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Vit[amor]te – Paolo Polvani intervista Valeria Bianchi Mian su A tentoni nel buio (Versante Ripido)

Vit[amor]te – Paolo Polvani intervista Valeria Bianchi Mian su A tentoni nel buio (Versante Ripido)

Una danza interiore tra il carpe diem e il memento mori

Valeria ci spieghi cosa sono gli arcani maggiori?

Gli Arcani Maggiori sono conosciuti dal grande pubblico con il nome di Tarocchi, termine che rimanda al disordine, al caos della carta Matto, alla psiche di ognuno di noi quando ci lasciamo sconvolgere, quando permettiamo all’inconscio di spettinare l’Io (1). Non è la stessa sfumatura del concetto di Arcano e nemmeno parola che richiama gli antichi Trionfi. Con Jodorowsky, i Tarocchi diventano ‘il Tarot’, ovvero un essere vivo, una creatura fatta di immagini che hanno attraversato i secoli senza mai disperdersi, anzi acquistando nel tempo sempre più forza e splendore. Mi trovo bene, io, nella dinamica del mezzo: vedo i ventidue Arcani come un elemento poliedrico che si cristallizza in una forma e lo fa solo transitoriamente. Sono loro, i Tarocchi, il grande Mercurio alchemico, materiale divino multi-verso, corpo anima e spirito raccolti in una sola Pietra Filosofale, figlio/figlia dei filosofi ermetici. I Tarocchi respirano, parlano, raccontano, abitano il mondo, spuntano come fiori in ogni angolo del nostro quotidiano, a partire dal ‘400 fino al 2021. Mi viene in mente una farfalla arcobaleno ferma in posa per un istante, pronta a ripartire di fiore in fiore, di mazzo in mazzo in mazzo di ogni colore e foggia: ecco l’anima arcana. 

Gli storici italiani più noti – Giordano Berti in primis, per citare il critico a me più vicino – non hanno dubbi nel situare l’origine di queste splendide icone nel mondo cortese del Rinascimento. Le nozze di Bianca Maria Visconti, la Milano degli Sforza, gli Estensi a Ferrara e dintorni, velluti e gioielli, banchetti, i fasti e il gioco elegante dei Trionfi come contraltare alla dilagante piaga del gioco d’azzardo; è Berti a scrivere che le prime Lame, icone lavorate a mano e incise in oro a bulino, erano così care, ma così care, che un mazzo costava praticamente come un palazzo.

Ludus triomphorum è il modo in cui le figure operano, prendendo spunto dal petrarchesco poema. Chi vince su chi? La Morte, si sa, batte ogni ruolo e trascina nella danza finale il Folle, così come l’artigiano-prestigiatore Bagatto, la bella Imperatrice con l’Imperatore, il Papa… Non c’è scampo, è vero, ma chissà se l’Innamorato avrà più Forza rispetto alla Senza Nome, scheletro disincarnato che non può mancare dal mazzo. E che dire del Diavolo? Se c’è una carta che ha stimolato la censura della Chiesa, e paura e tremore nel popolo, è di certo il Satanasso androgino che abita il cartoncino numero XV, tanto che l’attribuirgli oggi un ruolo creativo e vitalizzante ha richiesto il superamento di molti pregiudizi. Nel mazzo di Tarocchi, il Diavolo coesiste con l’angelo della Temperanza e con le altre venti Lame, in armonica danza da più di sei secoli. Vincitore assoluto del gioco? Forse il Mondo? Fortunello! 

I giovani cortigiani e le dame si sono sbizzarriti inventando motti e poesie a ogni estrazione di carte. Li troviamo immortalati nell’affresco di Palazzo Borromeo a Milano: che cosa sta sussurrando la dama al centro della rappresentazione? Dedicherà un verso improvvisato ai compagni raccolti intorno al medesimo tavolo? Questo era il modello, il modus operandi dei Tarocchi: un gioco culturale, un gioco per divertimento, un gioco per fare relazione nel gruppo, un gioco di società, un gioco educativo.

Di professione sei psicoterapeuta. Esiste una connessione tra il tuo lavoro e gli arcani? E, se sì, in che si sostanzia?  

