzi in America o in altri posti che forse hanno visto di sfuggita per una settimana, durante le vacanze?
Sì, sono assolutamente d’accordo con te. Il meraviglioso e lo straordinario sono nel quotidiano che abbiamo davanti agli occhi. Non avrei altro da aggiungere. Scusa la brevità della risposta. Sono ancora un po’ stanchino, dopo la domanda precedente.
Tu hai scritto anche poesia, almeno in passato, giusto? Perché non ce ne reciti una, raccontandoci anche il retroscena?
Se proprio insisti… posso recitarti questa che si intitola A Pasqua. È la prima che ho scritto, avevo sette anni: “A Pasqua fuma la vasca,/ fuma da Pavia,/ in provincia di Lombardia”. Questa poesia, come vedi, anticipa l’ermetismo, il simbolismo e il provincialismo. Nasce dal fatto che, quando ero piccolo, mio padre, per farmi il bagno, mi immergeva in una vasca di acqua bollente che riempiva la stanza di vapore. Il riferimento a Pavia, invece, non è del tutto chiaro. Alcuni critici hanno pensato a un viaggio segreto compiuto all’età di un anno e mezzo, mentre altri pensano si tratti di un’influenza massonica lombarda.
Prova a immaginare di finire nei manuali di letteratura tra cinquant’anni. Secondo te, cosa scriverebbero i curatori in merito alla tua poetica?
Sicuramente parlerebbero di “poetica dell’elettrodomestico”, perché per primo ho dato voce al frigorifero, alla lavatrice e al forno. Quello che mancava nella storia della letteratura era proprio una corrente alternata e ammuffita.
C’è qualcosa di cui vorresti scrivere, ma per cui non pensi di avere le capacità?
In generale di tutto. Io sono estremamente critico verso ciò che faccio e, soprattutto, che scrivo. Dopo aver rivisto centinaia di volte quello che mi esce dalla tastiera del pc, mi sorge sempre l’istinto di darlo alle fiamme. In tutta sincerità, non credo di essere particolarmente dotato con la penna. Ci sono tantissimi scrittori veri, molto più bravi di me. Io mi limito a mettere nero su bianco una storia quando proprio ne sento la necessità e, con tutti i mezzi che ho a disposizione, cerco di limitare i danni.
Stai scrivendo un secondo romanzo, se non ho capito male. Di cosa parlerà? Dobbiamo aspettarci un nuovo Andrea Serra, o quello che oramai ci è caro?
Quello che ho iniziato a scrivere è la continuazione di Frigorifero Mon Amour. Però ci saranno tante novità, sia in termini di trama che di personaggi e, soprattutto, di numerazione delle pagine. Per la prima volta nella storia della letteratura, queste non saranno indicate con i numeri, ma con i puffi disegnati da Luna (mia figlia). Ad esempio, al posto del numero uno, a pagina uno ci sarà Puffo Ercole; a pagina due, Puffo delle Mezze Stagioni; a pagina tre, Puffo Caccola Verde… E via dicendo.
Far finta di essere ciò che non si è: ecco il grande male di molti scrittori. Insomma, l’eccesso di serietà. In troppi si arrogano il ruolo di maître à penser. Ma se non si è seri per indole innata, meglio evitare almeno di risultare ridicoli. L’umiltà rende liberi dalla schiavitù di inscenare una parte che non compete. Del resto, non tutti devono per forza scrivere testi che condensino la profondità di un La Nausea, L’età della ragione e Le mani sporche, in un unico volume – anche perché, sai che due palle!
Essere abissali non rientra tra le prescrizioni mediche. Lanciare messaggi eterni che riecheggino lungo i secoli non è il solo motivo che possa animare nello scrivere. A volte, il narratore vuole semplicemente divertire senza secondi fini o alti intenti di critica sociale. E anche riuscire in questo proposito non è in fondo meno difficile, né meno nobile. Tutto sommato, quanto disse Rino Gaetano a chi gli chiedeva di rispondere all’accusa di essere un cantautore capace solo di far ridere, non è per niente sciocco: «Faccio ridere? Meglio che fa’ piagne».
