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“Non disturbare”: la recensione su tremandorle.wordpress.com

“Non disturbare”: la recensione su tremandorle.wordpress.com

Le lunghe giornate di luce e di svago consentono di abbracciare tutte quelle attività che ci fanno stare bene e se adesso siete qui con me è perché una di queste attività per voi benefiche è la lettura.

La seconda mandorla estiva che vi suggerisco è Non disturbare di Claudio Marinaccio, un libro ideale da leggere sia quando siamo rilassati (e quindi bendisposti verso il prossimo) sia quando siamo coinvolti in una delle situazioni descritte (e pertanto in balìa di moti emozionali poco concilianti).

Queste righe divertenti, canzonatorie, talora affilate come coltelli, talaltra delicate come petali di rosa, aprono uno squarcio su una realtà che ci riguarda tutti: il desiderio di stare tranquilli quando ci gustiamo un “caffè”, quando leggiamo un giornale o un “libro”, quando vogliamo recuperare le energie a letto la domenica mattina.

I brani accontentano tutti i palati: dal vegetariano – che non può non riconoscersi nella fanciulla che varca la soglia di un bar – al finto esperto pasoliniano, un essere terrestre che segue l’onda modaiola cullato da una non conoscenza imbarazzante.

Questo libro è suddiviso in porzioni che nella loro brevità ci forniscono un grimaldello interpretativo delle ragioni per cui si legge poco e dei fattori che concorrono a formare il prezzo del “pane”. E se tutto può essere rateizzato e una comunicazione con chi non “sente benissimo” può apparire bonariamente difficoltosa, l’elemento disturbante a volte diviene l’alleato in grado di fornirci l’alibi per non portare a termine un compito che incombe su di noi.

Varcando il confine fra il detto “arrivederci” e lo sperato “addio”, notiamo come nulla (dalla religione alla politica, dalla vita quotidiana agli affetti) venga risparmiato dalla battuta, battuta che strappa un sorriso e che riesce anche a stimolare ragionamenti intimistici che segnano un cambio di prospettiva inaspettato.

Con un ritmo fresco e incalzante e pronunciando quelle parole che noi ci limitiamo solo a ripetere nella nostra testa, l’autore trova espedienti sempre nuovi per uscire con ironica intelligenza da situazioni che ci cadono addosso, se non quotidianamente, con una frequenza di cui faremmo volentieri a meno. Allora proviamo, magari una volta, ad affrontare la realtà in maniera diversa e a inchiodare spalle al muro il ‘disturbatore’ di turno con la potenza della parola, nel limite della rispettosa educazione ça va sans dire.

 

Leggi la recensione di tremandorle anche qui
https://tremandorle.wordpress.com/2018/07/13/tre-mandorle-al-sole-un-po-di-pace-per-favore-three-almonds-at-the-sun-a-bit-of-peace-please/#more-2366

 

“La folle storia del kamikaze che non voleva morire”: la recensione di Ippolita Luzzo su trollipp.blogspot.com

“La folle storia del kamikaze che non voleva morire”: la recensione di Ippolita Luzzo su trollipp.blogspot.com

