In corsa sull’autostrada, una telefonata dopo l’altra, per darsi un’ultima chance
“Mi faccia capire, sta fuggendo da qualcosa?”, chiede all’improvviso una delle tante voci senza volto presenti in questo libro e, quasi, verrebbe da dire che sta tutto qui, il senso di Non commettere infinito (Miraggi Edizioni), quarto romanzo di Nicola Neri. “Dalla realtà” è la risposta che arriva dall’altro capo del telefono. A rispondere è un uomo che guida come un forsennato nella notte ma sarebbe troppo semplice, finanche riduttivo, liquidare questa storia con l’aneddoto che sta alla base di ogni seduta psicoanalitica. Certo, fuggiamo tutti da qualcosa ma la fuga di Morelli – questo il nome del protagonista – descritta da Neri che, di professione, fa (anche) lo psicologo, è ovviamente un escamotage per celare intrecci e ossessioni. La storia è pressappoco questa: Morelli è un uomo di trentacinque anni e, nonostante amici, colleghi, donne, si sente infinitamente solo. “Sai dove conducono le bugie. Le bugie conducono a incidenti”, si dice a un certo punto. Guida su un’autostrada che sembra infinita e, nel tragitto, fa e riceve una telefonata dopo l’altra. Nelle conversazioni si perde e si ritrova, si confessa, si lascia andare a un flusso ininterrotto di pensieri. Vorrebbe solo schiantar-si, andare a fondo, “al centro della corrente che sembra sul punto di esplodere” ma, prima di farlo, vuole una chance, l’ultima, perché – parole sue – “poi non ce ne sono altre”.
Se la struttura della telefonata-ossessione ha tanti esempi celebri (uno su tutti il Cocteau de La voce umana), l’ambientazione, forse perché lo abbiamo da poco visto al cinema, sembra uscita da Una notte a New York, l’ultimo di Sean Penn e Dakota Johnson, girato interamente in un taxi notturno. “Ho passato tutto il pomeriggio sdraiato a letto. E perché? Il tempo. Ero sdraiato e davanti a me c’era un vecchio orologio a muro, con i secondi. O almeno, io pensavo che fossero secondi”, fa dire Neri al suo io narrante e, senza voler scomodare Proust (che, a proposito, all’improvviso appare in un personaggio, “la proustiana con la madre lontana”) e il suo concetto di tempo cronologico e lineare versus tempo interiore e oggettivo, leggendo Non commettere infinito e analizzandolo in un rapporto spazio-tempo, viene in mente il gioioso caos mentale di Zeno Cosini, soprattutto laddove il protagonista sembra rielaborare il suo passato relazionandolo alla guida tormentata della sua autovettura. Così il Morelli che, come dicevamo, crede di scappare dalla realtà, diventa una metafora del tempo che passa e noi lettori, in fondo, non possiamo fare altro che arrenderci e seguirlo nella sua spericolata avventura alla ricerca di se stesso.
Nicola Neri (classe 1992) ha una scrittura già affilata e chiara e in questo suo romanzo, a proposito di linguaggio, ha deciso di usare una lingua puramente visionaria e cinematografica, evidentemente l’unica possibile a rendere questa lunga seduta psicoanalitica “on the road” lucida e spigolosa. “Le emozioni. Da quando ricordo, io le vivo come… fossero entità esterne. Forze esterne che mi afferra-no”, dice il protagonista, a dimostrazione che il tema cardine del libro è semplicemente l’incomunicabilità con noi stessi e, ovvia conseguenza, con tutto ciò che definisce i nostri confini e che consideriamo il mondo esterno.
Il mondo ha bisogno di colori. E il musicista-pittore Andy e l’artista-scrittore Lory Muratti hanno scelto un modo assai insolito per restituirglieli: L’ora delle distanze, astronave psycho-fantasy basata su un romanzo scritto da Muratti e illustrato con i quadri di Andy (pubblicato dalla casa editrice torinese Miraggi) e su due canzoni (L’ora delle distanze e La caduta), che stasera alle 21 atterra sotto forma di reading musicale a San Salvario, sulla libreria Luna’s Torta.
Articolato nei contenuti e nel mix tra linguaggi, il progetto ha richiesto anche una lunga genesi, a partire «da un giorno del 2009 in cui Lory venne a trovarmi nel mio capannone, racconta Andy. «Eravamo bloccati dalla neve. allora tirai fuori il vecchio soggetto per un corto che era rimasto in un cassetto. Lory ha ampliato l’idea, ispirandosi e dando senso alle mie opere».
Nel romanzo va in scena una sorta di battaglia esistenziale per la salvezza di un pianeta che non sa più sognare. «Di giorno il protagonista, che è una versione di Andy, distribuisce chiazze di colore a un mondo spento, privo di slancio, corrotto», dice Muratti. «Di notte rientra nella sua casa-laboratorio e viaggia nelle “distanze”, un non-luogo in cui incontrai personaggi delle sue opere.
Il colore entra nel corpo dell’eroe attraverso un rito che mescola suggestioni ospedaliere, cyberpunk e da assunzione di stupefacenti. con tubicini che collegano l’uomo a un dipinto e a un sintetizzato re. «L’obiettivo però non è alterarne lo stato di coscienza, ma aiutarlo a una presa di coscienza», precisa Muratti. «Farlo rientrare in contatto con se stesso attraverso una sostanza innocua come il colo-re». «In particolare il fluo, che da sempre è al centro del miei lavori», aggiunge Andy, «L’immagine è senza dubbio forte, con la durezza della flebo e dell’ago in vena, e il video di La caduta che mette in scena il rito è stato bloccato da YouTube. Abbiamo dovuto spiegare il significato dell’opera per sbloccarlo. Un altro segnale dell’ipocrisia in cui viviamo: va bene caricare filmati in cui si picchiano animali, ma non mostrare un colore che entra nel corpo. Per me L’ora delle distanze è un’opera sulla risorsa dell’introspezione. Può aiutare le persone a guardarsi dentro e ritrovare quella moltitudine di colori che oggi rimangono appiattiti».