Uno dei pochi a non prendersi troppo sul serio è, per esempio, Andrea Serra, giovane scrittore sardo naturalizzato torinese. La sua ultima fatica – anche se, presumibilmente, più che di uno sforzo si dev’essere trattato di uno spasso –, Frigorifero Mon Amour, Miraggi Editore, 2018, costituisce un paradigma del disimpegno intelligente. Se i vari Volo, Moccia, e D’Avenia fanno di tutto, pur non potendoselo permettere, per risultare seri come Philip Roth e commerciali come la carta igienica, Serra evita tali pose come la peste. A lui si attaglierebbe magnificamente il bel verso di uno dei massimi poeti italiani del ’900, Giovanni Raboni: “Solo questo domando, esserti leggero”. E leggero è leggero, giocoso, divertente – per usare un francesismo – fino a pisciarsi dalle risate. Non aspettatevi la verità rivelata, piuttosto un paio d’ore di risate.
Il romanzo è la storia dolcemente grottesca di una famigliola comune (marito, moglie e due figlie), con una vita normalissima. Le situazioni e i luoghi della quotidianità, però, si caricano di tutta una serie di aspetti surreali. Il dentista diventa, quindi, una specie di serial killer mancato che si accanisce sui denti del protagonista con trapani, cemento e bombe a mano.
Il meccanico di fiducia è un napoletano imbroglione che danneggia volutamente il mezzo e poi estorce cifre esorbitanti per le riparazioni. Le colleghe di lavoro sono psicopatiche, ossessionate dalla dieta, che evitano di mangiare per riuscire a dimagrire e, dopo alcuni giorni di digiuno, sono capaci di ingurgitare anche i computer dell’ufficio.
La moglie, smaniosa di fare bella figura per le feste ancora ben lontane dal venire, si sveglia nel cuore della notte e, con una sega elettrica, taglia una quercia secolare per piantarla nel mezzo del salotto di casa a mo’ di albero di Natale. Le due bimbe, inconsapevolmente pestifere e diaboliche, chiamano il padre ogni notte, urlando, tra le due e le quattro, ponendogli gli interrogativi più assurdi. L’uomo di casa, sempre più vicino alla crisi di nervi, si arrabatta tra le mille pretese di moglie e figlie.
Tra una peripezia e l’altra, come se non bastasse, è costretto a sottoscrivere la ventesima finanziaria per comprare l’ennesima lavatrice che, “come da contratto”, si autodistruggerà proprio il giorno dopo il termine della garanzia. In tutto ciò, il personaggio, figlio come altri Fantozzi, della grande attitudine italica all’esasperazione in chiave comica della nostra insana normalità, intrattiene un quotidiano scambio amicale con il suo frigorifero.
Ma quella di Frigorifero Mon Amour è una storia che non si può sintetizzare. Perderebbe inevitabilmente. La sua forza sta tutta nella penna di chi la racconta. Nella capacità di seminare due o tre climax di ilarità all’interno di ogni paragrafo. Perché della comicità non si possono mai tirare le somme, come per una tematica qualunque. Il riso è il risultato indotto da un processo che segue un suo percorso impossibile, o quanto meno inutile, da ricostruire. È un dono che si possiede o meno. Serra lo possiede e ha il buon gusto di non farlo mai pesare.