Io lavoro con le persone, con i gruppi, con la differenza – le differenze – individuali, con quel teatro che ognuno di noi è dentro l’anima. Potrei spingermi a dire che io, tu, voi, loro… tutti siamo sempre i ventidue Tarocchi. Abbiamo in dotazione le carte del caso, le figure archetipiche più adatte a rappresentare il simbolo del momento, la fase di vita, il periodo che attraversiamo, l’attimo dell’esperienza tra Kronos e Kairos. Alcune immagini le conosciamo bene, e sono i ruoli che indossiamo più spesso, gli abiti mentali che più ci piacciono. Altri li disprezziamo, li evitiamo, proiettandone la potenza sul nemico di turno. Come psicodrammatista, oltretutto, opero attraverso il teatro che cura. Approfondendo lo studio della simbologia arcana, negli anni mi è sembrato il minimo lasciare che questi livelli archetipici si intrecciassero all’esperienza nel quotidiano. Oggi il Tarotdramma è un brand depositato, un metodo che unisce la drammatizzazione alle tecniche di scrittura creativa e al lavoro sulle competenze trasversali. Mi occupo di comunicazione in ambito formativo e mi piace lavorare anche a scuola con le immagini dei Tarocchi… ma non solo. Pensa che negli anni in cui facevo la tutor in Università conducevo laboratori di drammatizzazione sulle opere visive nella Storia dell’Arte. Inoltre, il Tarot si presta a raccontare la strada dell’individuazione: è un ottimo strumento anche per lo storytelling in psicoterapia.

Oggi, grazie ad Alejandro Jodorowsky, la visione evolutiva è diventata la via principale nell’approccio ai Tarocchi, uniti già alla fine del Quattrocento agli Arcani Minori, ovvero alle classiche carte da gioco, quelle con i ‘semi’ tipici del periodo e della regione di appartenenza.

Alejandro Jodorowsky ha acceso una nuova luce sui Tarocchi marsigliesi, i più popolari e anche i più complessi nella loro apparente semplicità. Sono proprio i marsigliesi a mostrare gli archetipi dell’inconscio collettivo più chiaramente, senza troppi fronzoli dati dai vezzi o dalla creatività degli artisti, per arrivare all’anima in modo diretto, profondo, trasformativo. 

Agli artisti e ai poeti resta aperta la possibilità dell’amplificazione. Così come ho fatto io stessa creando il mio mazzo.

I tarocchi per esprimere il disagio di vivere in una società sempre più votata al consumo?  

O per curare questo disagio.

Per andare oltre, offrendo ipotesi di trasmutazione, a patto che si possieda un Io-alambicco, un contenitore psichico per la trasformazione attiva dei contenuti. Per ottenere l’oro dalla feccia ci vuole un contenitore senza buchi, occorre curare lo spazio di accoglienza, la stanza dei simboli, la casa delle cose, altrimenti siamo parte del caos, siamo solo la carta numero zero, siamo il Matto perennemente in partenza ma sempre fermo sulla casella Start… o poco oltre. Perché le immagini sacre e profane che sono i Tarocchi ci possano dire qualcosa che sia utile per la nostra vita, occorre avere occhi e orecchie interiori, i sensi accesi e una porta solida, capace di aprirsi ma anche di chiudersi alle ipotesi di dipendenza.

La funzione delle tue illustrazioni credo che non sia solamente decorativa, giusto?  

Ho un rapporto particolare con il disegno. Nel libro, le immagini che ho disegnato si sposano alle poesie, ma questo è un processo che avviene in quasi tutte le mie produzioni letterarie. “Favolesvelte”, per esempio (Golem Edizioni). Per un anno ho intrecciato parole e tracce. Con il progetto Medicamenta – lingua di donna e altre scritture, insieme a Silvia Rosa, ho lavorato sullo stesso livello per illustrare l’antologia “Maternità marina”, ricamo di figure e versi, sketches e parole. Non concepisco un cervello split-brain: il cervello destro e il sinistro sono il mio stesso cervello. Sono mancina quando scrivo ma uso la mano destra per tutto il resto. Tendo a unire gli opposti in androginia e questo concetto vale un po’ per tutte le possibilità esistenziali, a più livelli. 

Uno stile poetico improntato a un certo rude pragmatismo, è la tua cifra stilistica personale o ti è stata ispirata dai Tarocchi? 

Sei per ora il primo poeta, scrittore e critico letterario a definire rude pragmatismo il mio stile; lo ammetto, questo concetto mi piace moltissimo. È vero, sono dura, e qualcuno potrebbe dire mascolina nel mio sguardo sul mondo, impietosa, ma al contempo non escludo possibilità di coscienza per la collettività, divento materna e accogliente di fronte alle debolezze della nostra specie. Per ora sinceramente curo la mia stessa individuale coscienza e collaboro alla cura di chi si rivolge a me – una visione ippocratica direi – sperando che ognuno nel collettivo possa avere modo di nutrire la propria vita in ottica evolutiva, ecologista, differenziata.