Sono sbiaditi anche nella musica? In quel Festival di Sanremo che Andy ha conosciuto di persona (nel 2001 e nel 2016 con i Bluvertigo) e che è di nuovo alle porte, per esempio se ne trova ancora traccia? «lo vedo molte chiazze interessanti», risponde il musicista. «Cristicchi, Brunori. Willie Peyote. Giorgia, soprattutto Lucio Corsi per cui farò i tifo. Avrò anche un evento in città. Sanremo è la vetrina più importante ed è riuscita ad abbassare il suo target anagrafico, anche se ci propina i singoli che dovremo sorbirci tutto l’anno. Ma fa parte del gioco e chissenefrega se i Bluvertigo sono arrivati sempre ultimi. Il problema vero della musica è nel suo disfacimento quando ci si focalizza solo sui soldi e il discografico diventa un commercialista. Noi abbiamo avuto la fortuna di emergere in un’epoca in cui si faceva ancora scouting, venivi scoperto nei club, ti davano il tempo di registrare dischi. Oggi tutto è uniforme, la velocità di consumo è allucinante e gli algorit. mi chiudono la proposta in un enorme supermercato. Un’epoca di contraddizioni, perché offre anche un potenziale tecnologico meraviglioso, che ti permette di registrare un album a casa e farlo ascoltare autonomamente in Giappone.
Iper-autonomo e dal respiro indipendente è anche il progetto L’ora delle distanze, che 15 anni dopo la prima scintilla tra la neve della Brianza continua a crescere e mutare forma. «In questo mini-tour proponiamo un reading con sottofondi musicali». dice Murati. «Un’anteprima dello spettacolo teatrale che stiamo preparando per la primavera».
“Per passare meglio la notte, per non avere più paura del buio”. Immaginate di trovarvi in un’ambiente dominato da un grigiore opprimente, in cui le emozioni sono annichilite da un sentimento di rassegnazione angoscioso e angosciante: un luogo non così dissimile da molteplici realtà urbane in cui siamo calati. In questa dimensione, che un tempo sarebbe stata etichettata come distopica, si muove Fluon, uomo tra gli uomini e protagonista di L’ora delle distanze, il nuovo romanzo breve di Lory Muratti illustrato da Andy dei Bluvertigo e uscito a settembre 2024 tramite Miraggi Edizioni assieme a un 45 giri strettamente connesso alla storia raccontata.
Una dimensione distopica in realtà esiste e si rivela nel momento in cui il protagonista rientra a casa la sera ed assume un’identità completamente diversa, variopinta e glamour, proiettandosi proprio nelle Distanze, un luogo che ricorda da vicino il Paese delle Meraviglie in cui si muoveva l’Alice di Lewis Carroll, quanto a bizzarrie di luoghi e personaggi.
Maestro del colore a sua insaputa e creatore delle Distanze, Fluon si trova catapultato ogni notte in questo non luogo dalle tinte accese per ritrovare se stesso e un’umanità perduta che si fa carne in ogni pagina grazie alle illustrazioni vivide di Andy. Il protagonista esplora questo mondo nascosto, imparando a riconnettersi con i frutti della sua mente e con le sue emozioni, a tratti traumaticamente rimosse: saranno i personaggi che incontra lungo intricati corridoi e oltrepassando porte e stanze a guidarlo, e a dargli lezioni di vita da conservare, una volta tornato alla realtà.
In alcuni capitoli incontriamo personalità geniali, come il Killer del Phon, che ci permettono di trovare gli antidoti a una realtà tristemente spenta, sia tramite dialoghi accesi sia tramite passaggi necessariamente dolorosi come nell’Interludio Fucsia, capitolo particolarmente commovente in cui per la prima volta affiora il vissuto di Fluon.
Muratti adotta una prosa variegata e piacevole, mai scontata. Sa raccontare in modo leggero rimanendo denso, tanto che L’ora delle distanze si finisce in un giorno e vien voglia di rileggerlo per trovare al suo interno ulteriori significati. Gradevolissima la scelta editoriale della pagina su due colonne corredate dalle tavole di Andy, come tocco esteticamente accattivante e come invito a spogliarsi delle maschere di cinismo che ci circondano per riscoprirsi vivi.
Andando invece ad ascoltare l’EP che accompagna il romanzo, pubblicato da Riff Records anche in vinile colorato, il primo singolo estratto riprende il titolo del libro e ne descrive il contesto diurno, avvisandoci che verrà presa una nuova consapevolezza ed una nuova direzione. La notte sarà il momento in cui poter ancora sognare e piantare i semi di una ribellione possibile dal punto di vista umano. In La caduta invece i toni sono particolari, finanche pop nel ritornello, capace di imprimersi in testa sin dal primo ascolto. Il sax di Andy crea un’atmosfera noir estremamente piacevole accompagnandoci dentro la controrealtà delle Distanze, con un gusto per gli anni Ottanta riscontrabile anche dall’uso sapiente dei synth.
Lory Muratti, oltre che scrittore e musicista, è anche un visual artist e un attore: chi ha partecipato ai suoi monologhi – concerto sa che ci si può aspettare di essere attratti da tutte le sue declinazioni artistiche. Da qualche giorno, lui ed Andy stanno portando in giro il talk & sounds incentrato sul romanzo: per chi si accosta per la prima volta all’autore sarà una scoperta, per chi conosce già il suo modo di stare sul palco invece sarà un’ottima conferma.
Nasce dal dissenso l’urgenza della scrittrice ceca Radka Denemarková di comporre un romanzo-tempio sulla Cina, dopo viaggi e incontri che l’hanno portata a riflettere sullo scarto tra la percezione di sfaldamento e trasformazione sociale e la rappresentazione di equilibrio e armonia. Le tetre affinità con un’idea di controllo collettivo vissuto nella Cecoslovacchia della normalizzazione producono nella scrittrice un senso di contaminazione, in un “vortice di censura e autocensura”. Voce di spicco del dibattito pubblico ceco, Denemarková è autrice di saggi, opere teatrali, romanzi, e traduttrice di Tokarczuk, Müler e Stavaric.