Frigorifero Mon Amour (Miraggi Edizioni) è libro umoristico che affronta il tema dello spreco alimentare. Il protagonista del libro, Felice, è un marito e un papà che, vessato dalla moglie e dalle temibili figlie, deve fare i conti con la fuga del proprio frigorifero, esasperato dallo spreco di cibo cui assiste quotidianamente. Da quel momento Felice (ma sempre meno) proverà in tutti i modi a ricongiungersi con l’amato elettrodomestico. Alla fine di un turbine di eventi travolgenti: la morte improvvisa della caldaia, le sedute devastanti dal dentista, i weekend deliranti con le figlie e le colleghe fissate con le diete e lo shopping, sarà costretto ad affrontare una rocambolesca quanto grottesca discesa agli Inferi per ritrovare il suo amato frigorifero e il senso della propria esistenza. Il libro è anche sostenuto dal Banco Alimentare, che combatte lo spreco ridistribuendo ogni giorno alimenti a migliaia di famiglie in difficoltà sul territorio nazionale.
Lo scrittore Andrea Serra (Torino 1975), è seguito su Facebook da migliaia di persone per i suoi racconti umoristici. Nel 2016 con il racconto Il mio dentista ha vinto la XV edizione del Concorso Racconti nella rete e l’ha pubblicato in un’antologia edita da Nottetempo. Nello stesso anno ha vinto la II edizione del Concorso 88.88, premio nazionale per racconti brevi. E nel 2017 ha vinto il Premio speciale della giuria della XVI edizione di InediTO-Colline di Torino sezione Narrativa-Racconto. Pubblica quotidianamente pezzi ammuffiti dei suoi racconti e su Facebook e Instagram. Frogorifero Mon Amour è il suo primo libro.
Serra utilizza con grande arguzia ed intelligenza l’ironia per parlare nel libro di temi importanti, come lo spreco alimentare. Un romanzo godibile e di attualità. La vita quotidiana della famiglia di Felice è talmente simpatica e accattivante da sentirne la mancanza a fine romanzo. Speriamo di ricontrarla presto in un nuovo progetto con tante altre avventure (o disavventure). Abbiamo raggiunto l’autore per parlare dei temi centrali del libro.
Come è nata l’idea di raccontare uno spaccato di vita quotidiana?
Questo libro nasce dalla mia abitudine alla scrittura e soprattutto alla lettura, che mi accompagna da quand’ero piccolo. Ho sempre letto tantissimo e tenuto un diario su cui appuntavo poesie, riflessioni e racconti. Qualche anno fa ho iniziato a raccontare le vicende della mia famiglia e del mio frigorifero con un tipo di scrittura nuovo, nato un po’ per caso in una sera di stanchezza. Mi sono scoperto a ridere da solo mentre scrivevo. Ho fatto poi leggere qualcosa a mio fratello e ad alcuni amici che mi hanno consigliato di metterlo sui social. E così ho fatto e tante persone hanno iniziato a leggermi e seguirmi. Nel frattempo stavo lavorando ad un romanzo di altra natura, dai toni più intimisti, che immaginavo come “il mio primo libro”. Nei ritagli di tempo, quando volevo rilassarmi e divertirmi, continuavo quello sul mio frigorifero. E il risultato è che quello a cui pensavo come un passatempo è diventato il mio vero primo libro: come si dice, la vita è quella cosa che accade mentre sei intento a fare progetti.
Raccontare la famiglia e la routine è sempre un rischio invece tu con grande intelligenza se riuscito a rendere il tutto molto interessante: quali sono gli ingredienti fondamentali?
Non so, è venuto fuori tutto da solo: forse il segreto è stato quello di guardare con occhi nuovi quello che accade normalmente in una famiglia e scoprire che magari il frigorifero non è solo un elettrodomestico ma ha dei pensieri e dei sentimenti propri. Penso che in tutto questo abbiano influito le mie letture e il percorso di analisi che mi ha portato a riconsiderare complessivamente la mia esistenza. Devo ammettere che scrivere questo libro ha coinciso con un cambiamento anche nella mia vita famigliare. Ho iniziato a guardare con occhi nuovi e con stupore anche i fatti più banali. Perché in fondo ogni momento dell’esistenza è meraviglioso: da tua figlia che ti fa una domanda in piena notte o al tuo postino che ti recapita una cartella di Equitalia. Sono momenti unici e irripetibili che vale la pena di ricordare.