QUI l’articolo originale:

Vit[amor]te – recensione di Deborah Mega su Limina Mundi

Vit[amor]te – recensione di Deborah Mega su Limina Mundi

Era gennaio quando nella posta di Limina è giunta una silloge che ho custodito con cura, con il proposito di sfogliarla, allettata da allegati inconsueti, una copertina bipartita su cui è rappresentato il contrasto Vita-Morte, anticipato dallo stesso titolo, con il gioco ambiguo delle parentesi che attivano più livelli di comprensione, e l’immagine del XXI tarocco, quello che illustra il Mondo, “mai fisso, mai immoto”, come è definito in prefazione. A distanza di mesi la riprendo, spinta dalla curiosità di cogliere il connubio parola-immagine che ho intuito ci fosse. In effetti, si tratta, nell’intenzione dell’autrice, Valeria Bianchi Mian, psicoterapeuta junghiana, di Poesie per arcani maggiori, come recita il sottotitolo. La silloge raccoglie poesie giovanili e quelle scritte tra il 2014 e il 2019, accostate alle figure degli arcani illustrati dalla stessa Bianchi Mian. “È una Totentanz che punta alla rinascita, è un cerchio che si fa spirale attraverso ventidue disegni” mentre il fil rouge pare sia la natura viva in un processo in divenire continuo, ciclico, che fa ritorno a se stesso.

La silloge si presenta come un viaggio esoterico, ricco di riferimenti al mondo dei tarocchi e alla loro simbologia. Ogni testo, infatti, è introdotto dalla figura di uno degli arcani maggiori presentati dal numero 0 al 21. Il testo di apertura appare una sorta di presentazione dell’autrice, il suo procedere per tentativi come se fosse un lupo di Chernobyl o o la gazza che si spinge dal bosco alla periferia. Si vorrebbe però una sopravvivenza dal ticchettio nucleare, un rifugio per scongiurare la follia diffusa. Non a caso la poesia è introdotta dalla figura del Matto che rappresenta lo spirito libero e geniale, l’energia originaria del caos, l’imprevedibilità e allo stesso tempo l’innocenza e la follia. È il viandante che avanza verso l’ignoto senza paura.

QUI l’articolo originale:

Vit(amor)te – recensione di Maria Cristina Sferra su Cultura al femminile

Vit(amor)te – recensione di Maria Cristina Sferra su Cultura al femminile

“Vit(amor)te” è una raccolta di poesie di Valeria Bianchi Mian, illustrata con le carte degli arcani maggiori (in versione monocromatica) disegnate dall’autrice stessa, edita da Miraggi Edizioni nel 2020. Il mazzo di carte a colori è disponibile a parte.

Psicologa e psicoterapeuta junghiana nonché autrice poliedrica e appassionata, Valeria Bianchi Mian nella sua raccolta “Vit(amor)te” coniuga poesia e illustrazione.

La realtà terrena dell’esistenza nel suo svolgersi si sposa con l’astrazione simbolica degli arcani maggiori dei tarocchi, che regalano sfaccettate possibilità di interpretazione.

“[…] Stiamo qui nel mosaico

stabile instabile

nel puzzle d’erranza

in errore di base

ché prima di conoscerci

abbiamo scoperto l’uno

nell’altra la polpa

sotto gli aculei del riccio

ma non ci siamo divorati.”

(‘Finché morte’ da IL CARRO)

Una poesia alchemica che si trasforma, attraversa tutti i colori, tutti i mondi, tutte le vite possibili, tutti gli incontri passati e quelli futuri, forse soltanto immaginati. Ma non è detto.

Figure del mito intrecciano danze con le multiformi parti del sé, si scambiano i ruoli, si nascondono per riapparire diverse, eppure sono sempre uguali. Ma non è detto.

“[…] Sapevo di andare a morire

dopo il primo fiore.

Un figlio, e via.

Scopro con particolare orrore

e assurdo piacere

che al sale

si accompagna l’acqua

che la maturità

non è un esame.

È senso della terra. […]”

(‘Agave’ da LA FORZA)

Gli arcani si rivelano nel mutamento: il cerchio della vita che nasce e passa attraverso l’amore – l’unica possibilità di dare un senso alla presenza – per tornare alla morte, eterno ciclo continuo, breve attimo privo di consolazione, spazio rubato al Tempo.

Tra i versi sono incastonate ad arte alcune citazioni da poemi classici e letture altre, che scrivono una storia parallela di profonda conoscenza e talvolta strappano un sorriso per la fine arguzia e la blanda irriverenza.

“Mando avanti me

le zone fertili

dell’animo umano

un giardino, la cura

la cultura delle stagioni.

L’attesa, l’intesa

la pretesa (non funziona

mai abbastanza).

La stanza al centro

le vie, i percorsi

i sentieri, i sentimenti.

La lista della spesa

l’essere qui e ora

nell’ora quotidiana:

il mio corpo quaderno

per lo spirito penna.”

(‘Mandala’ da IL MONDO)

Valeria Bianchi Mian pesca a piene mani dall’inconscio, indaga con audacia l’umano sentire, ci sorprende mettendo a nudo e a fuoco gli innumerevoli stati dell’essere.

Abile giocoliera di parole, la poeta ci conduce tra i versi del suo cerchio infinito vita-amore-morte accompagnata da Kitsune, la saggia volpe rossa ritratta nell’arcano della Forza.

Qui niente è impossibile, tutto è memoria e rigenerazione, ma bisogna porre attenzione, come scrive l’autrice nell’introduzione al libro: “Verso Dove, / fino a Quando”.