Ha ottenuto per la quarta volta il prestigioso Magnesia Litera con Ore di piombo, costato il bando perpetuo dalla Cina, anche per la vicinanza con gli attivisti del manifesto Charta 08 (ispirato alla Charta 7 dei dissidenti cecoslovacchi). Definito un romanzo di perenne stupore, di dialoghi socratici, di domande, iniziazioni e variazioni dolorose, è un “peculiare diario di viaggio nell’anima dell’Europa e nell’anima di un pezzo d’Asia”. Con un racconto fluviale strutturato su stratificazioni di storie di soggetti che incarnano visioni agli antipodi e con una narrazione dal passo apparentemente favolistico in cui si avvicendano Scrittrice, Ragazza Cinese, Madre Cinese, Programmatore, Diplomatico, Studentessa Americana, Avvocato, etc., l’opera riflette sugli esiti individuali e collettivi dei totalitarismi. Denemarková si approccia a questo tema faustiano, polisemico, archetipale vestendolo di nuovo”, attraverso lo studio narrativo di “questo animale che chiamiamo società, in un romanzo di concreto realismo e infusa astrazione”. Tra diario di viaggio, romanzo corale, saggio filosofico, studio poetico, indagine sociologica, il romanzo si regge su frammenti ricomposti del dialogo aperto tra Oriente e Occidente da cui emerge una vicinanza di destini per condizionamenti famigliari, alienazione contemporanea, confinamento nella norma, logoramento delle reti sociali canonizzate dalla parvenza coesa. L’opera è intesa come un corpo vivo in trasformazione e risponde a impulsi diversi a seconda dei luoghi e dei tempi che abita. Ala crisi dell’individuo che si riverbera anche nelle arti e, in particolare, nella letteratura, Denemarkova contrappone l’esempio di Václav Havel, a cui si ispira nel misurare il rigore etico di un paese. Tra le influenze il realismo russo; le visioni kafkiane dell’intrico inquieto originato da un cocente smarrimento esistenziale tra incognite spirituali; lo studio dell’anomalia in Bernard, in particolare nelle riflessioni sull’isolamento e l’annientamento dell’essere umano nel racconto della solitudine in rapporto al paesaggio. La peculiare visione del tempo nell’opera, che a tratti abbandona la presa sul contemporaneo in favore di una fratturazione del discorso lirico in movimenti, cela rimandi alla poesia ceca proletaria, surrealista, civile. L’elogio della dissonanza riluce in un’opera maestosa, che si contrae in un’espressività minimalista di gusto orientale nel cogliere sfumature recondite dell’animo, e si espande in un flusso di storie interconnesse, descrizioni urbane, affreschi sull’irrequietezza, dissertazioni ideologiche.
Il titolo omaggia Dickinson e rimanda alla sensazione di scrivere con il piombo intorno ai polsi. Nel bilico tra adesione al noto e aperture fantastiche, la presenza animale evoca una tensione tra libertà e controllo simboleggiata da cornacchie nere, gazze azzurre e gatti sapienti. Il riconoscimento della coesistenza in Cina di socialismo e capitalismo, e la sua definizione come uno splendido campo di concentramento dai confini impermeabili e al contempo un giardino fiorito, passano attraverso l’analisi dell’Europa centrale per riflettere sul significato della propaganda nel trasfigurare gli eventi, e della menzogna come un “camaleonte non rieducabile”. Denemarková riconosce una comunanza tra il ciclo di singole vicende esistenziali e quello della storia dell’umanità, in bilico tra atrocità e rinascite, in una vana ricerca identitaria. Nel confronto tra realtà diverse, la cifra comune è l’impronta patriarcale nei condizionamenti individuali, nelle politiche sociali, nel controllo del concepimento: “Lo Stato si pianta a gambe divaricate davanti a un corpo e decide”. Immortala un’umanità malata di burn-out, infettata da razzismo, antisemitismo, sessismo e zelo patriottico, a cui contrappone l’appiglio fornito dalla scrittura come atto di difesa, come fuga dalla disperazione e come tentativo di decifrare il codice della solitudine delle parole”. L’opera è un ritratto allucinato di paesi dal personale Olocausto, dotati di un subconscio dove prospera la mentalità dei popoli: uno studio che con una lirica cifra visionaria consegna interrogativi su ciò che sostanzia la moralità, sull’autorità della coscienza e sulla fusione della crisi dell’individuo con la crisi dell’umanità.
Ore di piombo di Radka Denemarková, edito in Italia da Miraggi Edizioni, è un romanzo mastodontico e denso che intreccia le storie di vari personaggi provenienti da Europa, America e Cina. L’autrice riflette su come le loro vite si incrocino e si trasformino in un contesto globale di tensioni, disuguaglianze e lotte per i diritti umani.
Tra le figure centrali troviamo uno scrittore ceco, un diplomatico, una giovane studentessa americana e imprenditori che navigano nella complessità della Cina contemporanea. La narrazione è guidata da Scrittrice, un alter ego che rappresenta la coscienza democratica e la resistenza intellettuale. Il titolo stesso, Ore di piombo, richiama una condizione di stasi e apatia che si ispira alla poesie di Emily Dickinson in cui l’ora di piombo rappresenta un momento di paralisi emotiva e morale. Questo tema permea l’intero romanzo, simboleggiando una società globale intrappolata tra oppressione politica, consumismo e perdita di ideali.
I temi principali del romanzo
Denemaková esplora le intersezioni tra Oriente e Occidente, mettendo a nudo le ipocrisie e le somiglianze tra due mondi che si percepiscono come opposti. Da una parte c’è l’Europa, che appare stanca e consumata, incapace di difendere i suoi valori democratici; dall’altra, la Cina, rappresentata come un colosso in rapida crescita ma soffocato da un controllo oppressivo.
La globalizzazione, lungi dall’essere un processo armonioso, diventa nel romanzo un meccanismo che amplifica le disuguaglianze e porta a una colonizzazione culturale reciproca. Un elemento chiave del romanzo è l’analisi della violazione sistematica dei diritti umani, in particolare in Cina, ma con riferimenti anche ai fallimenti delle democrazie occidentali. La figura di Scrittrice diventa quindi un simbolo della lotta contro le ingiustizie, un richiamo all’impegno intellettuale e alla necessità di alzare la voce contro ogni forma di oppressione.
I personaggi del romanzo vivono una profonda alienazione, non solo geografica ma anche interiore. Il trasferirsi da un continente all’altro non porta soluzioni, ma acuisce il senso di estraneità. Questa perdita di radici e identità è descritta con una precisione dolorosa, riflettendo una condizione universale nel mondo contemporaneo.
L’ora di piombo è arrivata per tutti noi. Non ci sono eroi, solo sopravvissuti.
I personaggi e il loro sviluppo
I personaggi, sebbene diversi per background e motivazioni, condividono una condizione di fragilità. Scrittrice è il fulcro morale e intellettuale del romanzo, una figura che incarna la necessità di resistere all’indifferenza e di agire in nome della giustizia.
Il diplomatico e l’imprenditore ceco rappresentano due facce dell’Europa contemporanea. il primo cerca di mantenere una facciata di ordine, mentre il secondo è attratto dalle opportunità economiche della Cina, ignorandone le implicazioni etiche.
E, infine, la studentessa americana è un simbolo della giovinezza globale, intrappolata tra l’idealismo e la rassegnazione.
Ogni personaggio riflette le contraddizioni di un mondo interconnesso, ma frammentato.
Non importa dove vai: l’oppressione si nasconde ovunque, sotto maschere diverse.
Stile di scrittura e tematiche filosofico-politiche
Radka Denemarková adotta uno stile ricco e stratificato, intrecciando citazioni filosofiche e letterarie (Confucio, Václav Havel, Emily Dickinson) con dialoghi incisivi e descrizioni vividissime, che incantano il lettore. La narrazione è frammentaria, una scelta che rispecchia la complessità del mondo che descrive, dove ogni storia individuale è un tassello di un mosaico più grande.
