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I racconti in versi di Daniele Zito

Un racconto in versi, uno scarno ma essenziale spaccato che tratteggia la banalità del male.

La pacchia non è finita, ma è appena iniziata. È una delle dichiarazioni più forti di questo libro e che dà inizio alle danze. Catapultati tra quattro amici che solo per gioco danno fuoco a una baraccopoli, diventiamo partecipi di un miscuglio di “frasi fatte”, di slogan da marciapiede, di inutile retorica sospinta dall’ignoranza. E sullo sfondo, il rimorso di uno dei quattro protagonisti, che sente il peso di un’azione vile che ha ridotto in fin di vita una bambina.

Proprio per la sua “profonda” banalità, perché il male è sempre il risultato di una superficiale lettura delle cose e dei fatti, questo libro fa riflettere. Tra queste pagine non vi è nessuna ricerca linguistica, nessun orpello, nessun dettaglio; vince la crudeltà, spicca l’ignoranza, trapela solo l’indifferenza. Anche nel tenue rimorso di uno degli incendiari si fanno spazio le giustificazioni che dovrebbero ridurre questo atto a una marachella andata male.

Daniele Zito ha raccontato in poche pagine una vicenda dei nostri tempi dando risalto al concetto di male. Ed è proprio questa prosa scarna che ci pone davanti all’essenza della malvagità che, in questo libro, non è solo “ispirata” dal contesto, ma è anche una prova di appartenenza a una comunità malata, guidata dagli slogan e immersa nella spettacolarizzazione dell’ovvietà e della banalità.

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