Sinossi

Quarantaquattro poesie per ventidue originalissimi arcani maggiori: parole e immagini come gemelle in danza. Scrivere e illustrare poesie è per l’autrice un operare quotidiano, attività ormai consolidata di sperimentazione e strumento nel suo lavoro di psicoterapeuta. Dopo le poesie e le filastrocche del libro “Favolesvelte” (Golem Edizioni, 2015), Valeria Bianchi Mian ha pubblicato racconti, ha curato e illustrato un’antologia sul tema della ‘dimora’, ha scritto e fatto nascere il suo primo romanzo (“Non è colpa mia”, Golem Edizioni, 2017), ha partecipato alla stesura di tre saggi di psicologia in collaborazione con altri colleghi. In questa silloge raccoglie le poesie giovanili e quelle scritte tra il 2014 e il 2019; le fa procedere insieme alle figure dei tarocchi.
È una Totentanz che passa dalla nigredo, l’Opera al Nero, e punta alla rinascita, è un cerchio di versi che si fa spirale attraverso i disegni. Il filo conduttore di “Vit(amor)te” è l’idea della natura viva: è una bozza di verde, lo spunto generativo, il germoglio rigoglioso o la foglia secca, il respiro della terra sopra la quale camminiamo, natura che matura nella nostra psiche. La storia del diventar se stessi comincia dal Matto incompiuto, un germe, il seme ritrovato; lo sviluppo per concludere con il ricominciar da capo.

QUI l’articolo originale:

https://www.culturalfemminile.com/2021/01/05/vitamorte-di-valeria-bianchi-mian-2/?fbclid=IwAR2dwNbo8vILgrec5IZJpnBiSNiIiTBR7KXHhGju41x78PYq22bcxGiGcPE

Vit(amor)te – recensione di Ksenja Laginja su Bibbia d’asfalto

Vit(amor)te – recensione di Ksenja Laginja su Bibbia d’asfalto

Quarantaquattro poesie per ventidue arcani maggiori: parole e immagini come gemelle in danza. Scrivere e illustrare poesie è per l’autrice un operare quotidiano, attività ormai consolidata di sperimentazione e strumento nel suo lavoro di psicoterapeuta. Dopo le poesie e le filastrocche del libro “Favolesvelte” (Golem Edizioni, 2015), Valeria Bianchi Mian ha pubblicato racconti, ha curato e illustrato un’antologia sul tema della ‘dimora’, ha scritto e fatto nascere il suo primo romanzo (“Non è colpa mia”, Golem Edizioni, 2017), ha partecipato alla stesura di tre saggi di psicologia in collaborazione con altri colleghi. In questa silloge raccoglie le poesie giovanili e quelle scritte tra il 2014 e il 2019; le fa procedere insieme alle figure dei tarocchi.
È una Totentanz che passa dalla nigredo, l’Opera al Nero, e punta alla rinascita, è un cerchio di versi che si fa spirale attraverso i disegni. Il filo conduttore di “Vit[amor}te” è l’idea della natura viva: è una bozza di verde, lo spunto generativo, il germoglio rigoglioso o la foglia secca, il respiro della terra sopra la quale camminiamo, natura che matura nella nostra psiche. La storia del diventar se stessi comincia dal Matto incompiuto, un germe, il seme ritrovato; lo sviluppo per concludere con il ricominciar da capo.

I. Tra me e tre

L’ora persa tra le due e le tre
pensando di vivere a lungo
sommando altre ore e ore al tempo
meno le sigarette già fumate
prima di smettere più gli anni
bisestili meno il gran timore

del tumore è forse disuguale
moltiplicazione o è la radice
quadrata delle ipotesi di allora:
me bambina +
me adolescente +
me adulta =
lo spazio illegale del Sé?

Un giorno avrò caviglie gonfie
di umori lunari e gambe stanche
le borse della spesa agli occhi
trascinerò il mondo al futuro
contando i minuti nelle tasche.
Un giorno avrò rughe spesse
quanto un calendario solare
e malattie comuni a tutti prima
del morire – ora pro nobis.

L’ora dei fantasmi
tra le due e le tre
segna i sogni
canta i santi.

Qui l’articolo originale:

VIT[AMOR]TE – recensione di Loriana Lucciarini su Cultura al femminile

VIT[AMOR]TE – recensione di Loriana Lucciarini su Cultura al femminile

VIT[AMOR]TE è un libro di Valeria Bianchi Mian edito da Miraggi nel 2020.

Non vi aspettate un’interpretazione classica dei tarocchi, qui troverete percorsi, spunti, viaggi onirici in versi fatti di ricordi, parole, pensieri ritrovati in fondo ad un cassetto.

Valeria Bianchi Mian scrive in prosa e in poesia. Ama comporre e scomporre, giocare con i sensi e le consuetudini per poi destrutturare, arrivare a iperbole di pensiero nuovo, visioni di luci laterali, di nuove ombre, nuove spinte, nuovi percorsi nell’anima.