L’autrice utilizza un linguaggio visionario, poetico, che invita il lettore a riflettere oltre la superficie. La struttura, tuttavia, può risultare impegnativa, perché richiede attenzione e una certa familiarità con i temi trattati per cogliere appieno la portata del romanzo.
La scrittrice non si limita a raccontare una storia: il suo romanzo è una meditazione sulla condizione umana in un’epoca di grandi cambiamenti. I riferimenti a filosofi e scrittori non sono mai decorativi, ma strumenti per ampliare la portata della narrazione. La tensione tra libertà e controllo, tra progresso e perdita di valori, è costante e viene esplorata con una profonda rarità.
Radka Denemarková
Nata nel 1968, è una delle scrittrici ceche più celebri e influenti della scena contemporanea, nonché figura di spicco nel dibattito politico e culturale del suo paese. Autrice versatile, ha scritto tantissime cose tra cui romanzi, saggi, opere teatrali e sceneggiature. Oltre a essere un’affermata traduttrice di letteratura tedesca, con autori di rilievo come Herta Müller e Michael Stavaric.
Denermarková ha studiato letteratura ceca e tedesca presso l’Università Carlo IV di Praga e lavora come ricercatrice presso l’istituto di Letteratura Ceca dell’Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca. La sua abilità artistica e intellettuale le ha permesso di ottenere per ben quattro volte il prestigioso premio letterario Magnesia Litera. Le sue opere sono tradotte in oltre venti lingue, hanno ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali, tra cui il: Literary Prize of Styria e il Brücke Berlin Preis nel 2022 e l’Austrian Franz Kafka Preis e l’European Tolerance Price nel 2024.
Il suo impegno politico e le sue posizioni critiche nei confronti del governo cinese l’hanno condotta al bando perpertuo dalla Cina nel 2017, ben prima della pubblicazione di Ore di piombo.
In conclusione
Ore di piombo è un romanzo complesso, che richiede impegno, ma ripaga con una prospettiva unica e profonda sul mondo contemporaneo. La scrittura di Dernemarková è potente e stimolante, capace di catturare la mente e il cuore.
Ore di piombo è un’opera visionaria che intreccia storie personali e collettive per riflettere sulle tensioni di un mondo globalizzato. Con una scrittura densa e ricca di significati, Radka Denermarková offre un romanzo che non solo intrattiene, ma invita alla riflessione. Una lettura impegnativa, ma imprescindibile per chi cerca opere che esplorano le complessità del nostro tempo.
Due romanzi pubblicati di recente – Un sogno cosi di Paolo Colombo (Feltrinelli) e Il cimitero delle macchine di Sergio La Chiusa (Miraggi, pagg. 392, € 26) – forniscono l’occasione per comprendere fino a che punto la città di Milano continui a trovarsi al centro del dibattito sulla modernità nella sue forme utopiche e distopiche. Sara certo un caso, ma in entrambi la vicenda narrata comincia dal Giambellino, un quartiere già raccontato dalla penna trasognata e dialettale di Giovanni Testori e dove negli anni 50 sarebbe stato facile incontrare il Cerutti Gino, l’inconsapevole eroe della canzone di Gaber, un po’ ganzo e un po’ tonto, sicuramente dentro il clima di un’epoca che faceva delle periferie il luogo di maggiore impatto antropologico.
[…]
Ogni medaglia però ha sempre due facce e qualcosa ci dice che anche il romanzo di Sergio La Chiusa contiene una profonda verità, tanto più necessaria se si considera che con il suo libro siamo arrivati ai titoli di coda del Novecento e quelle stesse macchine, intorno alle quali era stata costruita la nuova, indistruttibile civiltà, adesso sono finite nel grande cimitero del postmoderno, corrose dalla ruggine, simili a oggetti di un sogno infranto perché maldestro. È questa l’impressione che si ricava seguendo l’itinerario allucinato di un personaggio che si fa chiamare Ulisse (mai nome poteva calzare meglio) strizzando l’occhio a quell’altro Ulisse che aveva inaugurato il precedente secolo percorrendo le strade di Dublino), sicché balza subito evidente che la corrosività con cui l’autore affronta la stagione del disincanto, diciamo anche l’approccio apocalittico della sua prosa labirintica e canzonatoria provoca un segnale di sfiducia nei confronti di quel modo d’essere occidentali senza regole e senza morale, il capitalismo darwiniano (e non quello vegetale, come invece scriverebbe Luigino Bruni), dove le società sono rimaste intrappolate da ciò che appariva sogno e invece si è poi tradotto in incubo. Siamo già nel post-occidente. Seguire le orme di questo
Ulisse nella città che si fregiava d’essere capitale del Paese, frenetica e produttiva ma pur sempre capitale morale, equivale a compiere una specie di via Crucis nella disperazione degli ultimi, degli invisibili, dei rimossi, quelli che sperimentano il risveglio senza futuro all’alba del day after, quando Milano ha perduto l’immagine scintillante della moda e, guardandosi allo specchio, si e scoperta somigliante a un immenso cantiere, dove però non si costruisce più niente. A un certo punto del suo vagare questo Ulisse si imbatte nella statua malridotta di un angelo e si chiede che senso ha il suo apparire in un angolo remoto del Cimitero Monumentale, tra le tombe delle grandi famiglie imprenditoriali, i Falck, i Pirelli, i Campari, quelle del boom. E si chiede: «L’angelo della storia, non più in volo, ma esautorato, chiuso in un ripostiglio e decollato, così che non registri nemmeno le rovine che produce e s’accumulano al suo passaggio?» Chissà quale commento avrebbe fatto Walter Benjamin sentendosi tirato in causa.
Con il nome che si ritrova, Ulisse Corsini non può che essere il degno erede di quella tradizione modernista che comprende il Leopold Bloom dello Ulysses joyciano e lo Zeno Cosini della Coscienza di Zeno di Italo Svevo. Nel Cimitero delle macchine di Sergio La Chiusa, tuttavia, si sente anche il peso del secolo che ormai ci separa da questi testi canonici del primo Novecento europeo, cui bisogna perlomeno aggiungere il riferimento kafkiano contenuto nel nome di un altro personaggio, il dottor Klammermann (dal Klamm del Castello). Nel frattempo sono intervenuti, tra gli altri, Buzzati e soprattutto Bianciardi – per la Vita agra, rispetto all’ambientazione milanese del romanzo, dove Milano non è “capitale morale” del Paese, bensì il luogo fantasmagorico e al tempo stesso crudo del titolo: un “cimitero delle macchine” –, come ha notato, tra gli altri Gianni Barone, parlando di un testo che, effettivamente, «gronda letterarietà da ogni pagina».
