L’anno del gallo – recensione di Martina Mecco su Andergraund
Fare i conti con la disillusione. “L’anno del gallo” di Tereza Boučková
L’anno del gallo (Rok kohouta) è l’ultimo libro edito da Miraggi Edizioni all’interno della collana NováVlna, interamente dedicata alla letteratura ceca. L’autrice, Tereza Boučková, era già stata presentata al pubblico italiano nel 2018 con La corsa indiana (Indiánský běh), sempre pubblicato dalla medesima casa editrice nella traduzione di Laura Angeloni.
Tereza Boučková (1957-) è una delle protagoniste della scena letteraria ceca contemporanea. Figlia del dissidente e chartista Pavel Kohout, firma Charta 77 non appena conclusi gli studi liceali. Questa sua scelta le creerà non pochi problemi, soprattutto in ambito lavorativo, dove si troverà costretta a fare i lavori più disparati, dalla postina alla donna delle pulizie. Nonostante le difficoltà causate dagli anni della Normalizzazione, Boučková è riuscita a ritagliarsi il suo spazio non solo nell’ambito letterario, ma anche in quello della pubblicistica e del cinema.
L’anno del gallo può essere considerato come l’ideale continuazione de La corsa indiana (su Andergraund Rivista è stato pubblicato un articolo dedicato al romanzo nel terzo numero di maggio), romanzo in cui l’autrice affronta temi quali la questione famigliare, la difficoltà della vita negli anni della Normalizzazione e la questione della maternità, protagonista è infatti un io narrante che cerca disperatamente di avere figli. L’opera, inoltre, è profondamente critica nei confronti di personaggi dell’epoca, quale il padre Pavel Kohout e il futuro presidente della Cecoslovacchia Václav Havel, che compaiono con gli pseudonimi di “Indiano” e “Monologo”. Anche L’anno del gallo cela, sin dal titolo, una critica nei confronti del padre, giocando sull’ambivalenza del termine “kohout”, che in ceco significa appunto “gallo”.
“Mi è capitato in mano un grazioso libricino. Oroscopi cinesi. Sulla copertina è scritto in lettere maiuscole:
KOHOUT
Il gallo, sotto il cui segno sono nata io, è… E ora tenetemi forte, tenetemi perché salto in aria! Gli anni nel segno del gallo si ripetono periodicamente, ma ci sono varie sottospecie di galli, che si alternano ogni sessant’anni.” (p. 139)
All’interno del testo non mancano di certo riferimenti alle condizioni di vita ai tempi della Normalizzazione, ricordando ad esempio un incontro con le “donne della Charta” (il documentario, girato nel 2007, si può recuperare in lingua ceca qui: https://www.ceskatelevize.cz/porady/10114412382-zeny-charty-77/), ovvero la maggior parte di coloro che avevano dato sostegno ai loro uomini durante gli anni del dissenso. Il ruolo delle donne, nonostante questo non venga enfatizzato abbastanza da coloro che si occupano di questo specifico periodo, fu determinante su molti fronti, basti pensare all’importanza della moglie di Havel, Olga Havlová, durante gli anni della prigionia del marito. Proprio in questo frangente viene ricordato come il romanzo forse più famoso di Kohout, Katyně (“La carnefice”, pubblicato da Editori Riuniti nel 1980), fosse stato battuto a macchina da Drahomíra Šinoglová. Gli anni in cui è ambientato L’anno del gallo si situano in un arco di tempo distante rispetto a quello de La corsa indiana, ovvero a partire dal 2005. Tutto il romanzo è narrato, come il precedente, in prima persona e si incontrano numerosi elementi che si possono ricondurre alla vita dell’autrice. Boučková riesce in modo magistrale a indagare la complessa dimensione dell’interiorità, sviscerandone gli strati per comprendere l’origine della sofferenza e del dolore. Il piano su cui questa ricerca viene portata avanti è duplice, da un lato si ha la dimensione intima della famiglia, dall’altro, invece, quella pubblica dell’ambito lavorativo a cui si lega il ruolo di intellettuale della protagonista impiegata nella stesura di sceneggiature cinematografiche. Le sensazioni dell’io narrante vengono esternate senza alcun filtro che le mitighi, in tutta la loro profondità:
“Ieri finalmente ho fatto una fuga, sono andata a fare una passeggiata a Praga, ho parlato con la gente, ho riso, ma non è servito ad allontanare il mio senso di solitudine. Ce l’ho dentro, non mi lascia via di scampo. L’antidepressivo non ha ancora fatto effetto. Sono una donna inutile. Mi do fastidio da sola. […] A volte verrei mi venisse un cancro. Lo so che è una bestemmia. Ma magari accenderebbe il motore che un tempo mi aiutava a superare le crisi. Avrei un motivo vero per lamentarmi e forse ritroverei la forza di combattere.” (p. 73)