Psicologa junghiana ha esperienza di sedute, laboratori e altre realizzazioni dove cultura, psicologia, arte e teatro si incontrano. Al suo attivo diversi testi. Scrittrice poliedrica dalla personalità eclettica, veste i panni di narratrice, esperta, poetessa, pirata di cuore agitato, strega rivelatrice. Lo fa in mille modi, restando sempre se stessa.

Vit[amor]te racconta della potenza evocatrice delle immagini e di come queste vengano assunte nella simbologia popolare e individuale, diventando archetipo, riferimento, suggerimento, impulso.

I tarocchi per lei sono “bussola onirica e poetica”, dalle sfumature stratificate nella storia, a cui si aggiungono le altre sfumature personali, soggettive, interpretazioni legate al vissuto, alla valigia esperienziale di chi le guarda e le fruisce.
Lei, quando conduce gruppi e laboratori espressivi dice di utilizzare “volentieri le carte e nella pratica immaginale questo strumento offre grandi possibilità creative” ed evocative, aggiungere io.
Dunque, grazie ai tarocchi si arriva a “narrare fiaba in gruppo, interpretare storie corali e poesia”. Perché da lì si trae spunto per far volare l’anima, lasciandole parole libere.

Le figure dei tarocchi di Vit[amor]te – vi invito a notare anche il gioco di parole scomposte e ricomposte nel titolo, gioco che l’autrice mette da sempre in campo per divertirsi e ritrovare nuovi significati, nuove narrazioni – sono stati realizzati da Valeria Bianchi Mian.

Essi diventano il fulcro espressivo fatto di tracce, segni, colori. Immagini dunque capaci di indagare nell’inconscio e riportarci simbolismi repressi, nascosti, dimenticati, accantonati a forza.
Vit[amor]te è un’opera completa che torna e riparte tra versi in poesia e percorsi introspettivi nella coscienza, tra eros, sogni, realtà, inganno.

Sinossi

Quarantaquattro poesie per ventidue originalissimi arcani maggiori: parole e immagini come gemelle in danza.

Scrivere e illustrare poesie è per l’autrice un operare quotidiano, attività ormai consolidata di sperimentazione e strumento nel suo lavoro di psicoterapeuta.

Dopo le poesie e le filastrocche del libro “Favolesvelte” (Golem Edizioni, 2015), Valeria Bianchi Mian ha pubblicato racconti, ha curato e illustrato un’antologia sul tema della ‘dimora’, ha scritto e fatto nascere il suo primo romanzo (“Non è colpa mia”, Golem Edizioni, 2017), ha partecipato alla stesura di tre saggi di psicologia in collaborazione con altri colleghi. In questa silloge raccoglie le poesie giovanili e quelle scritte tra il 2014 e il 2019; le fa procedere insieme alle figure dei tarocchi.
È una Totentanz che passa dalla nigredo, l’Opera al Nero, e punta alla rinascita, è un cerchio di versi che si fa spirale attraverso i disegni.

Il filo conduttore di Vit(amor)te è l’idea della natura viva: è una bozza di verde, lo spunto generativo, il germoglio rigoglioso o la foglia secca, il respiro della terra sopra la quale camminiamo, natura che matura nella nostra psiche.

La storia del diventar se stessi comincia dal Matto incompiuto, un germe, il seme ritrovato; lo sviluppo per concludere con il ricominciar da capo.

Qui l’articolo originale:

https://www.culturalfemminile.com/2020/11/02/vitamorte-di-valeria-bianchi-mian/?fbclid=IwAR3W55auGuExNWHPkSdIWkcD_6F54Bas7BFYHvhGQBtoXtkmY6h1oo72B-A

VIT(AMOR)TE – intervista a Valeria Bianchi Mian su Oubliette Magazine a cura di Emma Fenu

VIT(AMOR)TE – intervista a Valeria Bianchi Mian su Oubliette Magazine a cura di Emma Fenu

Vivere è appartenere a un altro. Morire è appartenere a un altro. Vivere e morire sono la medesima cosa. Ma vivere è appartenere a un altro dal di fuori, e morire è appartenere a un altro dal di dentro. Le due cose si assomigliano, ma la vita è il lato di fuori della morte. Perciò la vita è la vita, e la morte la morte, perché il lato di fuori è sempre più vero del lato di dentro, tanto che è il lato di fuori che si vede.” – Fernando Pessoa

Valeria Bianchi Mian
Valeria Bianchi Mian

Valeria Bianchi Mian è straordinaria. Esula dall’ordinario grigio e sfumato, dallo stereotipo, dal serioso e dal melenso, dal banale e dal già visto e già sentito.