Questo non significa, d’altra parte, che la scrittura di Sergio La Chiusa manifesti strette affiliazioni epigoniche ai suoi modelli, risultando invece libera dagli stilemi più marcati del modernismo e risolvendosi, anzi, in una pagina che è spesso molto nitida, per quanto costantemente attraversata da potenti tensioni linguistiche. Si tratta, infatti, di una scrittura che tende verso l’orizzonte del nuovo Grande Romanzo Italiano, ma all’interno di una torsione della lingua che rifugge le banalità formali di molta altra prosa, per così dire, “mainstream”, per assestarsi in una zona superficialmente pacificata e in realtà foriera di continue deviazioni, trasgressioni, illuminazioni. Si sta dicendo, in altre parole, di un disegno e di un controllo autoriale già visibile nelle ultime pubblicazioni di La Chiusa – I Pellicani (Miraggi, 2020) e Madre nel cassetto (Industria & Letteratura, 2023) – e che di certo attiene a un progetto autoriale di lunga data, visto che l’ideazione dell’opera viene ricondotta, nelle note finali, al biennio 2003/2005.
Rispetto al precedente libro per Miraggi, Giorgio Mascitelli ha poi osservato, nella sua recensione apparsa su “Nazione Indiana”, che «se ne I Pellicani ci troviamo in una generica periferia urbana, in questo romanzo l’azione si svolge a Milano, che nell’immaginario mediatico nazionale è la città patinata e nuova di zecca per eccellenza». Anche di Milano, in realtà, sono esplorate zone periferiche e marginali – quasi mai rintracciabili con certezza a livello topografico, o sociologico, nella realtà della città lombarda – che finiscono per intaccare la patinatura di capitale “morale”, “degli affari” o “della moda”.
Una di queste è il cimitero delle macchine che dà il titolo al libro e che compare con espressionistica forza in apertura della seconda parte del romanzo come una corte dei miracoli anarcoide e incendiaria nella quale spicca il personaggio di Lazzaro Lanza – figura borderline (e dunque delirante e al tempo stesso umanissima, per nulla caricaturale) del militante rivoluzionario. È sul medesimo livello che resta una possibile interpretazione della politica rappresentata e agita nel testo, con implicazioni più vicine a una sorta di pessimismo umanista che a un vero e proprio nichilismo. Le traiettorie di Ulisse e Lazzaro si sovrappongono per buona parte della seconda sezione, con almeno una scena che si imprime vividamente nell’immaginazione, almeno nella nostra lettura, ovvero con la riproposizione milanese di un novello Cristo a dorso d’asino che replica l’Entrata di Cristo a Bruxelles nel 1889 di James Ensor.
Capolavoro pre-espressionista, quest’ultimo, la cui presenza para-ecfrastica rinforza le torsioni espressionistiche del linguaggio che si agitano sotto la superficie della pagina, assai ripulita, di La Chiusa. Non è questa, tuttavia, la sola immagine che si può consegnare, in chiusura, del libro: di Ulisse Corsini restano memorabili le disavventure condominiali, sessuali e sanitarie, a completare la figura di un personaggio che a un certo punto, in un passaggio carico non solo di letterarietà ma anche di metaletteratura, viene definito “posticcio e inattendibile”, ma che mostra, proprio per questo, mille sfaccettature (spesso molto materiali, e anche triviali). Ulisse Corsini è senza dubbio un “fuggiasco assoluto”, come ha giustamente osservato Mascitelli, ma sempre umano, umanissimo, al punto da contagiare chi legge con l’insopprimibile desolazione che è tanto sua quanto del cimitero delle macchine che, oggi, si nasconde in ogni nostra città.
Il brano – il cui video è girato al celebre Plastic di Milano – è tratto da ‘L’ora delle distanze’ il libro e disco che vede la collaborazione tra i due artisti.
Un salto temporale. Seguito da un tuffo vertiginoso in un mondo elettrico e caleidoscopico. Sono le sensazioni che restituisce La caduta, il nuovo singolo che, a dirla tutta, nuovo non è ma inedito sì, di Lory Muratti e Andy dei Bluvertigo, mentre ci catapulta in un universo sospeso nel tempo e nello spazio. Un progetto visivo, nato due decenni fa e che ancora oggi pulsa con immutata potenza, viene ora arricchito da una nuova tappa con il videoclip “lungo vent’anni” dopo che era stato messo in letargo per così tanto tempo. Non per consunzione, ma perché è come se aspettasse il momento giusto per risorgere.
A dare il via al revival visionario L’ora delle distanze, il libro pubblicato dal duo lo scorso settembre (Miraggi Edizioni), che ha riportato in superficie quelle canzoni e quelle immagini che sembravano evaporate. Non era così. È bastato che tornassero a guardarsi dentro: «E lì, nelle nostre profondità – raccontano i due artisti – che si annidano le forze e la voglia di continuare controcorrente. Farlo tendendo una mano a chi ci è accanto, ascoltando e condividendo il percorso, è più facile e ha un senso ancora più profondo». Infatti il romanzo era una sorta di porta d’ingresso per una “contro-realtà” affollata di personaggi post-punk, glamour e rock’n’roll, anime ribelli e colorate che si muovono come ombre danzanti tra le opere fluo create dallo stesso Andy. In perfetto stile Muratti & Bluvertigo, L’ora delle distanze è anche un vinile 45 giri (Riff Records/the house of love), per chi vive di musica ancora in parte tattile e dalle distorsioni vintage, e poter «immaginare un presente dove i sogni e il colore resistono contro una realtà sempre più corrotta e in bianco e nero».
Per celebrare il ritorno, Muratti e Andy hanno scelto un luogo simbolo della notte milanese come il Plastic, in occasione della one-night Popstarz Memorabilia. Qui, in uno spazio-tempo che si avvolge su se stesso, vecchie e nuove immagini si mescolano, creando una realtà alternativa, e dialogano con i riverberi delle immagini di loro stessi nel passato, in un affascinante gioco di specchi. Nel videoclip li accompagnano la performer Xena Zupanic e il Principe Maurice, figure tanto enigmatiche quanto potenti. Presenze che, come spettri dall’aria nostalgica e abbacinante, popolano anche le pagine del libro. Il risultato? Una festa per gli occhi e la mente. Da usare con cautela, però, il rischio è di non riuscire più a tornare nella realtà. Non a caso, già il romanzo ci metteva in guardia: «Le voci arrivano sempre più chiare. Non sono più solo e proseguo verso nuovi incontri e nuove speranze che tengono impegnate la testa e le mani con le quali mi diverto a disegnare per aria. Adesso che ricordo di saperlo fare, non ho più alcuna intenzione di smettere. Ci sono notti in cui gli oggetti cadono e questa è decisamente una di quelle».
