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Recensione a «Tempo confinato» su Giochilinguistici.it

Recensione a «Tempo confinato» su Giochilinguistici.it

Culture diverse, modi di vivere differenti, storie nazionali che seguono il proprio percorso, ma qualcosa ci accomuna: il desiderio di vivere la nostra vita in dignità e autodeterminazione. La Resistenza è una terra di tutti e di nessuno, appartiene all’Uomo. Quello che è fedele a se stesso.

Fedele a se stesso lo è di certo František Wiendl, protagonista di Tempo confinato. Memorie di un prigioniero politico tradotto dal ceco da Annalisa Cosentino per Miraggi Edizioni. La sua è una vita singolare ed insieme  anche una fra le tante, una rappresentazione perfetta della vita di un cittadino Boemo del Novecento. Come tante, è una vita impigliata nelle maglie della grande Storia – quella a cavallo tra i due regimi totalitari – . È proprio questo suo essere vittima del sistema/dei sistemi che lo rende comune. La storia del singolo si eclissa dietro un numero quando la tragedia da storicizzare è troppo grande o anche quando la volontà di narrare manca.

Ma la vita di František è anche una vita singolare, a suo modo, per quella forza di autodeterminazione non solo desiderata passivamente, ma praticata attivamente e per la dignità che ha conservato in ogni circostanza, anche quando la Storia l’ha reso una vittima fra le tante.

Inoltre, se una storia acquista vividezza nel momento in cui la si racconta, anche per le generazioni a venire, la vita di František Wiendl, unica nelle sorti comuni, acquisisce la sua aura di unicità per la volontà del figlio di narrarla.

Trama – La struttura narrativa di Tempo confinato segue la forma di un dialogo, quello generazionale che intercorre tra Jan e František Wiendl. Jan è il figlio ansioso di ricostruire la storia paterna, prima che questa cada nell’oblio con la sua morte. Ma è anche il rappresentante di una generazione che non ha davvero sperimentato in prima persona la parte più brutale dei regimi totalitari. Jan, come noi lettori, è quello che viene dopo, il post-. Il suo metodo è l’indagine che scava nella memoria del padre: pone le sue domande, chiede un chiarimento.

František è ricettivo, paterno e fattuale allo stesso tempo. È, soprattutto, il testimone oculare, la vittima e l’oppositore che ha lottato per ottenere la democrazia di cui Jan, da un certo punto in poi della sua vita, ha potuto godere.   

La conversazione segue, dunque, la parabola della vita di František: da partigiano, figlio di un partigiano, durante il regime nazista ad oppositore del bolscevismo durante il regime sovietico, per poi diventare un prigioniero politico. È proprio la scena del processo, quello che cambierà per sempre la vita di František, la scena introduttiva. Dopo la condanna, per aver aiutato alcuni fuggiaschi a passare il confine dall’allora Cecoslovacchia verso la Germania Ovest, František subirà l’umiliazione e la durezza dei campi di lavoro. E poi, una volta libero, il difficile rinserimento nella società.

Nella narrazione inevitabilmente vengono inglobati, oltre agli accadimenti storici, gli altri coprotagonisti di questa pagina nera della Storia. I “complici” ma anche i compagni di prigionia, che hanno aiutato František a non perdere di vista l’aspetto umano. Tempo confinato è inoltre arricchito da foto e dalle commoventi lettere che František inviò nel corso degli anni di prigionia a sua madre e suo padre. 

Non voglio assolutamente fare l’eroe, ma nel considerare questa domanda ripenso alla situazione di allora, e in quel momento le possibilità erano queste: entrare nel Partito Comunista […] Oppure si poteva non fare niente, restare a guardare. La terza possibilità era opporsi al loro insediamento non democratico. Era questo il nostro caso, volevamo difendere i diritti democratici. Ciò significa che abbiamo scelto consapevolmente di opporci, considerandolo un nostro dovere, senza avere paura. Eravamo consapevoli anche  delle conseguenze.

