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Nell’armadio – recensione di Guido Biondi sul Fatto Quotidiano

Nell’armadio – recensione di Guido Biondi sul Fatto Quotidiano

Una vita nell’armadio: la scelta di Hana per sopravvivere a se stessa

DIVENTARE INVISIBILI – La scrittrice ceca Tereza Semotamová ci offre una storia di rifugio e menzogne nella quale ognuno può ritrovare un periodo della propria esistenza. O del proprio vestiario

Per chi è pratico dei videogames vintage, Asteroids è stato un vero e proprio mentore: è stato – prima delle fiction – una interfaccia nella quale il giocatore può seguire un filo logico e razionale oppure, e qui vi è il gusto, premere il tasto hyperspace. Con questa funzione sapevi bene dove uscivi – quasi sempre una situazione di pericolo – ma accettavi il rischio di riapparire in un contesto ancora più drammatico di quello che abbandonavi. Hana, la protagonista del romanzo Nell’armadio della scrittrice ceca Teresa Semotamová (Miraggi Editore, traduzione di Alessandro De Vito), tenta qualcosa di analogo per fuggire dagli schemi precostituiti della società. Si muove come un Hobo, senza un faro ascoltando solo il suo cuore grondante di dolore: “L’amore è come scolpire qualcosa di meraviglioso nell’aria. Non fa che svanire ma noi siamo convinti che perduri e che lo veda anche l’altro. Come accade che due solitudini che si uniscono a volte formino una cosa viva e altre volte generano solo una specie di galera kafkiana?”. La storia è ambientata a Praga, città nella quale la protagonista rientra dall’estero: non ha una casa, non ha idea di come sbarcare il lunario e racconta bugie alla madre e alla sorella. Proprio quest’ultima, nell’atto di sbarazzarsi di un vecchio armadio, darà inizio all’iperbolica vicenda di Hana, capace di sistemare nel cortile della casa della sorella il prezioso nascondiglio per scappare da tutto e tutti.

“I’m not Here, This Isn’t Happening” cantava in un lamento malinconico Thom Yorke dei Radiohead, metafora dell’incapacità di sentirsi la persona giusta al posto giusto. Estraniarsi per sopravvivere, diventare invisibili per scelta, mentire per confondere, amare senza essere compresi, affogare la propria inadeguatezza alle regole sociali nell’alcool. “Uno spazio. Il mondo è tutto diviso a piccoli lotti. Ogni cosa appartiene a una persona diversa. Ognuno ha i suoi quattro metri quadrati, ma alcuni non fanno che vagare tra le proprietà altrui. Quanti spazi al mondo sono lasciati lì, non sfruttati, senza che nessuno li usi? Molti, di sicuro. Come faccio a trovarne uno piccolino per me? Un posticino nascosto, al riparo dal vento, dove poter stendere le gambe, farmi un tè e riposare in silenzio, come l’arrosto della domenica nella teglia. Quindi, per ora almeno c’è quell’armadio. E col tempo ci sarà anche la teglia. Ecco. Mi rianimo”.

In una recente intervista l’autrice ha dichiarato che desiderava descrivere l’agonia di quando non si è più in grado di dire agli altri che le cose non vanno bene e si inizia a mentire anche a se stessi. “Non ci sono più. No, sono nell’armadio. È notte. Anzi, è notte fonda e stringo la fiaschetta. Con le mani intirizzite e l’umore di quando si va in campeggio che stavolta però non finirà mai, perciò sarà difficile fare il conto alla rovescia dei giorni che mancano. Fisso il buio pesto e mi dico: Ehi razza di materia oscura, devo aspettare il tuo grande collasso o tornare a insinuarsi nel regno del sonno?”. Flashback continui su relazioni sentimentali con data di scadenza sorpassata si alternano a flussi di coscienza su ogni aspetto dell’umanità: “Gli adolescenti di solito hanno un periodo di ribellione in cui si allontanano dai genitori perché non li sopportano. Spesso quel periodo perdura. Essere sfuggenti con loro significa sfuggire a ciò che non sopportiamo di noi stessi, perché per due terzi siamo la copia di chi ci ha generato. Si tratta di venirci a patti, in qualche modo”. E la chiosa è per i loser: “Dicono che in ognuno di noi ci siano due lupi: uno buono e uno cattivo. E prevale quello che nutri di più. Quando la mente è completamente serena, allora quello che hai corrisponde a quello che vuoi. Se invece desideri una realtà diversa da quella che è, allora è come insegnare a un gatto ad abbaiare”.