Il brano parla di presenze che abitano nelle profondità della mente del protagonista e di tutti coloro che vorranno lasciarsi cadere in un vortice luminoso
La Cadutaè il nuovo singolo di Lory Muratti & Andy Bluvertigo. Il brano è incluso nel 45 giri L’ora delle distanze stampato su vinile colorato e pubblicato in Ottobre da Riff Records / the house of love.Disponibile per l’acquisto anche in bundle con il romanzo scritto da Muratti e illustrato da Andy: https://linktr.ee/muratti_andy Dopo la pubblicazione del romanzo illustrato L’ora delle distanze” (Miraggi Edizioni) e del primo omonimo singolo, Lory Muratti & Andy Bluvertigo proseguono il loro percorso condiviso rendendo disponibileLa Caduta.
La cadutaci porta nel cuore delleDistanzeovvero in quella “contro-realtà” fatta di personaggi post-punk, glamour e rock’n’roll, coloratissimi, irriverenti e imprevedibili raccontati fra le pagine del libro.Figure che diventano specchi di quello che siamo. Presenze che abitano nelle profondità della mente del protagonista e di tutti coloro che vorranno lasciarsi cadere in un vortice luminoso perché, come recita il testo della canzone: “Se le cose cadono, non è molto strano che io abbia in mente te che ti sai rialzare”.
Lory Muratti e Andy Bluvertigo tornano a parlare di speranza dando voce al sogno in risposta a coloro che in questo tempo ci vorrebbere sconfitti, caduti a terra invece che dentro noi stessi, alla ricerca del coraggio per rialzarsi sempre: “E lì, nelle nostre profondità – raccontano i due artisti – che si annidano le forze e la voglia di continuare contro-corrente. Farlo tendendo una mano a chi ci è accanto, ascoltando e condividendo il percorso, è più facile e ha un senso ancora più profondo”. Un progetto fuori dagli schemi, nato dalla voglia di“immaginare un presente dove i sogni e il colore resistono contro una realtà sempre più corrotta e in bianco e nero”. L’ora delle distanze è un viaggio psychofantasy, dark e pop al contempo in cui musica, letteratura e pittura si fondono. Un libro scritto da Lory Muratti, ispirato e illustrato dai quadri visionari di Andy e due brani realizzati a quattro mani che compongono il doppio Lato A dell’omonimo 45 giri. Un lavoro interdisciplinare che si appresta a diventare anche un evento live in equilibrio tra concerto, teatro, installazione e Dj set. Un’esperienza multimediale pensata per coinvolgere più sensi e per essere vissuta in profondità: “Le voci arrivano sempre più chiare. Non sono più solo e proseguo verso nuovi incontri e nuove speranze che tengono impegnate la testa e le mani con le quali mi diverto a disegnare per aria. Adesso che ricordo di saperlo fare, non ho più alcuna intenzione di smettere. Ci sono notti in cui gli oggetti cadono e questa è decisamente una di quelle”.
ignificati inaccessibili solcano le pagine di Ore di piombo, colossale, coraggiosa e inesorabile opera di Radka Denemarková. Un libro con un destino, intessuto di simboli, visionario, complesso e affascinante, intriso di rara purezza. “È possibile vivere e scrivere allo stesso tempo?” si chiede l’autrice. Un contrasto apparentemente insanabile. “Scrivere, l’incessante attività della sua mente, è una stretta passerella sopra la voragine”. Per farlo, forse, occorre vivere “in un duplice tempo, in un duplice mondo”. Dicotomia simboleggiata dal grido lacerante della gazza azzurra, condannata a soffrire per ciò che è destinata a vedere, e dalla cecità della cornacchia nera, alla quale hanno fatto il lavaggio del cervello. Denemarková si muove in equilibrio su un abisso. Da un lato Praga, dall’altro Pechino. Nel mezzo un filo sottilissimo e periglioso. La sua scrittura assume forme inconsuete nel tentativo, perfettamente riuscito a nostro avviso, di fornire al testo pregnanza polisemica.
Entrare in un’altra cultura è quanto di più arduo si possa immaginare. Forte di un universo interiore di inconsueta profondità e di un’esperienza diretta sul campo, Denemarková – Scrittrice nel libro – indaga le dinamiche che muovono la società cinese per riflettere sul mondo contemporaneo. L’ambientazione “esotica” intride di fascino la narrazione, dietro l’atmosfera fiabesca il libro è ben radicato nel reale. L’autrice ha vissuto in prima persona il totalitarismo. La Cina di oggi, come la Cecoslovacchia sovietica, è un luogo nel quale nessuno esprime la propria opinione e, quando si azzarda a farlo, ne paga le conseguenze con il sangue, come è accaduto in Piazza Tienanmen; un Paese dove le intercettazioni sono sempre più sofisticate, dove “il sistema legale difende solo coloro i cui profitti lievitano”. “La Cina è un campo di concentramento dai confini impermeabili”. Denemarková ricorda la primavera di Praga, soffocata dai carri sovietici, eppure c’è ancora chi pensa di aver assistito a una liberazione, e non a un’occupazione. Riflessioni che possono applicarsi all’attuale invasione dell’Ucraina da parte della Russia. “La propaganda è una menzogna collettiva e le calunnie collettive non c’è modo di estirparle”.
A tal punto arriva la manipolazione delle menti. In una realtà in cui l’unica virtù è l’obbedienza, l’accettazione acritica, le persone non rieducabili vengono estromesse e annientate con il sospetto e la calunnia. Il controllo delle menti è anche manipolazione dei corpi. Ai condannati vengono espiantati gli organi. “Una voce legge davanti al corpo mutilato la sentenza”. Il sistema indirizza la vita privata. Il governo cinese detta il numero dei figli, e quindi le dinamiche familiari. Di tutto questo la donna è vittima, schiacciata da un modello patriarcale che non le lascia spazio, né le riconosce dignità.
L’incapacità dell’uomo di imparare dai propri errori è un fardello arduo da sopportare, in quanto mortifica qualsiasi speranza. Il libro non resta confinato a un singolo angolo geografico, per quanto immenso, ma è caratterizzato da una continua erranza, anche temporale, che ci trasporta dalle lande del lontano oriente ai paesaggi dell’Europa dell’est, dal passato al presente. Gli anni Novanta appaiono come un’orgia di potere, dominata dall’ossessione del comando e del denaro. Città elefantiache e impersonali, coperte da una perenne coltre di smog, racchiudono esseri sbiaditi, privi di personalità. Le tecnologie moderne, sempre più sofisticate, intossicano gli uomini finché questi non riescono più a distinguere fra gioco e realtà.