“La vera pornografia è la sofferenza degli sconosciuti.”
I racconti di Claudio Marinaccio iniziano con la metafora del sarto di Brecht. Un sarto sosteneva di poter volare con un apparecchio che si era costruito da solo e un giorno si presentò dal vescovo della sua città, dicendogli: “Ora posso volare”.
Il prelato non si emozionò. Con semplicità disse all’artigiano: “Allora provaci”. Il sarto si lanciò dall’alto e finì spiaccicato sul selciato. Un sarto creativo, curioso. Il suo fu un peccato di curiosità. Trovarlo qui come incipit della storia del folle kamikaze che non voleva morire mi sembra una vera goduria. Sorrido anche io al referto dei medici che scrivono di aver appurato che il sarto sia morto di paura prima dell’impatto col terreno. Ricordo quando morì Lucio Magri si parlò molto di quel suo libro del 2009  Il sarto di Ulm. Una possibile storia del Pci, terribilmente profetico, ed io scribacchiavo pezzi sulla vicenda triste della fine di Magri e di un sarto che voleva volare.
Brecht scrisse “dopo alcuni secoli gli uomini riuscirono effettivamente a volare”.
Io però non credo che il volo e la morte del sarto siano stati necessari nella storia del volo
La folle storia del kamikaze che non voleva morire sono racconti di un umorismo nero. Deliranti, alcuni. Ho iniziato a leggere il primo racconto, sono saltata, giuliva, e per problemi di vista, ai ringraziamenti e ho trovato Claudio ad aspettarmi e a dirmi che sapeva quello che avrei fatto. Ridendo sono andata indietro, giorno per giorno fino a che ho capito che Claudio sa ogni cosa, ci conosce tutti, come conosce l’arte del narrare. Nei racconti lo preferisco, così come mi piacciono i suoi bozzetti sul giornale, sulla Stampa, i suoi post su facebook, mi piace il suo sguardo surreale e di amicizia, attento agli affetti, ma senza quella pornografia dei sentimenti tanto in voga, senza quella terribile autofiction spiattellata da scrittori venduti al servizio di un melenso mulino bianco. In Claudio c’è il cinismo con affetto, l’amore per gli altri autori e il distacco giusto per non cadere nella pornografia dello zucchero “Se siete arrivati fin qui significa che avete letto tutto il libro oppure che avete saltato tutti i racconti e ora vi ritrovate a leggere dei ringraziamenti. Se fate parte di questa seconda categoria e leggendoli vi viene voglia di leggere tutto il libro, be’ tanto meglio Alessandro De Vito, Fabio Mendolicchio e Davide Reina sono Miraggi e li creano, ma sono anche e soprattutto persone vere (vere per davvero). Grazie a loro perché mi danno la libertà di scrivere quello che mi piace e, in più, mi pubblicano pure. Luca Garonzi disegna. E lo fa così bene che è un onore avere i suoi disegni all’interno del mio libro. Ognuna di queste tavole è una storia nella storia.”
Delirio di negazione
FooG
Una giornata da dimenticare
Una barba lunga un mese
Il tragico inizio di una storia non banale
Pelle
Amore farmacologico
Un viaggio mentale in una terra desolata
La folle storia del kamikaze che non voleva morire
Così diversamente uguali
La ballata del ladro di anime: “Il deserto è un luogo strano. Un posto dove l’uomo soffre di solitudine visiva. Il paesaggio è sempre lo stesso, immobile. C’era un’enorme distesa di pietre e sabbia, interrotta da cespugli secchi che sembravano sfoghi della terra, come nei pelosi sui volti dei vecchi, così fastidiosi da calamitare lo sguardo. A volte l’orrido attrae. Il gusto del macabro è insito dentro di noi.” Leggerete Claudio con il piacere di vedere storie che hanno un senso vero così anche noi facciamo con la vita come questo vecchio che ha perso la moglie “Al principio fui colto da tristezza poi rabbia poi delusione e poi da una strana forma di accettazione. Fino a quando non capisci che la morte non è altro che una fase della vita. Come lo è per esempio l’adolescenza, non puoi accettarla e perciò capirla.” Capendo aleggerà il sorriso sul tutto.
Ippolita Luzzo

“La folle storia del kamikaze che non voleva morire”: la recensione di Gianluigi Bodi su senzaudio.it

“La folle storia del kamikaze che non voleva morire”: la recensione di Gianluigi Bodi su senzaudio.it

Claudio qui dento c’ha passato un bel po’ di tempo. Ha accompagnato la crescita di Senzaudio in un momento delicato. Poi, giustamente, ha preso altre strade. Adesso lo potete vedere ovunque, scrive ovunque. Sulla carta stampata e online. Opinioni e articoli per lo più. Perché per quel che riguarda la narrativa invece gli ultimi suoi sforzi sono finiti su carta.
Viene da chiedersi come faccia a scrivere così tanto e l’unica risposta che mi sono dato è: non dormire. Secondo me Claudio non dorme. Sennò non si spiega.