Il tema portante del tuo romanzo è contro gli sprechi alimentari: puoi spiegarci bene?
Dopo l’ennesimo pacco di carote ammuffite, un giorno parlai con mia moglie e decisi che avremmo cercato di sprecare meno (anche perché nel frattempo il mio frigorifero si era arrabbiato parecchio ed era scappato, come racconto nel libro) e mi informai: venni a conoscenza di tutta l’attività del Banco Alimentare e lessi con apprensione che nel mondo un terzo della produzione alimentare finisce nella spazzatura mentre 800 milioni di persone sul nostro pianeta vivono in stato di denutrizione: un fatto inaccettabile. E’ come se quando andiamo a fare la spesa riempissimo tre carrelli della spesa e ne buttassimo uno nella spazzatura. Per fortuna stiamo maturando una maggior sensibilità, e dal 2016 ad oggi nel mondo e in Italia lo spreco è diminuito concretamente. Ma si può fare ancora tanto. La cosa che mi fa piacere è che molte persone leggendo il libro hanno iniziato a fare più attenzione, proprio come è successo in casa nostra. Credo che questo sia molto bello da tanti punti di vista. Anche perché alla fine l’attenzione è un atteggiamento e un valore fondamentale. E’ l’unica via che conduce allo stupore e ti regala occhi nuovi con cui guardare il mondo.
Quanto c’è nel romanzo della tua vita?
Il libro parte da vicende realmente accadute, anche se poi profondamente rielaborate: come ad esempio per quanto riguarda il protagonista principale che ho chiamato Felice perché rappresenta l’uomo tipico della nostra società: indaffarato, sempre di corsa e in ansia, succube della società consumistica e dell’ultimo modello di Iphone, e fondamentalmente “infelice”, o per dirla secondo il linguaggio del libro, “ammuffito”. Sono partito dalla mia vita ma ho dato al libro una direzione ben precisa, come per fotografare una tendenza della nostra società, come si capisce bene dal finale. La mia vita, per fortuna, non è ancora così ammuffita o perlomeno, ogni giorno cerco di fare qualcosa per non farla ammuffire. E questo credo che sia già tantissimo. Sì, il mio frigorifero mi sta confermando che questo è già tantissimo.
Frigorifero Mon Amour di Andrea Serra, edito Miraggi, è un libro che prova ad affrontare con ironia il tema dello spreco alimentare. Racconta, sotto forma di diario, la storia di Felice che, oltre ad essere vessato dalla moglie e dalle temibili figlie, deve fare i conti con la fuga del proprio frigorifero, esasperato da tutto lo spreco di cibo che viene fatto quotidianamente. Il frigorifero dopo aver visto l’ennesimo pacco di carote ammuffite, indossa un piumino, si mette i mocassini e se ne va via di casa per sempre. Da quel momento il protagonista avvertirà la mancanza del frigorifero in maniera lancinante e proverà in tutti i modi a ricongiungersi con l’amato elettrodomestico. Una serie di eventi travolgenti (le sedute devastanti dal dentista ossessionato dagli alieni, i week-end deliranti chiuso in casa ad ammuffire con le figlie e le colleghe fissate con le diete e lo shopping) lo ostacoleranno ancora di più, fino a quando sarà costretto ad affrontare una discesa agli Inferi per ritrovare il suo amato frigorifero e il senso della propria esistenza.
Il libro è sostenuto dal Banco Alimentare che combatte lo spreco alimentare ridistribuendo ogni giorno alimenti a migliaia di famiglie in difficoltà sul territorio nazionale.