– Tempo confinato

Ho scelto di proporvi questa citazione perché mi sembra esemplificare al meglio il senso della vita di František Wiendl. Dalle sue risposte al figlio non emerge mai una volontà di eroicizzare le sue azioni. Quando piuttosto quella di sottolineare che la gente comune si è trovata a dover prendere scelte fuori dall’ordinario perché i tempi lo richiedevano. Di fronte a questa verità viene quasi spontaneo chiedersi “cosa avrei fatto al suo posto?” Giudicare da una posizione confortevole non è mai giusto. Forse lo sapremo quando la Storia chiamerà il nostro turno. Ma forse quell’ora è già arrivata.

QUI l’articolo originale: https://giochilinguistici.it/tempo-confinato-jan-e-frantisek-wiendl/

Segnalazione di «Che peccato essere una curiosità» di Enrico Pastore su «Dramma.it»

Segnalazione di «Che peccato essere una curiosità» di Enrico Pastore su «Dramma.it»

di Maria Dolores Pesce

In Europa tra fine ‘800 e inizio ‘900, per poi oltre proseguire, esplode, dentro una concezione borghese del patriarcato che riproponeva i consueti schemi di subordinazione e sudditanza ma insieme paradossalmente li smentiva nel trionfo della libertà personale e individuale, la contraddizione del femminile proprio per la sua (del femminile) nascente indisponibilità a farsi imprigionare in quegli schemi.

È innanzitutto la drammaturgia nordica ma non solo, tra l’altro quasi esclusivamente maschile, a farsi portatrice dei quella contraddizione e di quella indisponibilità che lo sguardo appunto maschile ‘pativa’ anche angosciosamente mentre, secondo l’insegnamento szondiano, contribuiva non poco alla crisi, speculare a quella sociale, del dramma moderno. Questo bel libro di Enrico Pastore affronta però il tema da un punto di vista diverso, quello delle artiste cioè, oggi diremmo performer, che non furono solo oggetto di quella mutazione ma se ne fecero concretamente carico subendone anche gli effetti. Non solo personaggi, da Salomè all’Olympya di Hofmannsthal, ma veri e propri corpi alieni che ribaltavano la percezione del femminile, incidendo sulla struttura stessa della rappresentazione. Nomi di artiste, da Sada Yacco a Cléode Mérode, da Edith Craig a Valentine de Saint-Point e Emmy Hennings, non a caso, come spesso capitava e ancora capita a molte artiste, praticamente dimenticate nonostante l’impulso essenziale che hanno saputo dare al rinnovamento del teatro. Ma non è un bagno di memoria, è soprattutto un riconoscimento di valore, dovuto e comunque tardivo. Forse altrettanto importante di quello che in precedenza segnò l’esordio sulla scena della donna, non solo come personaggio ma in carne ed ossa, e così capace di modificare anche il senso stesso del personaggio teatrale. Un lavoro importante e approfondito, come testimoniato dalla corposa bibliografia, quello di Enrico Pastore, definito da Renzo Francabandera nella sua prefazione non solo un’operazione di rottura, ma soprattutto di condivisione capace di dare l’avvio a forme sempre più complesse, nel Teatro e nella Società. Una dimostrazione ulteriore di come l’attività di quelle artiste ‘eversive’ non fosse rivolta esclusivamente alle donne nel teatro ma anche, modalità questa tipica del femminile, all’intero teatro e inevitabilmente alla intera Società. Un volume ricco e articolato da consigliare perché parlando del passato parla soprattutto al nostro presente.