È una donna rossa di capelli e di utero, filosofa bambina, psicoterapeuta e psicologa di formazione junghiana, scrittrice, poetessa, saggista, fautrice di psicodrammi e di pièce teatrali, illustratrice, artista, insegnante di Scienze Umane, blogger. Collabora per “Psiconline” e per il nostro “Oubliette Magazine”, ha pubblicato “Favolesvelte”, silloge di poesie; “Non è colpa mia”, un romanzo noir; ha curato (con me) l’antologia di racconti “Una casa tutta per lei” e “Vit(amor)te”, una silloge di quarantaquattro poesie dedicati ai ventidue arcani maggiori, disegnati dall’autrice stessa.

Ho raccontato molto, eppure è poco rispetto alla sua biografia, e nulla rispetto alla sua essenza.

Perché, se volete conoscere Valeria, dovete specchiarvi, guardarvi negli occhi ed essere pronti a salire sulla sua giostra, scalzi e scarmigliati. E poi lanciarvi nell’abisso di animus e anima, mentre lei vi sorride.

E.F.: Chi è Valeria? Chi è la donna, la psicoterapeuta, la scrittrice, la poetessa, l’artista, la madre, la figlia, la bella e la bestia?

Valeria Bianchi Mian: Mi metto a nudo, Emma. Lo voglio fare. Valeria è una donna che dimostra meno anni della sua età. È una psicoterapeuta in gamba ed è una personalità decisamente creativa con un’energia pazzesca che si esprime a più livelli: scrittura, disegno, teatro. Valeria è Anima unita a uno Spirito indomito che solo a tratti si lascia ingabbiare e sottomettere. E perché mai, in quei “tratti”, il suddetto Spirito scivola nell’inganno? Osservando Valeria come se fossi ‘l’io narrante’ che rimane un po’ a distanza, vedo l’insieme delle concause e dico: “Questa persona è stata disponibile nei confronti degli altri. Voleva, è vero, pensare anche a se stessa mentre al contempo dispensava gratuitamente bellezza e stimoli, idee e tempo prezioso. Offriva il suo oro al mondo, Valeria. Un piccolo lucente barlume aureo, stelle e stelline, le lune e i pianeti, lei regalava qua e là, finendo (quante volte!) per mettersi in fondo alla lista o, se non proprio alla fine, trovando all’ultimo la possibilità di farsi avanti insieme agli altri, quasi a giustificare timidamente la richiesta di un giusto compenso, di una cassa di risonanza, di un podio, di un traguardo tagliato al momento opportuno, di una coppa ricca di fortuna. Insomma, ci sono anch’io, sembrava dichiarare. Sarebbe stato meglio dirlo subito. Sarebbe stato bene pronunciare più spesso dei no e pestare qualche piede in più.” Non è possibile mutare atteggiamento, trasformare Valeria in una perfetta egoista. Quel che si può fare, in accordo tra l’Io e le zone più profonde della personalità, è convincerla a canalizzare la luce del suo lavoro, a mettere un po’ più in risalto i figli di carta che ha partorito nel viaggio alchemico che l’ha condotta alla creazione di tanti libri, di idee e progetti professionali. Si potrebbe trovare un accordo: se l’Io si impegna a seguire i comandamenti del marketing, il Sé porterà nuove storie da scrivere fino a che Morte non separi Valeria da se stessa, sperando che quel momento arrivi molto tardi. Calcolando che la sua bisnonna è vissuta fino a 107 anni, direi che c’è ancora tempo per imparare a sgomitare un po’.

E.F.: Ci presenti i tarocchi come se fossimo alla fine di uno spettacolo, davanti alla platea che applaude e con il sipario in attesa di chiudersi?

Valeria Bianchi Mian: Non andrete via, Signore e Signori, prima di conoscere i nostri ospiti! Salgano sul palco le carte dei Tarocchi! Applausi! Ecco a voi i ventidue simboli antichi che fungono oggi da suggerimenti creativi. Nati nell’Italia delle Corti, gli Arcani Maggiori incedono adesso attivando suggestioni lontane, attraversano il tempo per stimolarci ancora al futuro.

Io li ho scoperti vent’anni fa e mi ci sono tuffata dentro nei Tarocchi, nell’acqua della Temperanza e della Stella, in fondo al mare lunare; ho corso con il Carro, ho girato la Ruota più e più volte. Ho incontrato Imperatrice e Imperatore sorseggiando il tè con l’Innamorato. Ho cantato follie con il Matto, ho declamato poemi insieme al Bagatto, rimescolando nell’alambicco il nucleo del mio essere, fino a disegnare (nel 2019) le illustrazioni per la silloge “Vit[amor]te. Poesie per arcani maggiori.”. Con i Tarocchi ci possiamo giocare. Possiamo inventare storie come nipotini di Italo Calvino o scoprire versi come farebbe un bambino dal Matto al Mondo, e viceversa. Alejandro Jodorowsky li ha portati nel mondo a voce alta, così come vuole il suo genio. Moltissimi sono gli artisti che nei secoli li hanno dipinti, scolpiti e fotografati.  La compagnia dei Tarocchi è disponibile per meditazioni guidate, per giochi di Psicodramma, per azioni sceniche e collane di sogni.  Insieme alla burattinaia Marta Di Giulio, qui lo dico e non lo nego, ho inventato il Teatrino dei Tarocchi: alla mia lettura immaginale si sposa la sua performance con oggetti, piume, pupazzi.

