Carlo Gozzini, l’io narrante, è un professore di economia innamorato di Blandine, attrice di vent’anni più giovane che non lo ama e non perde occasione per umiliarlo. La sua ossessione diventa paranoia quando Blandine viene ricoverata in un manicomio e quando Carlo scopre di essere spiato da una organizzazione criminale e da un uomo misterioso. Sono loro, non la donna, a condizionare la sua vita. Ed è questo, non l’amore, il tema centrale del romanzo. Quali sono le forze che trattengono i nostri desideri facendo sì che non si realizzino e trasformandoci in persone diverse da quello che siamo? “Sentivo che due sono le cose fondamentali: non giudicare la vita e non compiere atti che siano irreversibili”.
“Il mestiere del giudice è abominevole, perché condannare significa arrivare troppo tardi”. Immediatamente, di Dominique de Roux(traduzione di Francesco Forlani; Miraggi edizioni), è uno scomodo, riuscito e originale volume di frammenti che racchiudono la poetica e la visione del mondo di una delle figure più singolari del Novecento francese, e non solo.
Figlio nobile di una famiglia monarchica, errante tra Germania, Spagna e Inghilterra sul finire degli anni Cinquanta, polemico, traduttore, visionario, internazionalista gollista, vagabondo nei primi anni Settanta in Svizzera e Portogallo, si rifugia a Lisbona e si dedica al giornalismo, diventando corrispondente nelle colonie lusitane e intimo amico del discutibile Jonas Savimbi. Nell’aprile del 1974, al tempo della Rivoluzione dei Garofani, è l’unico giornalista francese presente a Lisbona.
Immediatamente, racconta questo lungo errare. Tracce di New York, Haiti, Amburgo, Ginevra, Parigi, Lisbona, di almeno quattro continenti e un numero cospicuo di nazioni. Sono presenti le interpretazioni filosofiche e politiche dell’autore sui fatti epocali che vanno dal Dopoguerra agli anni Settanta. Riflessioni sagaci, a volte destabilizzanti: “Il crollo delle ideologie a beneficio degli estremismi nazionali. Il razzismo nazista non è stato nient’altro che un’estetica dell’assassinio. Rinascimento estetico = assenza totale di carità (…) Appena terminata la biografia del maréchal de Richelieu, un cazzone con dietro un maréchal (…) Chi si prende la briga di parlare del Mein Kampf? Un giorno rimarrà di Hitler soltanto questo libro che non opera nella storia ma nell’inattuale. È un’antologia totale del totalitarismo”.
La bellezza – e anche la forza – di Immediatamente è data dal senso di incompiutezza che pervade tutto il volume. Frammenti che devono essere interpretati, parole che richiamano a un’infinità di parole non scritte, attacchi al moralismo in cerca di una libertà nuova, profondamente soggettiva, che Dominique de Roux nei suoi libri e nei suoi articoli ha ricercato per tutta la vita.
Se scrivere significa spezzare il legame tra la parola e chi la imprime su carta, il libro di cui vi parlerò quest’oggi rappresenta un ottimo esempio di sacrificio, di sparizione, di solitudine, di messa al bando dell’autore. Una forma di liberazione che implica il passaggio dal soggetto alla moltitudine. Per l’autrice de “Il Lago”, Bianca Bellová, deve valere quell’assunto per il quale lo scrittore appartiene a un linguaggio che nessuno parla, incomunicabile, indicibile, che non rivela nulla se non l’interminabile cammino degli uomini, del mondo e la sua impossibilità a conoscersi del tutto.
Se la storia della letteratura è un racconto di anime, ve ne sono di stropicciate, sbrindellate, traviate, corrotte e miserabili nelle vicende delineate dalla scrittrice.
La voce italiana di Bianca Bellová è di Laura Angeloni, traduttrice di fiuto alchemico e di raffinata maestria interpretativa. Non stento a credere che il libro conti traduzioni in quindici lingue e che sia stato premiato nel 2017 con il “Premio Unione Europea per la Letteratura” e col “Magnesia Litera”.
L’editore, che per l’occasione inanella il secondo successo dopo “Volevo uccidere J.-L. Godard”, inserisce “Il lago” nella collana “NováVlna”, letteralmente “Nouvelle Vague”, che racchiude e solidifica quel rapporto costante tra innovazione e esistenzialismo degli anni della Primavera di Praga.