QUI l’articolo originle: https://www.dramma.it/index.php?option=com_content&view=article&id=39243%3Ache-peccato-essere-una-curiosita-di-enrico-pastore&catid=53&Itemid=45&fbclid=IwY2xjawKqhYxleHRuA2FlbQIxMQABHlWkrMPOoO5_oJwJso-5X_g7gXx02y8LlyNAti8SiksBBfa_8H3-C-TyW4MR_aem_SGgevDk_dW4YDDcpH2plBw

Recensione a «Che peccato essere una curiosità» su «Libro Guerriero»

Recensione a «Che peccato essere una curiosità» su «Libro Guerriero»

di Linda Cester

Molto interessante e ben strutturato il saggio di Enrico Pastore, recentemente pubblicato da Miraggi Edizioni con la prefazione di Renzo Francabandera, è un viaggio affascinante e coinvolgente negli anni a cavallo fra Ottocento e Novecento – periodo storico significativo e importante che ha visto l’Occidente nel suo massimo splendore -, alla riscoperta della vita e delle opere di cinque artiste straordinarie, che non solo hanno rappresentato le tendenze e le caratteristiche di un’epoca, ma che hanno anche lasciato, attraverso la loro grande personalità, un segno profondo nel difficile percorso di emancipazione della donna.

Un’opera che si inserisce nel solco di quella produzione letteraria preziosa, volta al recupero e alla valorizzazione di una serie di figure femminili – del mondo dell’arte, della cultura e non solo – che, colpevolmente dimenticate, hanno invece determinato un passaggio fondamentale nello sviluppo della costruzione dell’identità femminile moderna,  protagoniste accantonate da quella Storia che ci appartiene e soprattutto ci riguarda tutte e tutti da vicino. Grazie a una scrittura scorrevole, mai pesante, capace di incuriosire il lettore cogliendo dettagli essenziali senza mai perdere l’armonia del discorso complessivo, Enrico Pastore ci conduce così in quegli anni vivaci e accesi della Belle Èpoque, fra cafè chantant, numeri di cabaret, danze ammalianti e spettacoli innovativi, fra le pieghe più interessanti e anticonformiste di una società frizzante in cui il teatro era uno dei mezzi di comunicazione più influente. Ed è proprio in questo luogo magico e così importante da un punto di vista sia culturale che sociale, che le donne, le artiste protagoniste del volume, hanno potuto imporre una propria visione rivoluzionaria della figura femminile, che non è più mite e rassicurante angelo del focolare, ma che diventa anima libera, emancipata, indipendente, intraprendente, lasciando che il corpo diventi campo di battaglia, fulcro significativo di una lotta che intreccia vita privata e pubblica, politica e svolte sociali, nella definizione di un nuovo approccio femminile all’arte scenica che spazia dalla danza all’espressione, dalla scrittura alla regia. Sada Yacco, Clèo de Mèrode, Edith Craig, Valentine de Saint-Point, Emmy Hennings. Cinque donne meravigliose, cinque modelli d’ispirazione, cinque dive purtroppo dimenticate, che grazie al saggio di Enrico Pastore ci vengono restituite in tutta la loro eccezionalità, capaci di lasciare un’impronta decisiva, concreta e duratura, in un mondo culturale,  dove purtroppo l’opera delle donne, non solo teatrale, viene ancora vista come un’eccezione, o come direbbe Josephine Baker – e da qui il titolo del volume – “una curiosità”.

Un ultimo accenno merita in conclusione la copertina del romanzo, che grazie all’immagine della bellissima Cléo de Mérode riesce a evocare alla perfezione le atmosfere della tematica trattata incuriosendo il lettore.

QUI l’articolo originale: https://libroguerriero.wordpress.com/2025/05/30/che-peccato-essere-una-curiosita-di-enrico-pastore-miraggi-edizioni/2/

Arlt – segnalazione sulla Stampa

Arlt – segnalazione sulla Stampa

Revelli e Magliani spiegano il mondo di Roberto Arlt

Incontro letterario lo scorso 27 febbraio al bar Ligure di Arma di Taggia promosso da Casa Balestra, di Molini di Triora, che scende così, per una volta, in riva al mare.