La situazione famigliare in cui vive la protagonista è tutt’altro che semplice. Nonostante sia riuscita a soddisfare il suo bisogno più grande, quello di avere dei figli (elemento centrale in La corsa indiana), questi mostrano dei problemi comportamentali spesso complessi da gestire. Il più grande, Patrik, se ne è andato di casa finendo in condizioni di vita precarie nella capitale. Lukáš, invece, è affetto da difficoltà nel controllare la rabbia e da disturbi da cleptomane, ragione per cui i genitori devono sempre mettere sottochiave i loro averi. Il più giovane, Matěj, è l’unico dei tre a non essere stato adottato e nel corso nel romanzo arriva anch’egli a scontrarsi con la madre. A complicare la situazione è anche il marito Marek, appassionato di ciclismo e spesso fuori casa per lavoro, non sembra rendersi conto davvero della situazione che alleggia in famiglia, reagendo molto spesso dando sfogo alla sua rabbia. Lo stesso rapporto col marito sembra vacillare a più riprese nel corso del romanzo, la stessa protagonista arriva addirittura a farsi domande sull’effettivo valore della loro unione matrimoniale. L’atmosfera che si respira in famiglia può essere riassunta con le parole stesse dell’autrice: “Grido alla casa intera, al nostro nido ormai trasformato in trappola” (p.213). Tutto questo sovrapporsi di problematiche, che viene mostrato da vicino attraverso gli occhi e le sensazioni della voce narrante, genera una condizione di sofferenza e, soprattutto, solitudine. Difatti, ad essere lamentata a più riprese è l’impossibilità di essere compresi o ascoltati. Il dolore si genera e si consuma nella protagonista senza che questa riesca a trovare alcun tipo di conforto duraturo. Boučková costruisce, così, un grande collage di disillusioni che rappresenta la vita stessa.
Accanto a questa linea narrativa si sviluppa quella che riguarda la questione legata alla stesura della sceneggiatura. La protagonista è una scrittrice di sceneggiature e libri, questo lo si capisce in modo esplicito quando un uomo sul tram si complimenta con lei per le sue opere. Ad avvalorare il fatto che nella protagonista ci sia molto dell’autrice non bisogna dimenticare che Boučková ha realizzato anche sceneggiature per il cinema, quella di Smradi (“Canaglie”, film del 2002 diretto da Zdeněk Tyc) e Zemský ráj to na pohled (“Paradiso terrestre a prima vista”, film del 2008 diretto da Irena Pavlásková). Entrambi compaiono all’interno de L’anno del gallo, sebbene non siano gli unici film a essere nominati. Difatti, tutto il romanzo è caratterizzato da una forte componente intertestuale: sono moltissimi i riferimenti che compaiono, sia di carattere letterario (come il caso dello scrittore slovacco Rudolf Sloboda) che cinematografico. Non vi sono solo rimandi al cinema ceco come nel caso di Evald Schorm, una delle stelle della Nová Vlna, ma compaiono anche riferimenti a registi di fama internazionale, ad esempio Federico Fellini:
“Uscendo dall’ufficio della caporedattrice sono andata alla proiezione mattutina del film di Fellini ‘La dolce vita’. […] Fosse per me l’avrei accorciato. Già, sono talmente sfrontata che avrei accorciato Fellini. […] Per il resto magnifico. Soprattutto la storia nella storia, che parla di un intellettuale amico del protagonista. Al contrario di quest’ultimo, dissennato e superficiale, il suo amico è a prima vista un uomo equilibrato, arguto, profondo, onesto. […] E forse proprio la sua vita piena di sicurezza, armonia, ordine, tranquillità e pace, tutto secondo i piani e senza imprevisti, lo spinge infine a fare del male a se stesso e ai suoi figli.” (p.149)
Il personaggio ricordato, nonché successivamente aspramente criticato, da Boučková è quello di Steiner. Fellini viene citato anche in riferimento al suo libro Fare un film. Difatti, una delle difficoltà della protagonista è proprio quella che ha a che fare con la dimensione creativa. Spesso lamenta l’impossibilità di scrivere, la difficoltà nel trovare un qualche tipo di ispirazione per il soggetto della sua sceneggiatura. A questo concorrono anche altri problemi legati al trovare un regista adatto che non ne limiti le scelte.
In conclusione, L’anno del gallo di Tereza Boučková è un romanzo che, sebbene si presenti come il racconto di vicende personali, mostra una profondità di indagine e una ricchezza di riferimenti storico-culturali. Ciò che, inoltre, colpisce della prosa dell’autrice è la capacità di narrare in prima persona episodi personali in modo diretto e tangibile. Questa resa reale del quotidiano attraverso la scrittura si realizza anche grazie all’uso di numerosi realia (ad esempio slivovice o la tradizione pasquale della Pomlázka), che sono stati commentati in modo meticoloso dalla traduttrice grazie all’uso di note. Leggere Boučková significa compiere un viaggio negli strati più profondi dell’anima, scavare nei propri dolori e nelle proprie insicurezze, fare i conti con una vita che non è sempre rosea, ma in cui è sempre possibile trovare un modo per continuare. Questa possibilità la si scopre proprio grazie alla forza della prosa di Boučková che, con questo romanzo, si riconferma essere la grande autrice che già si era palesata nel suo primo romanzo, La corsa indiana.
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