Leggo le opere di Marinaccio già da qualche anno. Ho iniziato con Scomparire nel 2014 per arrivare al più recente Come un pugno del 2016 fino all’ultimo “La folle storia del kamikaze che non voleva morire” pubblicato da Miraggi nell’ultimo mese. Mentre le altre due prove erano romanzi quest’ultima è una raccolta di racconti.
Una delle cose che ricordo di aver detto parlando di “Come un pugno” era che sembrava che il romanzo straripasse di linee narrative. Sembrava che compresso in uno spazio esiguo ci fosse molto materiale da sviluppare. Storie che avrebbero tranquillamente potuto generare altre storie. Leggendo i racconti mi sono reso conto che la super densità del libro precedente qui trova una sistemazione diciamo più ordinata. Lo strumento del racconto permette a Claudio di affrontare e sistematizzare tutte le sue onde di ispirazione. Eppure, nonostante questo succede che i racconti abbiano due o tre momenti in cui il lettore si trova ad un bivio e non sa dove lo porterà il narratore. La carica è rimasta la stessa. Ed infatti, a leggere la raccolta ci rendiamo conto che Claudio ha osato avventurarsi in più di un panorama. Parlando del passato e parlando del futuro, parlando di Kamikaze e piedi che rotolano, parlando di modi ridicoli di morire, ma anche di modi ridicoli di vivere.

A farla da padrone è quello che io reputo un umorismo nero ben calibrato. Un umorismo nero spolverato di una certa dose di cinismo che per la maggior parte del tempo ci fa stare con un ghigno stampato in bocca. Perché a volte, essere un po’ cattivi è catartico.

Veniamo alla conclusione. Seguendo Claudio dal 2014 posso notare i suoi miglioramenti ed essere felice per lui. Il racconto che da il titolo al libro è davvero piacevole e quello che fa da apripista parte in un modo e poi ti spiazza tirando fuori vecchie maledizioni. Non so dirvi se il suo terreno di caccia debba essere quello dei racconti o quello dei romanzi, non perché uno debba per forza di cose escludere l’altro, semplicemente non so decidere se renda meglio nell’uno e nell’altro campo. Viene voglia di seguire la lunga narrazione portata avanti in un romanzo, con i repentini cambi di rotta e quegli improvvisi WTF, ma viene anche voglia della lettura fulminante.
Alla fine credo che spetta a lui decidere, ma se tanto mi da tanto, avremo ancora sia dell’uno che dell’altro.

Un ultima parola sulle illustrazioni di Luca Garonzi. Sono davvero molto belle e sono, già loro, una narrazione nella narrazione.

P.S un paio di racconti li avevo già letti per motivi diversi e mi ha fatto davvero piacere vederli rivivere.

Gianluigi Bodi

“La folle storia del kamikaze che non voleva morire”: la recensione di Gianluigi Bodi su senzaudio.it

“La folle storia del kamikaze che non voleva morire”: la recensione su fantascienza.com

Claudio Marinaccio ha all’attivo diversi libri, tutti decisamente originali e brillanti, ma non di fantascienza. È quindi la prima volta che tocca questo genere, con alcuni racconti compresi nel suo nuovo libro, La folle storia del kamikaze che non voleva morire. Quando non scrive libri si occupa di libri (e altri argomenti), per Huffpost, Wired, La Stampa e altre testate.

Il libro

Undici racconti. Undici storie che raccontano il mondo d’oggi attraverso avventure terribili seppur piene di ironia. Claudio Marinaccio racconta una realtà dalla quale è difficile uscire indenni. Una donna che soffre del delirio di negazione, la fusione tra i due più grossi colossi del mondo multimediale, il tentativo di sintetizzare chimicamente l’amore, zombi, alieni, soldati, padri pronti a tutto e kamikaze che non vogliono morire. Uomini comuni che tentano disperatamente di sopravvivere, nonostante tutto. Marinaccio si dimostra una delle voci più interessanti della narrativa italiana contemporanea con una scrittura tagliente e diretta, ma soprattutto con il suo modo di raccontare quello che viviamo e che spesso facciamo finta di non vedere.