Ci saranno gli scrittori Giacomo Revelli e Marino Magliani, che ha appena tradotto (con Riccardo Ferrazzi) la biografia del collega argentino Roberto Arlt. Si soffermeranno inizialmente su questo testo. Toccherà quindi alla presentazione del libro «Arlt-Lo scrittore nel bosco di mattoni» di Sylvia Saitta (Miraggi Edizioni, Torino). Opera pubblicata nell’ambito del programma Sur di supporto alle traduzioni del Ministero degli Esteri. Conclusione con il libro «Il cannocchiale del tenente Dumont», uno delle rivelazioni dello scorso anno, scritto dallo stesso Marino Magliani. Quest’ultimo, scrittore di Prelà che si divide fra l’Italia e l’Olanda, sta vivendo un momento felice negli Stati Uniti dove i suoi libri sono saliti nella Top 20 dei più venduti. E, nelle versioni in inglese, sono venduti in Cina. Il suo ultimo libro è stato recensito, un termini molto favorevoli, da tutti i maggiori organi di informazione. M.C.

Arlt – segnalazione di Angelo Boselli sul SECOLO XIX

Arlt – segnalazione di Angelo Boselli sul SECOLO XIX

Presentazione letteraria in trasferta per l’associazione Casa Balestra

Evento letterario speciale ad Arma di Taggia, Marino Magliani dialogherà con lo scrittore Giacomo Revelli oggi alle 18 al bar Ligure, in piazza Tiziano Chierotti, organizzato dall’Associazione culturale Casa Balestra (in trasferta nell’occasione dalla sede di Molini di Triora).

In “Officina Magliani” i due protagonisti presenteranno la biografia dello scrittore argentino Robert Arlt tradotta da Marino Magliani e Riccardo Ferrazzi; si concentrerà poi l’attenzione sull’ultimo libro di Magliani. L’ingresso al bar Ligure potrà avvenire con Green pass, con consumazione obbligatoria. Si comincerà con il volume “Arlt-Lo scrittore nel bosco di mattoni” di Sylvia Saitta (Miraggi edizioni Torino), opera pubblicata nell’ambito del programma Sun di supporto alle traduzioni del ministero degli affari esteri, del commercio internazionale e del culto della Repubblica Argentina. Roberto Godofredo Christophersen Arlt, nato nel 1900 e deceduto nel 1942 a Buenos Aires, in Argentina, era uno scrittore, drammaturgo e giornalista. Figlio di un immigrato prussiano, KarlArlt, e di Ekatherine Iobstraibitzer, originaria di Trieste e di lingua italiana, ha pubblicato il suo primo romanzo nel 1926, “El juguete rabioso” (Il giocattolo rabbioso), la storia autobiografica di un ragazzino che fugge da scuola e si trova coinvolto in avventure di ogni tipo cercando di intraprendere una scalata sociale. Il secondo romanzo di Arlt, è stato “Los siete locos” (I sette pazzi) nel 1929, il terzo “Los Lanzallamas” (I lanciafiamme) nel 1931.

Al bar Ligure Marino Magliani presenterà il suo ultimo romanzo, “Il cannocchiale del tenente Dumont” (L’Orma editore). «Perché disertare non significa mica sbandato, uno sbanda e bene o male si risolve, ma disertare è qualcosa che non finisce, diventa una missione, una carriera. Un grado. A uno dovrebbero scriverlo sulla pietra». Marino Magliani vive tra la sua Liguria e la costa olandese, dove scrive e traduce. E’ autore di numerosi libri tra cui “Quella notte a Dolcedo” (Longanesi 2008), “L’esilio dei moscerini danzanti giapponesi” (Exorma 2017) e “Prima che te lo dicano altri” ( Chiare lettere 2018).

Arlt – recensione di M.Vall. su Il Secolo XIX

Arlt – recensione di M.Vall. su Il Secolo XIX

C’è la firma di Magliani nella biografia di Arlt

Porta la firma di Marino Magliani, insieme a quella di Riccardo Ferrazzi, la traduzione dallo spagnolo del libro di Sylvia Saitta appena pubblicato da Miraggi Edizioni.