Nell’armadio – intervista di Martina Mecco a Tereza Semotamová su andergraund

Nell’armadio – intervista di Martina Mecco a Tereza Semotamová su andergraund

Un armadio tutto per sé. Intervista a Tereza Semotamová, autrice de “Nell’armadio”

La casa editrice Miraggi Edizioni si riconferma il progetto editoriale più importante in Italia per la ricezione e la diffusione della letteratura ceca. Con Nell’armadio (Ve skříni) di Tereza Semotamová la collana Nová Vlna, interamente dedicata per l’appunto alla letteratura ceca, arriva a ben quindici titoli pubblicati negli ultimi tre anni. In particolare, si aggiunge un tassello alla scoperta della scena letteraria contemporanea di un paese particolarmente florido sotto questo aspetto. Il romanzo Nell’armadio, pubblicato in Repubblica Ceca nel 2014 e tradotto in italiano da Alessandro De Vito, è un’ulteriore conferma di questo aspetto, già evidenziato da altre grandi voci tradotte nella collana come quelle delle autrici Bianca Bellová, Tereza Boučková o Jakuba Katalpa.

Tra le tante necessità della letteratura contemporanea, una delle più complesse si prefigura nel tentativo di problematizzare la dimensione psicologica dell’individuo all’interno di un duplice rapporto, ovvero quello con la propria individualità e quello con la dimensione sociale esterna. Due entità che, in aggiunta, entrano spesso in conflitto tra di loro. Nel romanzo, narrato rigorosamente in prima persona, la protagonista si trova a dover scontrarsi con questa problematicità. In un mondo dove la drammaturgia della vita segue una follia diabolica (p. 21) e dove la propria individualità viene continuamente recisa, l’unico modo per sopravvivere sembra essere quello di trovare uno spazio, un luogo tutto per sé – usando un’espressione woolfiana particolarmente nota. O, volendo impiegare un riferimento presente anche nell’opera, si potrebbe citare la canzone di Karel Gott “Kdepak, ty ptáčku, hnízdo máš?” (Uccellino, dove ce l’hai il nido?).

Il romanzo presenta una trama tutt’altro che arzigogolata, dove gli avvenimenti che fanno da cornice ai pensieri e alle riflessioni della protagonista si distribuiscono in modo chiaro e lineare. Tuttavia, sono proprio quest’ultimi a conferire dinamismo all’opera. Volendo dunque attingere a questa “cornice”, occorre evidenziare quello che è l’avvenimento chiave del romanzo, ovvero quello da cui l’azione si evolve. Difatti, proprio nelle prime pagine viene focalizzata l’attenzione su un fatto tutt’altro che bizzarro, la necessità della sorella della protagonista di liberarsi di un vecchio armadio. Nel riflettere sui vari tentativi riguardo a come sbarazzarsi del vecchio armadio, improvvisamente questo diventa la chiave che potrebbe risolvere una difficile condizione esistenziale. L’armadio assume così un valore metaforico all’interno dell’opera in rappresentanza di uno “spazio altro”. Si osservi come viene descritto all’interno del romanzo:

Uno spazio. Il mondo è tutto diviso a piccoli lotti. Ogni cosa appartiene a una persona diversa. Ognuno ha i suoi quattro metri quadrati, ma alcuni non fanno che vagare tra le proprietà altrui. Quanti spazi al mondo sono lasciati lì non sfruttati, senza che nessuno li usi? Molti, di sicuro. Come faccio a trovarne uno piccolino così per me? Un posticino nascosto, al riparo dal vento, dove poter stendere le gambe, farmi un tè e riposare in silenzio, come l’arrosto della domenica nella teglia. Quindi, per ora almeno c’è quell’armadio. E col tempo ci sarà anche la teglia. Ecco. Mi rianimo. All’improvviso comincia a scorrermi in corpo una calda energia vitale.” (p. 10)