Protagonista della storia è la ricerca delle origini come punto di partenza del passaggio sulla Terra di Nami, un bambino senza genitori, che vive coi nonni, che ha un passato oscuro, inviso alla popolazione di Boros, un paese che confina con un lago, principio cardine della vita della comunità, presenza inquietante e sfigurata.
Il lago alberga nell’immaginario della collettività come origine della vita e caduta nella morte. Ma è anche luogo di perdizione ed emblema dello sfregio della natura. Ogni anno le sue acque si assottigliano sino a restituire corpi, oggetti, forme, fantasmi.
La nonna di Nami accarezza i capelli del nipote, dopo averlo fatto adagiare sulla sua pancia morbida, e gli racconta dello Spirito del lago e dei guerrieri dell’Orda d’Oro, di quanto dormano da secoli sulla rupe di Kolos, aspettando un potente guerriero che li svegli.
Nami non ha nessun ricordo del padre, e della madre rammenta tre macchie rosse, il suo bikini di quando andavano insieme in riva al lago. Perché Nami ha dimenticato il volto di sua madre?
Se apparentemente penserete di avere già sentito storie del genere, resterete di stucco per la lingua usata dalla scrittrice, perché è essa stessa strumento conoscitivo e intuitivo della storia, coi suoi furori sintattici e le sue staffette strutturali, scarni crudeli, rarefatti, necessari.
Si parte dal primo capitolo dal titolo “Uovo” e si procede con “Larva”, “Crisalide” e in ultimo, “Imago”.
E non sarà un caso se l’imago per Jung era un’immagine ancestrale, amata nell’infanzia, che corrispondeva di solito a un genitore, e che rimane, esercitando un’influenza nella psiche dell’adulto.
Nami cerca sua madre, la cercherà sino a quando non lo lasceremo, all’età di diciotto anni, e saremo passati insieme a lui attraverso la fame, la persecuzione, l’amore, la violenza, l’amicizia, la dittatura e il tradimento.
Nonostante non si faccia mai riferimento a un lago che abbia un suo corrispettivo nella vita reale, è indubbia l’affinità con l’Aral, il cui prosciugamento è uno dei più biechi disastri ambientali del novecento.
Il suo destino procede parallelo a quello del nostro protagonista. Nami custodisce memorie e lutti, ingloba l’amore sino a rappresentarlo come perdizione, allarga i suoi confini ma viene depredato di ogni sicurezza, così come succede al lago della storia e a quello della vita reale, a causa delle piantagioni di cotone. Non ultimo, nel libro compare il fantasma della dittatura russa, con le sue violenze, come quella compiuta da due soldati ai danni della fidanzata di Nami, Zaza, sotto i suoi occhi impotenti e pietrificati.
Bianca Bellová raschia via tutte le nostre convinzioni crivellando di colpi la scrittura, rivoltando il paradosso della perdita in una ritrovata comunione con l’elemento primordiale: quell’acqua di cui si avverte “il puzzo del fango fradicio” ma che è ricongiungimento nell’abbraccio finale.
L’Antiquario vi saluta.
Autostop per la notte, libro d’esordio di Massimo Anania recentemente pubblicato da Miraggi Edizioni, si legge tutto d’un fiato: il ritmo della scrittura rispecchia le vicissitudini raccontate, è sostenuto, incalzante fino a giungere a quell’estremo che vede come unica soluzione la necessità di un tuffo in un’altra dimensione. Questo stacco prende la forma del flusso di coscienza che interrompe il vorticoso incedere della narrazione con pause di disorganizzata riflessione, momenti di sospensione utili nella musicalità di questo immaginario pentagramma.
L’alternanza tra i fatti reali che accadono a Maurizio, il protagonista, e le sue incontrollate riflessioni mantengono la cadenza sincopata per l’intero romanzo, un continuo movimento tra mondo reale e un mondo che si fa onirico per l’intero romanzo.
Autostop per la notte è ambientato a Torino, scelta che evidenzia maggiormente il contrasto tra possibile e impossibile, tra chiaro e scuro; il capoluogo noto per essere catalizzatore di magia bianca e magia nera, si mostra come una Torino signorile e aristocratica e al contempo segreta, chiusa in palazzi inaccessibili e governata da personaggi potenti, perché ricchi e privi di scrupoli.