Il libro intitolato “Arlt. Lo scrittore nel bosco di mattoni. Una biografia” racconta la storia dello scrittore e giornalista di Buenos Aires, in principio incompreso, ma oggi considerato uno dei padri della letteratura argentina. Magliani, apprezzato narratore, è da sempre attivo anche come traduttore, sia dallo spagnolo che dall’olandese. Noè Jitrik, Haroldo Conti, José Luis Cancho e lo stesso Arlt sono alcuni degli scrittori tradotti dall’autore di Prelà.

Autoritratto in vinile – Francesca Angeleri intervista Luca Ragagnin sul Corriere della Sera

Autoritratto in vinile – Francesca Angeleri intervista Luca Ragagnin sul Corriere della Sera

«Nei momenti difficili… sento il bisogno di ritornare lì. In quella camera dove tutto è rimasto classificato con amore, dove i titoli dei brani sulla copertina delle cassette sono battuti diligentemente a macchina, dove i momenti preziosi di quel passato restano custoditi. Il rifugio mentale che mi permette di non tradire mai la mia giovinezza». La scrive Max Casacci la prefazione al nuovo libro di Luca Ragagnin Autoritratto in Vinile edito Miraggi, con le foto di Alberto Ledda, che lo scrittore presenterà oggi alle 18.30 al Blah Blah in compagnia del leader dei Subsonica e di Flavio Ferri dei Delta V che si esibirà in alcuni brani tratti dal suo nuovo album Testimone di passaggio , i cui testi sono stati scritti in toto da Ragagnin.

In quella cameretta azzurra che ricorda Casacci lei ci è tornato.
«È stata la mia cameretta di bambino e oggi sono tornato a frequentarla come uomo adulto. Era diventata la stanza dei gatti di mia mamma Giuseppina, che era professoressa di lettere e che è stata la persona che mi ha trasmesso la passione per i libri, mi insegnò a leggere che ero molto piccolo. Cinque anni fa, quando è mancata, ho sfidato qualunque legge della psicanalisi e sono tornato in questa casa e l’ho ripristinata esattamente com’era 30 anni prima. Per prima cosa ho fatto ridare quell’azzurro che i miei amici ricordano alle pareti della mia stanza. È esplosa: ci ho messo dentro 30 anni di musica e di libri. Di dischi ne avrò sui diecimila titoli, i libri stanno intorno ai seimila. Tanti li comprai al villaggetto di bancarelle sotto il tetto di lamiera in corso Siccardi che purtroppo non c’è più».

È la casa di Luca grande o di Luca piccolo?
«Di Luca grande. Anche se non è facile ritornare nel luogo dove sei cresciuto. Negli ultimi anni ho scritto un grande romanzo, nel senso di dimensioni poderose, in cui c’è il tema dell’infanzia e della memoria, non è un memoir ma una storia composita che dovevo scrivere per andare altrove. Volevo chiudere i conti con quel ragazzino. Inizia negli anni 70 e finisce l’11 settembre. Uscirà il prossimo anno». 

Cos’è invece «Autoritratto in vinile»?
«Un libro occasionale. Sono piccole scritture nate in un periodo in cui, ogni giorno per sei mesi, pubblicavo su Facebook un disco e un libro affiancati da alcuni miei aneddoti personali, ben lontani dal voler essere una critica musicale o letteraria. Ne pubblicai 150. Non sono mai più stato e né mai sarò tanto attivo sui social. Per il libro ne abbiamo scelti 50».

Quali?
«Con i ragazzi di Miraggi, che da qualche tempo è la mia casa editrice, siamo stati severi per eliminarne 100. Abbiamo scelto quelli dove entravo più come autore e meno legati al quotidiano. Non faccio il professorino della musica, ma c’è una sorta di proselitismo musicale un po’ nascosto: c’è molta musica anni 70».