A partire dalla decisione di vivere nell’armadio si dipana la vicenda narrata nel romanzo, che diventa luogo di un percorso esistenziale. Il piano dell’esistenza è, infatti, quello dominante. Per districarsi nella sua complessità l’autrice costruisce la sua prosa sulla base di una fitta rete dei riferimenti eterogenei. A questo proposito, una delle caratteristiche più interessanti della struttura del romanzo risiede nella sua intertestualità. La prosa dell’autrice procede inserendo citazioni tratte da diverse fonti, non solo letterarie ma anche, ad esempio, cinematografiche e musicali. Si trovano citati autori come il Kundera de L’insostenibile leggerezza dell’essere o il Dostoevskij de I demoni, ma anche lo slovacco Juraj Jakubisko, regista del celebre film Sedím na konári a je mi dobre (Sono seduto sul ramo e mi sento bene). Aderendo a una di quelle caratteristiche che vengono comunemente attribuite alla letteratura cosiddetta “postmoderna” – sebbene il concetto di postmodernismo sia particolarmente vago, specialmente se applicato a contesti come quello ceco – Semotamová inserisce la sua opera in un dialogo con la tradizione culturale, in primis letteraria, non solo ceca ma mondiale.

Concludendo questa breve presentazione, in modo tale da lasciar maggiore spazio alle parole dell’autrice che si è dimostrata disponibile nel rilasciare un’intervista, è necessario riconoscere come Nell’armadio si presenti in termini di un’opera profondamente attuale. Nel romanzo l’autrice presenta al lettore una condizione esistenziale quanto mai applicabile a diverse situazioni che affliggono gli individui all’interno dell’attuale conformazione sociale. A prendere parola è una voce narrante che esprime i suoi bisogni di trovare il proprio spazio, un “posticino nascosto” in cui poter costruire un equilibrio senza che questo venga minato dell’esterno. In questo senso l’armadio diventa il luogo in cui costruire una dimensione esistenziale in cui il mondo assume un ritmo diverso. Ne Nell’armadio si realizza una disamina della quotidianità quanto mai contemporanea.


Riportiamo qui di seguito l’intervista con l’autrice Tereza Semotamová che ringraziamo per la disponibilità nel rispondere ad alcune domande.

MM: Innanzitutto le vorrei chiedere come ha deciso di iniziare a scrivere romanzi. Se non sbaglio, ha studiato sceneggiatura e drammaturgia…

TS: Ho sempre scritto prosa. Sin da bambina finivo di scrivere dei libri che leggevo se, per esempio, non mi piaceva il finale. In Repubblica Ceca di fatto non si può studiare come scrivere in prosa, ho pensato che mi sarebbe potuto piacere studiare sceneggiatura e drammaturgia. Si è scoperto che molti cineasti in Repubblica Ceca sono anche registi e sento di non avere questo talento. Ho scritto diversi drammi radiofonici ma non sono mai stata soddisfatta di ciò che realizzavo. Questo è stato un grande incentivo per scrivere un romanzo. Ma, a dirla tutta, ho sempre voluto scrivere un romanzo. Almeno da quando, per la prima volta, ho letto Piccole donne di Louise M. Alcott.

MM: Nel suo romanzo c’è una forte intertestualità che il traduttore Alessandro De Vito ha saputo ben trattare con l’impiego di note esplicative che sono necessarie, in quanto alcuni riferimenti non sono comprensibili al lettore comune. Come spiegherebbe questo aspetto e, soprattutto, che ruolo gioca questa intertestualità nella stesura di un romanzo?