Dalla postfazione del Banco Alimentare:
Capita così sovente che qualcosa “ammuffisca” nei frigoriferi casalinghi, industriali o delle mense che non ci rendiamo più conto che, carote, prosciutti, formaggi o mille altre prelibatezze potrebbero, se accuditi, sfamare centinaia, migliaia, anzi, milioni di persone purtroppo condannate alla miseria alimentare; questo libro, in modo scherzoso, è stato scritto per favorire la riflessione delle persone che, loro malgrado, agevolano la “FUGA DEI FRIGORIFERI”. Qualche cifra è necessaria per valutare l’ampiezza dell’emergenza alimentare: lo scorso anno (2016) sono state 815 MILIONI le persone, di cui 159 MILIONI di bambini, in stato di malnutrizione e, di questi, più di 8.500.000, di cui 6.500.000 bambini, sono deceduti per cause ascrivibili alla malnutrizione, scarsa o assente. Noi, paesi dell’Unione Europea, ogni anno produciamo uno spreco alimentare che vale 143 miliardi di euro e, se espresso in peso, sono ben 88 milioni le tonnellate di alimenti che finiscono ogni anno, gettati nella spazzatura. Il soggetto che contribuisce maggiormente allo spreco alimentare sono le famiglie con 47 milioni di tonnellate, vale a dire il 70% dello spreco alimentare europeo derivante dal consumo domestico, dalla ristorazione e dalla vendita al dettaglio. Secondo i dati Fao, solo in Italia, un anno di spreco di cibo potrebbe sfamare circa 44 milioni e mezzo di persone mentre, a livello globale, ogni anno, più di un terzo della produzione mondiale di cibo si perde o si spreca lungo la filiera: circa 1,3 miliardi di tonnellate di alimenti sono sciupati solo considerando la frazione commestibile. Il Banco Alimentare è una rete di organizzazioni (21 sul territorio nazionale), senza fine di lucro, che ha lo scopo di raccogliere le eccedenze di produzione, agricole e dell’industria alimentare, organizzando la ridistribuzione alle Strutture Caritative per aiutare i poveri e gli indigenti. Qualche numero delle attività 2016 del Banco alimentare: 588 Strutture Caritative convenzionate in Piemonte 113.200 Assistiti in Piemonte (38% delle persone in stato di povertà assoluta) 6.325 Tonnellate di cibo distribuite in Piemonte 808 Tonnellate di cibo raccolto, in Piemonte, durante la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare Questo è il valore dell’attività, visti i numeri, che può essere effettuata soltanto grazie alla collaborazione di: 1.200 supermercati che prestano i loro spazi per la buona riuscita dell’attività di raccolta 12.300 volontari dal primo mattino a tarda serata, rendono possibile la missione e la sensibilizzazione di 730.000 donatori che sentono e vivono la Solidarietà tra le persone dimostrando, in questo modo, che si può convincere molti FRIGORIFERI a non fuggire dalle nostre case perché lo spreco è stato, se non vinto, almeno compreso.
Abbiamo intervistato l’autore.
La scrittura umoristica è rara, proprio come gli attori comici; è sempre stata nelle tue corde? No, anzi… io sono nato triste, poi la tristezza è aumentata fino a sfociare nella depressione quando avevo 16 anni. La discesa fino alla tristezza più abissale mi ha portato alla disperazione e poi… ho iniziato a ridere. Quindi ho avuto queste due fasi che mi hanno portato dove sono ora. Da cosa è nata l’idea di scrivere racconti su questa tematica e soprattutto in chiave comica? È nata da un episodio di vita concreta, ho semplicemente descritto ciò che ho visto. Ossia, un giorno mia moglie è arrivata davanti al frigorifero e gli ha detto la parola magica: “Apriti scemo!” e da quel momento in poi mi è venuta l’ispirazione di descrivere ciò che accadeva. Quindi ho scritto di carote ammuffite che scappavano, del frigorifero arrabbiato… E come sta adesso il tuo frigorifero? Non benissimo… ha fatto l’influenza. Ha contratto un virus e sta ancora prendendo