C’è qualche brano del suo autoritratto che ama di più?
«Il primo, che è su Ummagumma dei Pink Floyd, un disco che entrò nella mia vita di quattordicenne nel 1979. La prima volta lo ascoltai in cuffia, e non c’erano i volumi e continuavo ad alzare. C’era un tappeto sonoro bassissimo che poi erompeva con un urlo agghiacciante di Roger Waters. Io, che avevo il volume al massimo, feci un salto terrorizzato e versai il caffè ovunque».

Da dove si parte per scrivere il testo di una canzone?
«È una questione di sartoria, bisogna mettersi al servizio completo dell’artista e della sua storia. Tutte le mie collaborazioni con vari musicisti sono nate in maniera spontanea. Nei prossimi mesi potrebbe cominciare un mio corso dedicato al song writing per i ragazzi che fanno trap. Per loro la parola è molto importante».

QUI l’articolo originale:

https://torino.corriere.it/cultura/20_ottobre_08/luca-ragagnin-suo-autoritratto-vinile-4af9881a-093c-11eb-86e2-3854c59f54db.shtml

Čechov nella mia vita – recensione di Sara Pizzale su Modulazioni Temporali

Čechov nella mia vita – recensione di Sara Pizzale su Modulazioni Temporali

Storie russe: l’amore segreto per Čechov raccontato da Lidija Avilova

È stata intensa, come ogni storia russa che si rispetti, ma anche segreta, come la società voleva che fossero gli amori nati tra amanti. Al centro della scena c’è il noto scrittore russo, Čechov, e Lidija Avilova che – al tempo del loro primo incontro – era già moglie e madre di un bambino. In “Čechov nella mia vita” (Miraggi Edizioni, 2021, pp.123, euro 14, traduzione di Barbara Delfino, prefazione di Dario Pontuale) è la stessa Avilova a narrare i suoi sentimenti per la celebre penna russa, gli incontri fugaci, le attese e la corrispondenza epistolare.

Un’amicizia preziosa la loro, durata almeno dieci anni, resa unica da una complicità che è difficile da nascondere. E in effetti, tanto segreto il loro amore non lo era perfino per il marito di lei, un uomo che in cuor suo conosce la realtà dei fatti, ma che trattiene la consorte in nome di una compostezza doverosa soprattutto agli occhi della gente. La storia che la Avilova confessa in queste pagine è una relazione che, a gran fatica, soffoca e sacrifica per amore di quella “felicità familiare” a cui tanto anela e che ricorda quella più volte affrontata nei testi di un altro gigante della letteratura russa, Tolstoj. Tante sono le analogie con i racconti tolstojani che in questo piccolo scritto emergono: dai matrimoni di convenienza alle scenate di gelosia di Miša, marito della Avilova che, proprio come Aleksej Karenin in Anna Karenina rivendica quei doveri di moglie venuti meno. Lidija però sceglie di non abbandonarsi alla passione. Sceglie la famiglia e dunque di non vivere fino in fondo. E forse lo stesso fece Čechov scegliendo di sposare un’altra donna. Non era tempo per il loro amore. Non era tempo di guardare alla vita in modo complicato.

Un libro breve ma coinvolgente e avvolgente, consigliato per i nostalgici delle atmosfere del grande romanzo russo.

QUI l’articolo originale:

Autoritratto in vinile – recensione su ValsusaOggi

Autoritratto in vinile – recensione su ValsusaOggi

dall’UFFICIO STAMPA “BORGATE DAL VIVO”

GIAGLIONE – La musica è l’altro grande amore di Luca Ragagnin. Il suo “Autoritratto in vinile” è una biografia vera e propria attraverso i vinili che l’hanno attraversata, e che a Giaglione diventa anche un reading musicale con dieci brani letti e suonati dal vivo. La lettura, affidata alla voce stessa dell’autore, si affianca alle trame sonore di Luca Tartaglia, noto bassista torinese, tra melodie, sovraincisioni create in tempo reale con solo basso e loop station.