Stilisticamente il linguaggio ricchissimo, potente e visionario, così come le prospettive illimitate, possono ricordare gli universi barocchi creati da Vollmann. Il libro è un romanzo con derive saggistiche, pregno di riflessioni sulla politica, sulla natura del linguaggio e sulla calligrafia, un mondo di enorme vastità nel quale perdersi. La Cina è uno specchio dove vediamo riflesse le nostre paure, i nostri dubbi, le contraddizioni che lacerano la realtà in cui viviamo. Le tematiche della modernità si addensano in un affresco di enorme complessità. L’architettura stratificata, labirintica della narrazione addita le lacerazioni e i mutamenti che scuotono il nostro pianeta. Quali saranno gli esiti e le conseguenze, quando passeranno le ore di piombo evocate dal titolo, è l’interrogativo principale del libro. “La letteratura è la chiave per arrivare alle vite degli altri”. La parola è un’arma potente. Per questo i libri considerati nocivi vengono tratti al rogo, per questo libraie appassionate vengono torturate e offese, per mortificare ogni anelito libertario.
La Cina appare come un disumano meccanismo kafkiano, oppressivo e avido, mentre gli individui svaporano in un nulla colmo di apatia. Anche l’Europa si sta sgretolando, aggredita dalla paura. Le persone sono terrorizzate, i cuori anestetizzati dal capitalismo sfrenato. La divisione fra noi e loro impedisce qualsiasi forma di comunicazione con l’altro. “Si ripete un modello che ha funzionato nel corso di tutta la storia umana. La disumanizzazione”. Con grande coraggio Denemarková vuole dire tutto, desidera attingere alla verità, è stanca di tacere, perché anche il silenzio è menzogna. La cornacchia nera cava gli occhi alla gazza azzurra, incarnazione dell’anima inquieta dei defunti. Esiste la vita ed esiste la morte, e poi c’è la non vita a minacciare il nostro tormentato presente.
Riportiamo di seguito il comunicato stampa della Fondazione Cini, organizzatrice del Premio Benno Geiger per la traduzione poetica.
La cerimonia di premiazione si svolgerà lunedì 11 novembre 2024 alle ore 17 presso la Fondzione Cini, a Venezia, sull’Isola di San Giorgio Maggiore.
Venezia, Isola di San Giorgio Maggiore
Sala del Soffitto
11 novembre 2024, ore 17:00
Daniele Ventre e Martina Napolitano vincono il Premio per la Traduzione Poetica ‘Benno Geiger’ conferito dalla Fondazione Giorgio Cini
La premiazione dei due traduttori avverrà lunedì 11 novembre 2024. Per l’occasione l’ispanista Pietro Taravacci terrà una prolusione sul tema della traduzione poetica. Conferite inoltre quattro menzioni speciali e la borsa di studio trimestrale. Annunciati i nuovi bandi 2025.
Daniele Ventre vince all’unanimità il Premio per la Traduzione Poetica ‘Benno Geiger’2024 con la raffinata traduzione dell’Odissea di Omero (Ponte alle Grazie Editore, 2023). A ricevere invece il Premio “Giovane Traduttore” 2024 è Martina Napolitano per il suo lavoro sul Trittico di Saša Sokolov (Miraggi Edizioni, 2024). I due traduttori verranno premiati lunedì 11 novembre alle ore 17:00 nel corso di una cerimonia presso la Sala del Soffitto della Fondazione Giorgio Cini.
Entrambi gli studiosi vantano un’ampia esperienza professionale nel campo della traduzione.
Daniele Ventre (Napoli, 1974) è dottore di ricerca in Filologia classica presso l’Università Federico II di Napoli e insegna lingue classiche nei licei. Ha pubblicato numerose traduzioni dal greco e dal latino e nel 2021 èrisultato vincitore del Premio Nazionale Speciale per la Traduzione, conferito dal Ministero della Cultura.
Martina Napolitano (Pordenone, 1992) è ricercatrice in Slavistica presso la Sezione di Studi in Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori dell’università di Trieste, dove insegna lingua russa e traduzione.
Il Premio Geiger
La Fondazione Giorgio Cini ha istituito nel 2014 il premio internazionale di traduzione poetica in memoria di Benno Geiger, dal valore di quattromila euro, per volontà testamentaria della figlia Elsa Geiger Ariè, per valorizzare e studiare il fondo letterario del padre, da lei stessa donato alla Fondazione alla fine degli anni ’70.
Benno Geiger (1882-1965), scrittore e critico d’arte austriaco, è autore, oltre che di importanti scritti di storia dell’arte e di poesie, di pregevoli traduzioni in lingua tedesca di alcuni classici della poesia italiana tra i quali la Divina Commedia di Dante Alighieri, il Canzoniere e i Trionfi di Francesco Petrarca. Visse per gran parte della sua vita a Venezia e ne divenne cittadino adottivo.
Il fondo Geiger, da allora conservato sull’Isola di San Giorgio Maggiore, comprende lettere, pubblicazioni, fotografie, bozze, appunti. La parte più consistente sono le lettere che l’intellettuale scambiò nel corso della sua vita con oltre cinquecento corrispondenti autorevoli: da Hofmannsthal a Rilke, da Kokoschka a Bernard, da Perosi a Bossi, da Pascoli a Borgese e Comisso. Alle lettere si aggiungono alcune pubblicazioni di Geiger, manoscritti preparatori delle sue traduzioni in tedesco, corrispondenza con gli editori e altro materiale minore. La Fondazione custodisce un ritratto di Benno Geiger dipinto da Emile Bernard, anch’esso dono della figlia Elsa.
La cerimonia di premiazione l’11 novembre 2024
Questa undicesima edizione del Premio ha ricevuto settantaquattro opere da quarantasette case editrici differenti, dalle più grandi e generaliste alle più piccole e indipendenti. Le lingue d’origine delle traduzioni coprono un grande ventaglio, dall’inglese al greco antico, dal portoghese al gaelico scozzese.
Sottolinea Renata Codello, Segretario Generale della Fondazione Giorgio Cini: «La significativa partecipazione al Premio Geiger è prova della vitalità del settore editoriale da parte di giovani traduttori e riflette il grande interesse per una iniziativa così prestigiosa parte della nostra tradizione. Ancora una volta la Fondazione Giorgio Cini si conferma un punto di riferimento e tiene fede alla sua vocazione di luogo di ospitalità per studiosi e ricercatori che qui possono risiedere per brevi o medi periodi e trovare un patrimonio a cui attingere per i propri studi».
La giuria del Premio Geiger, presieduta dal filologo Francesco Zambon, è composta da scrittori, critici, docenti universitari ed esperti di traduzione: Elena Agazzi, Franco Buffoni, Snežana Milinković, Alessandro Niero e Pietro Taravacci.