gli antibiotici. Stamattina gli ho misurato la febbre e aveva sette gradi… comunque penso che si riprenderà presto! E le carote? Le carote stanno bene! Oramai fanno parte della famiglia… non sono tante, ma oggi la più grande compie diciotto anni e stamattina andava a dare l’esame per la patente… In che modo si sviluppa la storia del protagonista? La storia del protagonista si sviluppa sotto forma di diario. Questo libro è raccontato in prima persona, c’è una sequenza di episodi a partire dalla fuga del frigorifero, e da lì il protagonista capisce che ha sempre amato il frigorifero e quindi tenterà di ritrovarlo ma sarà ostacolato dalla moglie, dalle figlie, dal dentista, dal meccanico di fiducia… fino al tragicomico epilogo che scoprirete alla fine. Quali riflessioni sarà portato a realizzare il lettore alla fine del tuo libro? Il lettore, dopo aver letto il mio libro, credo che correrà in cucina ad abbracciare il suo frigorifero! E poi credo che farà più attenzione a tutto quello che nel frigorifero inizierà ad ammuffire. Cosa ti ha lasciato questa esperienza? Mi ha lasciato tantissima muffa… e dodici pacchi di carote nel frigorifero… Cosa occorrerebbe fare, secondo te, per diminuire al minimo gli sprechi? La prima cosa fare sarebbe quella di dare ascolto al proprio frigorifero… perché hanno molto da insegnarci i frigoriferi… in realtà basterebbe davvero poco per diminuire lo spreco, per esempio riguardo ciò che si compra in relazione a ciò che si mangia. Dopo aver scritto questo libro, per esempio a casa mia, mia moglie ha smesso di comprare le carote e quindi non le facciamo più ammuffire! Secondo te, come è affrontato il fenomeno dai media nazionali? Secondo me è affrontata poco e male. Se ne parla poco, è raro sentir parlare di spreco alimentare, sebbene ci sia una sensibilità crescente. Tuttavia gli altri paesi europei sono molto più avanti di noi nell’affrontare questa tematica. Uno dei motivi per cui ho scritto questo libro è anche questo: per aumentare l’attenzione di tutti su questa tematica fondamentale. So che il tuo libro contribuirà a sostenere il Banco Alimentare, vuoi spiegarci come? Sì, il mio libro sarà sostenuto dal Banco Alimentare a cui andranno i proventi sulle vendite e questo mi fa un grande piacere. Nel mondo ci sono 800 milioni di persone denutrite e quello che si butta nei paesi occidentali è quattro volte superiore a quanto servirebbe per sfamare quelle persone. Hai in programma presentazioni? Sì, porterò il libro in tutta Italia, le prime presentazioni saranno: il 17 febbraio alla libreria I 7 Pazzi a Torino. Poi il 23 e il 24 febbraio sarò a Roma e comunque sulla mia pagina Facebook ci sono tutte le date, indirizzi e orari. Il 9 marzo sarò di nuovo a Torino, alla Luna Storta e poi toccherò varie città come Cagliari, Genova e altre in giro per la penisola.
CIRIÈ. S’intitola “Frigorifero mon amour” il libro dello scrittore ciriacese Andrea Serra balzato ai vertici della classifica Bestseller Narrativa di Amazon. Tema lo spreco alimentare di cui si è parlato nei giorni scorsi in occasione della Giornata nazionale di prevenzione del 5 febbraio. L’autore lo affronta in chiave ironica facendone un’opera divertente edita da Miraggi Edizioni con il sostegno del Banco Alimentare del Piemonte. È la storia di Felice che, oltre ad essere vessato dalla moglie e dalle temibili figlie, deve fare i conti con la fuga del proprio frigorifero che, dopo aver visto l’ennesimo pacco di carote ammuffite, se ne va di casa per sempre. Da quel momento il protagonista ne avvertirà la mancanza in maniera lancinante e proverà in tutti i modi a ricongiungersi con l’amato elettrodomestico. Una serie di eventi lo ostacolerà fino a quando affronterà una dantesca discesa agli Inferi per ritrovare il suo amato frigorifero e il senso della propria esistenza.