Il libro “Autoritratto in vinile”, di Luca Ragagnin (Miraggi Edizioni, 2020). Prefazione di Max Casacci, fondatore e chitarrista dei Subsonica.
61 brani
61 dischi
61 artisti
61 copertine
61 racconti che attraversano generi e periodi musicali mixati a ricordi personali
61 episodi d’infanzia e di gioventù in un gioco di rimandi rigorosamente analogici e 33 scatti da collezione di Alberto Ledda

Due brani in ascolto tratti dal libro e dallo spettacolo del reading musicale (https://www.miraggiedizioni.it/prodotto/autoritratto-in-vinile/).

QUI l’articolo originale:

MUSICA SOLIDA – Erika Zini intervista Vito Vita su Bookmania Ciao Radio

MUSICA SOLIDA – Erika Zini intervista Vito Vita su Bookmania Ciao Radio

Quanti di voi conservano a casa dei vinili? E i 78 giri li ricordate? Di CD ne acquistate ancora? La storia dell’Industria discografica italiana ha radici indietro nel tempo e molto è cambiato da quando Ricordi era una edizione musicale di spartiti (sembra incredibile ma senza i supporti fisici, l’unico modo per ascoltare musica era… suonarla!). Ne parliamo a #Bookmania oggi insieme a Vito Vita, esperto musicale, giornalista e musicista, che ha raccolto nel suo libro “Musica Solida” (Miraggi Edizioni) oltre 100 anni di storia, tracciando le tappe chiave di un industria che da “solida” è diventata ora “liquida” (o gassosa 😉 ).

https://www.youtube.com/channel/UCb97TgAyZjIYNDCw3a9CdBg

MUSICA SOLIDA – recensione di Guido Giazzi su Buscadero

MUSICA SOLIDA – recensione di Guido Giazzi su Buscadero

Recensisco con immenso piacere questo volume scritto da Vito Vita, redattore delle riviste «Vinile» e «Prog Italia», ed autore di alcuni interessanti volumi sulla musica italiana. Musica solida, questo il titolo del volume, ha due importanti particolarità, è senza dubbio il primo (o quasi) libro pubblicato in Italia dedicato alla storia dell’industria fonografica italiana, inoltre attraverso la nascita del 78, 45 e 33 giri, Vita ci racconta una parte della storia del nostro Paese. Il volume partendo dall’invenzione del supporto fonografico e dall’evoluzione del giradischi, ci guida attraverso lo sviluppo, prima artigianale poi industriale, della realtà discografica italiana tra le due guerre inserendo nomi e marchi – FonitCetra, Pathè, Parlophon, Odeon, Durium etc. – molto noti a chi frequenta da anni il mondo del vinile. Si arriva poi al secondo dopoguerra con la nascita di alcune etichette che per decenni rimarranno regine incontrastate del mercato quali CGD (Compagnia Generale del Disco fondata da Teddy Reno), la Durium di Krikor Mintanjan, la SAAR dei fratelli Gurtier, la Ricordi, la famiglia Carisch, che oltre a Peppino Di Capri ha in catalogo per il mercato italiano i Beatles, per arrivare infine ai primi cantanti-discografici. Da sottolineare già da queste prime società, la forte presenza straniera che comprende immediatamente la possibilità del mercato e crede fortemente nella ripresa economica del Paese dopo lo sforzo bellico.

Negli anni Sessanta poi il 45 giri toccherà l’apice del successo e anche in questo caso nuove società imporranno autori e generi diversi quali la Vedette, la Bluebell, la Phonogram, il Clan di Celentano, la RCA romana (voluta fortemente dagli Americani e dal Vaticano), i Dischi del Sole, la Carosello e molte altre. Negli anni Settanta si arriva infine all’avvento del Long Playing ma questa per alcuni di noi dalle tempie imbiancate è storia recente – la Numero Uno di Mogol/Battisti, la Produttori Associati, la Ascolto di Caterina Caselli, la PDU di Mina, la Polygram etc. – fino ad arrivare agli anni Ottanta ovvero al declino del vinile. Qui termina la parabola del vinile: le multinazionali si accorpano per far fronte alla crisi, la disco music avanza e molte case celebri gettano la spugna.