TS: Forse queste spiegazioni non turberanno il lettore italiano. Mi piacciono davvero molto. Per me l’intertestualità è una caratteristica naturale della letteratura. Molta di questa intertestualità non è riconoscibile… Non mi vergogno delle mie fonti. Ma va detto che l’originale non comprende spiegazioni o fonti, quindi potrebbe non essere così evidente quante ne ho “copiate”. Mi viene in mente che la letteratura è un grande acquario in cui è possibile immergersi, molto è già stato scritto e detto, quindi perché non usarlo. Sono una persona che sta continuando a scrivere qualcosa. Penso che il bello della letteratura risieda nel fatto che si possono seguire i pensieri di altri e coglierli a modo proprio.

MM: Da questo punto di vista, ci sono riferimenti letterari che preferisce? Mi spiego: ha qualche modello concreto?

TS: No. In questo sono molto democratica. Cito volentieri sia Platone che la stampa scandalistica. Nel mio caso si tratta di una visione bizzarra su qualcosa, di uno stile basso o strano.

MM: Le faccio una domanda che faccio sempre a tutti gli autori con cui parlo. Cosa ne pensa della scena letteraria ceca contemporanea? Glielo chiedo in quanto ritengo sia parecchio ricca ed eterogenea.

TS: Credo che ogni scena letteraria venga percepita da lontano come ricca ed eterogenea. E penso che nel caso di quella ceca sia proprio così. Negli ultimi anni, soprattutto, ci sono molte giovani autrici che non scrivono in modo mainstream. E, al tempo stesso, anche la scena poetica è parecchio dinamica. Penso che qui ognuno possa trovare il proprio posto. Tuttavia, mi mancano voci maschili che scrivano in modo intelligente di temi come il femminismo o la paternità. Leggerei volentieri qualcosa del genere.

MM: Durante la lettura mi è sembrato chiaro, mi dica se mi sbaglio, che lei abbia voluto descrivere la società contemporanea, anche il suo lato più oscuro. Pensa che possa essere una buona descrizione? La protagonista del suo romanzo si confronta con molte domande oggi importanti…

TS: Esatto. Al tempo stesso il libro si può leggere come un racconto intimo, non tutti possono vederci un aspetto sociale. Non volevo proprio descrivere la società contemporanea, non è proprio possibile, ma piuttosto raccontare la storia di una persona che nella società non si sente bene e che si sente tutt’altro che normale, ovvero di vivere da qualche parte a andare al lavoro da qualche parte, scappare dentro un armadio. Penso che a volte ognuno di noi senta questa voglia di nascondersi da qualche parte.

MM: Nel libro gioca un ruolo importante l’armadio come simbolo, che rappresenta la dimensione psicologica della protagonista… Potrebbe spiegarlo brevemente? Da dove proviene l’idea?

TS: L’idea, in realtà, è nata in modo banale. Mia sorella mi aveva chiesto se conoscevo qualcuno che avesse bisogno di un armadio. Ero in visita da lei e vivevo in Germania. La domanda nella mia testa era come sarebbe stato prenderle l’armadio, portarlo giù nel suo cortile e viverci. In un certo senso in quel momento avevo bisogno di scappare dalla situazione che stavo vivendo e mi era sembrata una buona soluzione. Alla fine l’ho fatto in un modo un po’ diverso. E, per il resto, questa dimensione psicologica è particolarmente esistenziale. La mia protagonista trova la forza di scappare da ciò che è estraneo, ma non trova la forza di continuare ad agire e così si nasconde nell’armadio. Solo che poi l’estate finisce e si chiude dentro. E con questo? Volevo scrivere di quest’agonia, di quando qualcuno sta davvero male, di quando non si è più in grado di dire agli altri quanto le ose vadano male e quindi si nasconde fingendo anche davanti a sé stessi che vada tutto bene. Ma non è così.

MM: Un’ultima domanda: ha intenzione di scrivere  altri romanzi?

TS: Sì, certo. Ma forse non succederà. Non lo so proprio. Ho un bambino molto piccolo e posso scrivere davvero poco, il che mi dispiace perché penso che la maternità sia un tema molto ampio e mi piacerebbe parlarne, ma semplicemente non trovo abbastanza tempo ed energie. Chi ha letto Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf penso mi possa capire appieno.

Apparato iconografico:

Immagine di copertina: novinky.cz

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