E.F.: Amore e morte sono un topos dell’arte e della letteratura: cosa ci attrae?

Valeria Bianchi Mian
Valeria Bianchi Mian

Valeria Bianchi Mian: Lo stesso Eros, bellissimo dio dell’amore, compare nel mito sotto mentite mortifere spoglie alla giovane Psiche curiosa. L’Amore “mostro” si svela soltanto attraverso il sacrificio della fanciulla, si cela affinché il suo lungo viaggio possa diventare vita congiunta e unione. Mircea Eliade ci racconta le storie di amanti invisibili nello sciamanesimo, e questi “sposalizi soprannaturali” portano sempre elementi di contatto con l’Altro e Oltre, perché l’amplificazione e l’approfondimento della personalità, il completamento di Sé richiede sempre una Morte simbolica. Gli alchimisti conoscevano il segreto del regicidio, ed è lo stesso “dover morire” che il nostro Io deve accogliere se vogliamo crescere. Ogni rinuncia, ogni sacrificio dell’Io è una piccola morte.

Altre immagini simboliche della danza tra i due principi psichici, e tra le due realtà, Amore e Morte, hanno un sapore medioevale. Penso all’abbraccio tra lo Scheletro e la ragazza, per esempio, iconografia vicina al richiamo affascinante dell’amato assassino in letteratura, il cavaliere che conduce la protagonista al talamo mortale – e che ha come controcanto al maschile la keatsiana Belle Dame Sans Merci.

Nella Totentanz, è ovvio, ci finiremo tutti: belli e brutti, ricchi e poveri, re e regine e cavalieri. Saremo im-mort-alati in un affresco che vede come protagonista assoluta la nostra Nera Signora che ci tiene per mano e ci fa fare il girotondo fino al cascar del Mondo.  

Negli Arcani Maggiori la Morte ci chiama alla trasformazione: è albero in inverno che cela le sue gemme come spunti per la Primavera, è taglio di Atropo, è falce nel campo.

Non mi soffermo qui sul richiamo di Thanatos nei pazienti che ho incontrato in questi anni di lavoro come psicoterapeuta. Penso ai ragazzi tossicodipendenti innamorati della “sostanza”, intrappolati nell’abbraccio di ossa e denti, sepolti (in)felicemente insieme alle spoglie del loro stesso Io non-morto. Non è accogliere la trasformazione, sopravvivere in quel modo: è, piuttosto, optare per la versione Zombie.

E.F.: Le parole cambiano il mondo? Lo faranno? Tu ci credi?

Valeria Bianchi Mian: Io direi piuttosto che le parole cambiano insieme al mondo, in un reciproco nascere crescere e morire culturalmente. Le culture meticciano i termini e le credenze, le pelli, i colori e confini. Se non trascuriamo le nostre radici, possiamo giocare con le parole o prenderle seriamente, e possiamo conservarle per le generazioni future, riscoprirle. Penso ai dialetti, penso a mio marito che ride con mio figlio suggerendo espressioni in piemontese. Ricordo l’alfabeto segreto che inventavo bambina tra le bambine. Con le parole ci lavoro, nelle parole mi avvolgo e poi cambio parole. Verba volant ma a volte attecchiscono i significati e allora le lettere diventano parole chiave. Le parole feriscono più delle spade ma occorre coglierne il significato, altrimenti ci si travisa, ci si ingarbuglia e scattano gli insulti in quest’epoca di “fake-news” e di facili “flame”.

Mi piace stare sopra sotto dentro fuori e in mezzo alle parole e alle azioni, amo i performativi, le parole vive. Nei Tarocchi, a volte, la Morte non ha nome, eppure arriva lo stesso. Così come l’Amore, senza troppi discorsi.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

https://oubliettemagazine.com/2020/06/24/intervista-di-emma-fenu-a-valeria-bianchi-mian-fra-amore-morte-alambicchi-e-tarocchi/?fbclid=IwAR1_1I0J_mBFYrYLL83vq6S1AZOjUMV657FQDNKbUntfmoy0Wg_XOE0WpPQ

VIT(AMOR)TE – recensione di Felicia Buonomo su Carteggi letterari

VIT(AMOR)TE – recensione di Felicia Buonomo su Carteggi letterari

Leggere Valeria Bianchi Mian significa entrare in un cumulo di immagini, ricordi, luoghi, moti emotivi. Ma non è confuso e indistinguibile nei suoi elementi. È al contrario allineato, così come le carte dei Tarocchi di cui l’autrice parla nella sua introduzione: «I tarocchi li ho presi in mano da ragazzina […] è possibile che siano le carte a possedere me in un rapporto di reciproca benevolenza e orientamento, come bussola onirica e poetica». L’autrice firma questo importante testo poetico, che attira l’attenzione già dal titolo, che non ha bisogno di essere spiegato o interpretato: “Vit[amor]te. Poesie per arcani maggiori”, edito da Miraggi Edizioni, perché è proprio quello l’invito al lettore, sembra di capire: spingersi nell’interconnessione dei mondi.