All’orizzonte si intravede il CD che dovrebbe cambiare il mondo invece dopo pochi decenni sarà costretto alla sconfitta dalla musica liquida (che si contrappone alla Musica solida, non a caso il titolo del volume) per affermare non solo un differente stato della materia ma per celebrare i fasti di un passato remoto di solide certezze. L’autore ha impiegato alcuni anni per preparare questo volume e infatti Musica solida è ricchissimo di informazioni, aneddoti, storia musicale ma anche Storia con la esse maiuscola, e numerosi ritratti di personaggi che hanno abitato e reso affascinante questo mondo. Oggi si parla di rinascita del vinile ma i numeri in gioco sono ancora troppo esigui, è molto in parlare di LP ma la realtà è purtroppo ammara come testimonia la chiusura di molti negozi di dischi. Concludendo, considero questo volume uno dei più importanti libri musicali di quest’anno sia per l’unicità del soggetto sia per aver fatto luce su uomini e società che hanno regalato gioia ed emozioni a tutti noi, vinilmaniaci italiani. Un ottimo lavoro.

DI SEGUITO L’ARTICOLO ORIGINALE:

MUSICA SOLIDA – recensione di Marco Sonaglia su Il Popolo del Blues

MUSICA SOLIDA – recensione di Marco Sonaglia su Il Popolo del Blues

Vito Vita si occupa di musica, come ricercatore, come critico e anche come musicista, da tantissimi anni, praticamente è un’enciclopedia vivente, conosce ogni piccola curiosità, ogni aneddoto, ogni data, ogni musicista. Così dopo un lavoro di circa dieci anni, ha pubblicato questo interessante volume con sottotitolo “Storia dell’industria e del vinile in Italia” per Miraggi edizioni. Un libro mastodontico di quasi 400 pagine, curato con pazienza certosina e scritto in maniera scorrevole e avvincente. Una lunga carrellata di come si è evoluto quello straordinario compagno di viaggio, che chiamiamo disco o cd, nella storia del nostro paese, guardando al passato con interesse, senza cadere nella retorica del rimpianto. Il libro si divide in sette capitoli, partendo dal disco a 78 giri, la gommalacca, fino ad arrivare alla musica gassosa. Una storia affascinante che ci fa scoprire la nascita e la diffusione del fonografo e del grammofono in Italia, l’arrivo del Jazz, la nascita della radio e l’avvento di una marea di etichette discografiche nel loro periodo migliore, cioè quello tra gli anni sessanta e settanta. Un viaggio che va dalla Fonit cetra alle varie gestioni della Ricordi passando attraverso la Phonogram, la Rca, la Cgd, la Karim , la Emi, la Wea, La Carosello, la Meazzi, la Durium, la Polygram, senza tralasciare etichette particolari come i dischi del sole, l’ultima spiaggia, Pdu, Cramps, Bla bla, la Numero uno e personaggi significativi come la famiglia Carish, Ladislao e Piero Sugar, Vincenzo Micocci, Lucio Salvini, Alfredo Rossi, Krikor Mintanjan, Agostino Campi, Teddy Reno, Mogol e Battisti, Caterina Caselli. La storia prosegue poi con la crisi del vinile, l’avvento del cd, fino ad arrivare alla musica liquida dei nostri giorni. Nell’ultimo capitolo troviamo tre interventi interessanti di altrettanti discografici: Alfredo Gramitto Ricci, Stefano Patara e Roberto Razzini. Per concludere un libro necessario che, parafrasando la prefazione di Giangilberto Monti, secondo noi ci voleva.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

http://www.ilpopolodelblues.com/wp/2020/07/vito-vita-musica-solida/?fbclid=IwAR2JR8FBs6QNjiSYAcTRe6paFXQeeytY6qn-2GPMUFCzLHi962_WbGSOeC4