Nato a Torino nel 1975, Andrea Serra si laurea in Filosofia e per anni ha insegnato alle superiori. Attualmente lavora in un’agenzia formativa. Nel 2016 con il racconto “Il mio dentista” vince la 15ª edizione del concorso Racconti nella rete e la 2ª edizione del concorso 88.88, premio letterario nazionale per racconti brevi, ed è tra i finalisti della 15ª edizione del Premio InediTO-Colline di Torino, sezione Narrativa-Racconto. Nel 2017 è finalista alla 16ª edizione del Premio Il Salmastro e alla 10ª del Premio Internazionale Città di Sassari e vince il premio speciale della Giuria alla 16ª edizione del Premio InediTO-Colline di Torino.
L’idea di scrivere questo libro è nata tre anni fa per dare un contributo alla lotta contro lo spreco alimentare: «Prima di tutto – spiega l’autore – un contributo concreto perché una parte dei proventi andrà proprio al Banco Alimentare del Piemonte. Poi spero nel mio piccolo di aiutare a sensibilizzare sempre di più verso questo tema fondamentale, se pensiamo infatti che nel mondo occidentale si spreca una quantità di cibo tale da poter sfamare quattro volte gli 800 milioni di persone che soffrono la fame sul pianeta, non possiamo rimanere indifferenti. Spero di far conoscere il libro anche nelle scuole per sensibilizzare anche i più giovani».
Una sorta di favola moderna, in cui gli elettrodomestici prendono vita. E, al centro di tutto, un frigorifero con la sua saggezza. Andrea Serra debutta per Miraggi con “Frigorifero mon amour”: si parla di cibo e del suo utilizzo, spesso sbagliato, argomento quanto mai importante nella nostra epoca. Ma lo si fa con leggerezza, come racconta l’autore: “Il frigorifero si rivela un attivista del Banco Alimentare: una realtà che ho incontrato e che mi ha spinto ad approfondire i temi legati allo spreco. Nel libro ci rimprovera, fornendo anche dei dati su quanto buttiamo via. Il frigo è la coscienza critica, con i suoi insegnamenti. E lo spreco alimentare è una metafora della nostra società, dove ammuffisce l’umano invece del cibo”. Come è arrivata l’idea del libro?
“In un periodo di “disperazione” familiare, quando sono nate le due bambine, che oggi hanno quattro e otto anni: non dormivano e, di conseguenza, non dormivo io. La notte ho cominciato a scrivere i primi racconti e la vena umoristica è giunta per reazione”. Perché il frigorifero? E perché le carote della copertina?
“Il frigorifero perché è un elemento centrale della nostra casa. Mia moglie, che ha un carattere duro e diretto, lo insulta anche, dicendogli “apriti scemo”. Le carote sono quelle che lei compra a piene mani e che un bel giorno riemergono ammuffite, dopo essere state dimenticate in uno scomparto. Nel libro il frigorifero scappa, arrabbiato per lo spreco di cui è testimone ogni giorno”. Comincia così una sorta di inseguimento.
“Lo racconto in forma di diario perché il protagonista, visto che non riesce a prendere sonno, si rivolge a uno psicologo che gli suggerisce di annotare tutto. La narrazione parte a gennaio e si conclude a dicembre, con una coda rappresentata da una discesa agli inferi per ritrovare il frigorifero perduto”. Sembra una favola di Esopo: là parlavano gli animali, qui gli oggetti.
“L’intento è quello. C’è una poetica degli elettrodomestici, tutti si esprimono: è una favola contemporanea, con una funzione civile e morale”. Per questo è stato coinvolto anche il Banco Alimentare?
“Scrive una postfazione in cui fornisce i numeri sullo spreco di cibo. Al Banco va anche una parte dei proventi dei diritti. Io, poi, oltre alle classiche presentazioni, ho programmato di andare nelle scuole perché, alla fine, “Frigorifero mon amour”, è un testo formativo-informativo. E divertente”.
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