Torna disponibile nella nuova traduzione dal ceco di Alessandro De Vito un romanzo che ha fatto storia.
Postfazione di Alessandro Catalano
“Il bruciacadaveri”, uscito per la prima volta negli anni della Primavera di Praga, divenne celebre anche per la trasposizione cinematografica degli stessi anni, “L’uomo che bruciava i cadaveri” del regista Jurai Hertz https://www.imdb.com/title/tt0063633/
Praga, 1938-39. La storia del Novecento marcia a passo forzato verso uno dei suoi momenti più critici: il magniloquente Nuovo Ordine nazista, la guerra imminente, la “questione ebraica”, le persecuzioni pianificate, l’invasione dell’Europa.
Chi è il signor Kopfrkingl, protagonista di questa storia nera praghese? Un tenero, sdolcinato padre di famiglia, impiegato al crematorio, un uomo che sorride sempre. Sì, in apparenza. Interiormente, invece, è una marionetta dall’animo monodimensionale, dalla volontà larvale, dalla morale astratta e limitata, che vede tutto e tutti come stereotipi. Un uomo intimamente servile per cui il bene è indifferentemente cura e sterminio, felicità e olocausto, la cui idea di paradiso in terra condanna gli altri all’inferno.
Lo stile ossessivo e preciso di Fuks sottolinea perfettamente questo aspetto e gli è funzionale. Il bruciacadaveri procede come una partitura con il frequente contrappunto di ripetizioni di nomi e intere espressioni. Lo sguardo alienato e distorto del protagonista, con tracce di macabro divertimento, amalgama un testo di cui si può apprezzare la struttura profonda e la caleidoscopica creatività: siamo a tutti gli effetti di fronte a un capolavoro del Novecento.
Ma forse ha un senso ulteriore, oggi, riproporre questa figura di “volenteroso carnefice”, che accoglie in sé le parole d’ordine naziste con leggerezza e conseguenze paradossali, opportunista, perbenista e superficiale.
«…la violenza non paga per nessuno. Con essa si può tirare avanti solo per un breve periodo, ma non si può scrivere la storia. Viviamo in un mondo civilizzato, in Europa, nel Ventesimo secolo» si dicono più volte i personaggi, nel 1938. La storia ha provato loro il contrario a stretto giro, e ormai, anche molti anni dopo, passato l’inizio del Ventunesimo secolo, sappiamo che nulla può essere dato per scontato, che l’angusto abisso del signor Kopfrkingl non si è richiuso per sempre con la fine delle ideologie e grazie al benessere, e che far finta di niente può precipitarci nuovamente dentro di esso.
Ladislav Fuks (Praga 1923-1994) è uno dei più noti scrittori cechi del Novecento. Presentato in Italia da Angelo Maria Ripellino con il suo secondo romanzo nel 1972 (Il bruciacadaveri, 1967), nei suoi primi romanzi (Il signor Theodor Mundstock, 1963; Una buffa triste vecchina, 1970, per restare ai titoli tradotti negli anni in italiano), Fuks rivela una « particolare cifra stilistica » e una caratteristica « indagine dei luoghi oscuri dell’io, incentrati su personaggi outsider, tormentati, dissociati interiormente », come scrive Alessandro Catalano.
Fuks, da sempre un po’ laterale rispetto alla società letteraria praghese, rimasto in patria anche dopo la repressione della Primavera di Praga, non ha in seguito raggiunto i felici esiti delle prime opere.
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