Visto il numero di candidature ricevute, superiori a qualunque altra edizione precedente, i membri della giuria hanno ritenuto opportuno raddoppiare le menzioni speciali, includendo due giovani traduttrici e due traduttori con maggiore esperienza. I nomi messi in rilievo sono stati quelli di Dafne Graziano per la traduzione de Il cane ha sempre fame di Anja Kampmann (La Nave di Teseo, 2024) e Valentina Colonna per il lavoro sul testo Casa dell’acqua di Àngeles Mora (Anima Mundi, 2023). A queste segnalazioni si aggiungono i lavori di Giulia Poggi sui Quaranta Sonetti Giocosi di Luis De Gongora (Molesini Editore, 2024) e Andrea Ceccherelli per Il congedo dei messi greci, di Jan Kochanowski (Valigie Rosse, 2024).
La cerimonia di consegna del premio, l’11 novembre (ore 17:00), aperta al pubblico, sarà introdotta da Pietro Taravacci,, ispanista, già docente all’Università di Trento, coordinatore del SEMPER (Seminario Permanente di Poesia) e della rivista letteraria (di fascia A) TICONTRE: Teoria Testo Traduzione; dirige inoltre la collana Bibliotheca Iberica, presso l’editore Dell’Orso di Alessandria. La sua prolusione sulla traduzione poetica sarà dedicata alle sfide linguistiche e culturali che i traduttori si trovano di fronte.
Durante la cerimonia sarà inoltre conferita unaborsa di studio residenziale dalla durata di tre mesi a Claudia Cippitelli, selezionata dalla commissione da una rosa di quattro candidature, che lavorerà al progetto di ricerca Benno Geiger e la literarische Moderne. Ricostruzione di una costellazione. Questo lavoro si concentra sul ruolo di Benno Geiger come critico d’arte, aspetto meno esplorato della sua figura ma non per questo meno importante.
Nella stessa occasione verrà annunciata la pubblicazione dei nuovi bandi per il 2025: il Bando del Premio per la Traduzione Poetica e il Bando per una borsa di studio residenziale trimestrale. Potranno concorrere al Premio per la Traduzione Poetica le traduzioni italiane di opere poetiche da lingue occidentali antiche, medievali e moderne pubblicate negli ultimi due anni e regolarmente in commercio. Potranno partecipare al bando per una Borsa trimestrale residenziale dottorandi italiani e internazionali con progetti di ricerca in ambito letterario, da svolgere presso la Fondazione Giorgio Cini.
Ingresso libero fino esaurimento posti disponibili.
La ricercatrice in Slavistica presso l’Università di Trieste: «Il riconoscimento è un onore, la difficoltà è stata ricreare l’armonia di questo testo»
di Elena Commessatti
L’appuntamento è fissato per lunedì 11 novembre alle 17 aVenezia nell’Isola di San Giorgio Maggiore (ingresso libero). L’occasione è la consegna del prestigioso premio per la Traduzione Poetica “Benno Geiger” conferito dalla Fondazione Giorgio Cini, l’istituzione che conserva dagli anni Settanta l’intero archivio dello storico dell’arte e poeta austriaco, donato per volontà testamentaria dalla figlia Elsa.
Quest’anno a vincerlo sono Daniele Ventre, in merito alla sua raffinata traduzione dell’Odissea di Omero (Ponte alle Grazie Editore, 2023), e Martina Napolitano, pordenonese, che si aggiudica il Premio “Giovane Traduttore” 2024 per il suo eccezionale lavoro su Trittico di Saša Sokolov (Miraggi Edizioni, 2024).
Martina Napolitano è ricercatrice in Slavistica presso la Sezione di Studi in Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori dell’università di Trieste, dove insegna lingua russa e traduzione. Attualmente si sta occupando di un’antologia di poetesse.
Marco Caramitti sul Manifesto così la definisce: “promotrice a livello internazionale del verbo sokoloviano”. Infatti è la prima a tradurre Trittico in italiano.
Cosa significa il Premio Geiger?
«Un onore. Lo sento come la conclusione di una piccola impresa in cui mi sono cimentata ormai alcuni anni fa, e che rappresenta gli interessi di ricerca del mio percorso dottorale. Racconto un piccolo aneddoto. Nel 2016 in una libreria di Mosca mi sono imbattuta in un raffinato libro illustrato di Sokolov, “Tra cane e lupo”, il suo secondo romanzo. Mi sono messa a leggerlo immediatamente mentre ero in metro, e ho capito che non capivo nulla. La cosa mi ha incuriosito. Pensavo di conoscere bene il russo, e invece! Non è un caso se questo autore spesso è considerato il Joyce russo; è paragonato ad autori complessi dove la parola si smonta, si ricostruisce. Lui lavora sulla parola anche a livello musicale».
“La lingua è una musica dataci dall’alto”. Lo dice lo stesso Sokolov. Lei giustamente lo riporta in prefazione.
«Sin da bambino dimostra di avere “l’orecchio assoluto” Di sé dice inoltre che se fosse nato in Austria sarebbe diventato un compositore, essendo russo invece è scrittore, perché la letteratura è fondamentale nella sua terra. Trittico è un lavoro che arriva dopo vent’anni di silenzio, e non è un romanzo. Questo lavoro è diventato un po’ la summa della sua ricerca artistica: su come va scritto un testo».
Che tipo di difficoltà ha questo lavoro?
«Trittico porta tutto all’estremo. In questa prova poetica abbiamo voci non meglio identificate, calate in un luogo non identificato, in un tempo non certo».
Come ha lavorato nella traduzione?
«Non era inizialmente mia intenzione tradurlo. Stavo in realtà facendo delle ricerche legate alla contemporaneità del testo nel panorama complessivo della produzione di Sokolov, perché non si capiva come collocare questo lavoro. Poi mi sono appassionata e ho deciso di provare, un po’ per sfida, un po’ per gioco, a tradurlo. Ci ho messo cinque anni e tutto si concretizzato quando ho trovato un editore coraggioso come Miraggi, – non finirò mai di ringraziare –, che ha creduto in questa “pazzia”».
La difficoltà più ardua?
«Ricreare non tanto la semantica, ma l’armonia di questo testo, che in italiano ha altre tonalità. Ho cercato di ricreare la sua musica».
L’attribuzione del Premio Geiger dimostra che lei c’è ampiamente riuscita. E Sokolov?
«Ci sentiamo spesso via mail da un po’ di anni. No, non ci siamo mai incontrati. Vive in Canada e ha paura dell’aereo. Lo raggiungerò io prima o poi».
Usiamo cookie per garantirti un servizio migliore.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.