“La folle storia del kamikaze che non voleva morire”: la recensione di Ippolita Luzzo su trollipp.blogspot.com

“La folle storia del kamikaze che non voleva morire”: la recensione di Gabriele Ottaviani su convenzionali.wordpress.com

Gabriele Ottaviani

In poche parole è già deciso che tu morirai, devi solo decidere la modalità. A quel punto, immobile davanti al nulla della mia esistenza, decisi di accettare la falsa offerta, cercai di auto convincermi di essere una sorta di eletto. Un prescelto mandato dal cielo per risolvere i mali che affliggono il pianeta Terra. Il mio sacrificio avrebbe condotto il genere umano alla salvezza. In fondo è così che Gesù è diventato famoso, sacrificandosi per gli altri. Il dottor Reich mi iniettò qualcosa con una grossa siringa dall’ago lucente. Mi avvolse il buio, quello vero. Percorrevo il cammino nel bosco a ritroso. C’era un sole pallido che non scaldava nulla, però era in grado di farmi sudare. Sotto la camicia avevo circa tre chili di esplosivo cuciti sulla pelle ed in tasca tenevo il telecomando per porre fine alla mia vita terrena e per condannare quella ultraterrena. Speravo di non cadere per evitare botti inutili. Mi facevano male sia le cuciture che legavano l’esplosivo alla pelle sia le ossa per le botte ricevute. La mia lingua giocava con il labbro rotto e mi resi conto che un dente dondolava pronto a cadere. Anche se dubito che nessun topolino mi avrebbe lasciato una moneta, al massimo mi avrebbe divorato una volta morto. Con l’aiuto di una mappa disegnata a matita su un foglio, cercavo di trovare la strada che mi avrebbe portato alla città dove sarei morto massacrando dei pazzi innocenti. Come una medicina che uccide il cancro. Come un veleno che uccide i piccioni. D’un tratto vidi la mia ombra più definita, barcollava e ritornava come prima, pensavo fosse ubriaca. Una luce intensa arrivava da dietro le mie spalle. Mi voltai e vidi un grosso incendio provenire dall’accampamento che avevo da poco abbandonato, non potevo tornare indietro. La mia non era pienamente codardia ma indossavo materiale esplosivo che non andava molto d’accordo con il fuoco. Incominciai a scappare come se fossi inseguito da un animale feroce. Ancora una volta correvo per cercare di sopravvivere.

La folle storia del kamikaze che non voleva morire, Claudio Marinaccio, Miraggi. Claudio Marinaccio ha una gran bella prosa, che si manifesta in tutta la sua spiccata policromia quale che sia il testo cui decide di dedicare tempo, passione e attenzione, che si tratti di un articolo, di un saggio, di un racconto, un romanzo o un post su Facebook: intelligente, vivace, colorata, brillante, sapida, arguta, lieve ma mai superficiale, seria ma niente affatto seriosa, convincente, originale, ironica, sarcastica, irriverente senza la benché minima traccia di spocchia egoriferita che è invece di norma caratteristica peculiare di chi si sente Moravia ma ha problemi anche col plurale di valigia. In questa sua nuova opera, che convince, commuove, emoziona e fa riflettere sin dalla dedica, Marinaccio, in Delirio di negazione, FooG, Una giornata da dimenticare, Una barba lunga un mese, Il tragico inizio di una storia non banale, Pelle, Amore farmacologico, Un viaggio mentale in una terra desolata, La folle storia del kamikaze che non voleva morire, Così diversamente uguali e La ballata del ladro di anime, un capolavoro di bravura che fa pensare che un giorno Haruf, Fante e Chandler si siano stretti la mano e abbiano deciso di collaborare, un vero romanzo a sé, ritrae con crescente – il filo rosso che unisce le parole disegna nel cielo del testo un vero e proprio climax ascendente – autorevolezza, sardonica gioia e al tempo stesso una solennità potente e aulica benché mai pedante e/o pesante, ed esaltata dalle splendide illustrazioni di Luca Garonzi, che, altamente narrative a loro volta, punteggiano e intervallano la narrazione, tutte le declinazioni dell’alterità rispetto all’anonima quotidianità della prepotenza del vivere. Imperdibile.