In questo sfondo notturno e labirintico, un gesto abituale per Maurizio, quello di fare autostop, lo proietta in un susseguirsi di accadimenti che sfuggono al suo controllo e a qualsiasi sensata previsione, che si intrecciano anche quando sembra si siano finalmente districati.
L’apparente casualità, che innesta un’avventura durata tre giorni, assume diverse sembianze, inizia con quella del gentile automobilista che gli concede un passaggio, poi prende forma di donna e infine quella di un professore; il fluire degli eventi trasportano protagonista e lettori in una breve quanto incessante discesa agli inferi urbani.
Intervista
Come definisci Autostop per la notte: romanzo breve o racconto lungo?
Il confine tra romanzo breve e racconto lungo è difficile da stabilire, personalmente lo vedo come un romanzo breve ma non credo sia errato definirlo racconto lungo.
La seconda persona singolare per la narrazione è una scelta audace: perché la usi?
Mi trovo a mio agio in fase di prima stesura, anche se non è semplice da utilizzare mi permette di tenere il ritmo della narrazione elevato. E ho scoperto che mi piace parecchio.
Perché hai scelto Torino per ambientare la tua storia?
È una scelta d’istinto, ho vissuto a Torino per 26 anni e adesso che vivo lontano l’apprezzo di più e ne sento la mancanza. Tutto quello che scrivo è ambientato a Torino, non potrei scegliere un’altra città. L’unica eccezione potrebbe essere inventarsi un mondo nuovo, ma credo che in un modo o nell’altro somiglierebbe al capoluogo piemontese.
L’autostop è una pratica in disuso ma è il fatto che mette in moto tutte le altre connessioni del racconto: come ti è venuto in mente?
Per me l’autostop è stato il mezzo più usato per gli spostamenti dai sedici ai diciannove anni. A Torino non era difficile trovare qualcuno che si fermasse e questo mi permetteva di risparmiare i soldi dell’autobus e soprattutto di sottostare agli orari imposti dal servizio pubblico. All’occorrenza mi fermo a bordo strada con il pollice rivolto all’insù anche adesso.
La tua passione per l’arte si unisce in questa “avventura” in diverse forme. Partiamo dalla prima: chi sono gli illustratori delle immagini che compaiono nel libro?
Gli scorsi anni ho organizzato diverse mostre di pittura alle quali hanno partecipato numerosi artisti. Mi piaceva l’idea di aggiungere qualche illustrazione nel romanzo e ho chiesto a qualcuno di loro di realizzare un disegno. Tra gli illustratori ho selezionato artisti che per tecnica potessero darmi un qualcosa in più. Farbod Ahmadwand dipinge fondendo gli insegnamenti della scuola europea con quella persiana. Luca Ferrari è il batterista dei Verdena che tra un tour e l’altro si diletta con la pittura e i collage. Sharon colli ha un modo unico di interpretare il disegno attraverso il quale riesce ad esprimere in modo deciso concetti anche semplici. Fabrizio Berti, Michela Roffarè e Sonia Luzzatto sono artisti che hanno esposto in diverse gallerie sul territorio nazionale e in diverse manifestazioni culturali non solo in Italia ma anche all’estero. Poi c’è un disegno di mio figlio di otto anni: un giorno gli ho chiesto di disegnarmi una macchinina e ha fatto un lavoro così bello che non potevo fare altro che includere.
C’è anche un video che promuove il libro: da dove nasce questa idea?
L’idea è del regista Eric Lot che ha anche realizzato le foto di copertina. Riprese, montaggio e musica sono opera sua, e credo che riesca a guardare il mondo da un punto di vista inusuale e in futuro potrà togliersi grandi soddisfazioni.
Spesso accompagni le tue presentazioni con la musica: perché questa scelta?
Perché mi piace mettere insieme arti diverse e per dare libertà di espressione al maggior numero di artisti possibile. L’interazione tra musica, colori e parole è in grado di elevare il livello dei singoli artisti, pur esprimendo sentimenti e idee diverse.Consiglio: se sei un lettore interessato ai romanzi brevi, consigliamo Il blues delle zucche.
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