E allora tra le immagini del matto, la papessa, l’imperatrice, l’appeso (la cui poesia annessa a quest’ultimo, è stata finalista al secondo premio Alda Merini 2018) e tanto altro, l’autrice ci accompagna in un percorso immaginifico, dove accogliamo il suo invito a cercare (in esergo l’autrice: “A te che vai cercando”. ). A leggere la poetessa, la ricerca non risulta vana, troviamo anche quello che da subito non percepiamo: «ad ogni mia convinzione / aggiungo / un punto di domanda».

E l’approdo al forziere, sia esso un ammasso di interrogativi, o di conferme, ognuno saprà capire in cosa consiste la propria libertà di possesso, lo si deve alla capacità erudita di condurre che contraddistingue Bianchi Mian.

Ci sono passaggi, nella raccolta, che esortano alla riflessione esistenzialista che ricorda la filosofia Sartriana, nell’esposizione di un tempo che sfugge, che non permette la presa, «L’ora persa tra le due e le tre / pensando di vivere a lungo / sommando altre ore e ore al tempo», dove l’interrogativo ci porta sul rapporto spazio-tempo, «me bambina + / me adolescente / + me adulta = / lo spazio illegale del Sé?».

L’autrice dà al lettore senza sfoggio, dona come se stesse prendendo, ricordando un intenso passaggio narrativo dello scrittore libico Hisham Matar. O – per rimanere in un ambiente più vicino alla sua formazione, benché non proprio aderente al percorso nel quale ci accompagna («…Ben più di quanto io mi senta attratta dai popolari marsigliesi o dal percorso intrapreso da Jodorowsky, pur apprezzando la vitalità e l’energia di quest’ultimo, seguo l’anima delle artiste che hanno progettato i Rider-Waite-Smith e i Crowley-Harris, scrive) – sembra seguire l’invito del noto Jodorowsky, quando ci dice che “quello che dai, lo dai a te, quello che non dai, lo togli a te”.

E allora noi leggiamo con precisione e calma, perché come ci ricorda l’autrice «la fretta / ti porta alla soglia / prima degli altri / ma non vinci niente». Cercando di addentare l’arcano, per svelare e scoprire la natura dell’umano sentire.

Il Bagatto

  1. Aborro (andante con grido)

Aborro

l’induzione al bisogno

le multinazionali del disagio.

Aborro

il marketing del nulla

nel Nulla che avanza

e avanza

e t’induce al bisogno

del nuovo modello di ciocco-merendina

del panno impermeabile pulisci macchie invisibili

del dopo dopo-balsamo per i peli delle ciglia

dell’esaltatore di sapidità per gli zombie

che camminano nella ciotola del gatto

dei sogni da far nascere con l’utero in affitto

dell’attico ignifugo su Marte

dello yogurt rossoblu dell’Uomo Ragno

del leviga occhiaie gel multifunctional iperattivo

del dentifricio all’uranio impoverito

del divaricatore per allargare le dita dei piedi

del bambolo gonfiabile che ripete

non sei sola

non sei sola

(non siamo soli).

Aborro

le luci al neon dei centri commerciali

la puzza emanata dal girarrosto del pollo a terra

la terra bruciata, dickensianamente desolata

ed io

in maschera antigas di pizzo e latex

induco me stessa al bisogno

d’indurmi il più possibile al bisogno

del non aver bisogni.

Induco me stessa all’umano

vicino di casa d’umano

e suono

per un po’ di zucchero.

  1. L’oltreuomo

Conosco l’uomo teso all’oltreuomo

ambiziosamente imperante, perfetto

geneticamente modificato, a effetto.

Di ogni gesto è il padrone, re del DNA

Dio sulla Natura, l’assoluto Signore.

Gli alberi del futuro cresceranno dritti

in fila indiana, marionette con regole

precise, l’orma dell’uomo sulla forma.

Gli animali estinti e quelli sopravvissuti

pascoleranno gli zoo in terre asettiche.

L’amore sarà matematica, eugenetica.

Non posso insegnare

all’apprendista.

Ho soltanto il sentore del sentimento.

Ho la visione del visualizzare la vista.

La percezione del percepire la pietra.

So

che l’irregolarità, l’errore, lo sbaglio

sono gli ori, i rei tesori della sapienza

e so

che quando la perfezione si rivelerà

geneticamente dotata d’imprevedibile

io sarò tra quelli

che ridono per ultimi.

Valeria Bianchi Mian

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