“Non disturbare”: la recensione su tremandorle.wordpress.com

Non disturbare: l’ironia di Marinaccio si abbatte su chi ha sempre qualcosa da dire (o da proporti)

La stand-up comedy in forma scritta: è “Non disturbare”, di Claudio Marinaccio, torinese, scrittore (Linus, Il Mucchio Selvaggio, Gq, Donna Moderna) e lavoratore (ma mantiene il più stretto riserbo su cosa faccia nella vita: nulla di illegale, comunque…). Se negli States si tratta di uno dei generi di maggiore successo – e di maggiore difficoltà, visto che la presa sul pubblico non deve mai calare, uno contro tutti a teatro come negli show televisivi -, in Italia è una forma di intrattenimento ancora poco frequentata, se non ignorata (o evitata) del tutto. Marinaccio ha accettato la sfida, passando dal romanzo d’esordio (“Come un pugno” del 2016) a un libro costruito su descrizioni fulminanti e dialoghi nonsense. Un susseguirsi di ritratti e situazioni nato dalle sollecitazioni su Facebook.

“Scrivevo dei post, in cui prendevo in giro quelli che ti scocciano al citofono oppure al telefono. I Testimoni di Geova che vogliono convertirti o i call-center delle aziende che vogliono farti firmare un contratto. Erano dialoghi surreali. Sono piaciuti, ne ho ideati altri ed è nato il libro. Volevo creare una stand-up comedy scritta. Da noi non tira, negli Stati Uniti va alla grande: c’è un professore di lettere che ha definito la stand-up comedy un genere letterario e la insegna così. E’ libera, racconta la realtà per come è sporca. Negli States sanno ridere di tutto in maniera intelligente, partendo dalle situazioni di vita quotidiana. Come ho provato a fare io”.

Perché il titolo “Non disturbare”?
“Siamo sempre in comunicazione 24 ore su 24, tra internet e WhatsApp. Non rimaniamo più da soli. Riceviamo milioni di input, tutti possono avere un’opinione e oggi manca un’intimità dell’opinione. Non sono obbligati a dirmela, invece lo fanno. Adoro una citazione di Palahniuk: “Quando ti chiedono come è andato il week-end è perché non vedono l’ora di raccontarti il loro week-end”.

Riflette il tuo modo d’essere?
“Amo stare in mezzo alla gente, la mia famiglia è numerosa e nel libro spuntano nonne e zie. Ma mi piace anche la solitudine in mezzo alle persone, senza uno scambio di parole. Si tratta di spazi vitali da difendere, si deve poter ritagliare la propria solitudine”.

E’ la posizione da cui guardi chi diventa protagonista dei tuoi racconti?
“Mi piace osservare quello che succede: entrare in una bar, vedere le persone, anche ascoltarle. Lo adoro. E poi mi piace passeggiare, ti dà la misura della realtà. Ti costruisci un’idea della gente e vedi le cose”.

Riveli una passione per i Testimoni di Geova…
“Ora mi scrivono quando al citofono si presentano i Testimoni di Geova. Non ho niente contro di loro ma mi fa ridere questo essere fuori del tempo, questa idea di convertire al citofono”.

E’ stato complicato il passaggio dal romanzo al racconto?
“Il romanzo è più vincolante nello sviluppo della trama, i racconti sono molto più liberi. A me sono sempre piaciuti i grandi classici: Hemingway, Dostoevskij, Bukowski. In loro è presente un’ironia di fondo, la mia è più cinica, quella che maggiormente si addice ai pezzetti di vita di “Non disturbare”.