â la teneva in braccio come le ali sul dorso â
dispiegava il foglio tirando via gli angoli
e su mezzi quadrati spalmava la colla
come un bambino allâalba fa con la Nutella.
E apparivano i santi, le madonne, le grazie,
il miracolo del progresso, i numeri magici,
la vie en rose, paradisi per morti di fame,
perfino terre promesse con tanto di account.
Noi come al solito si stava ad un solo passo
dalla linea gialla che separa la terra ferma
dal convoglio, e ci siamo scambiati uno sguardo
solo quando lâArcangelo, sâĂš sfilato dal coro
novello Mercurio, che lâaveva stampato in faccia
il pensiero vero, lâoracolo â il affichait un sourire â
Tutto era oro, tutto era loro, solo e nientâaltro.
Nella luce fra spettrale e esotica dellâalba, un penultimo, un attacchino che si rivela messaggero dâaltri mondi, apre un varco spazio-temporale su un muro della realtĂ , da cui irrompe un flusso inarrestabile e multicolore di immagini edeniche, di sogni digitali con tanto di account, di deitĂ arruolate alla promozione consumistica. Ă uno degli schemi tipici di Penultimi, quello dellâagnizione, della rivelazione che squarcia la realtĂ nel veleggiare di una busta di plastica, nella trasfigurazione in oranti dei pendolari assonnati nei convogli, o perfino nellâenigmatico discorso cromatico dei semafori.
CâĂš nei foulard delle donne in questa alba buia, nella cura dei nodi la timida traccia di un presente senza memoria alcuna della faccia e senza oblio qualcosa di simile al tenue profumo degli alberi allâuscita di casa, ai piĂč nitidi canti degli uccelli.
Negli allers/retours descritti, apparentemente sempre cosĂŹ uguali, esiste una dimensione particolare, intensamente poetica, fatta di albe e folle silenziose, di viaggi con i corpi ancora intorpiditi, in cui lâio si ritrova nitidamente, fatalmente solo con se stesso, riflesso nei volti di chi come lui fa i conti con la vita e con il giorno che incomincia.
Tale dimensione si sviluppa su un doppio binario linguistico. Lâautore Ăš infatti docente di italiano in scuole fuori Parigi: il percorso che lo conduce al lavoro Ăš la rappresentazione concreta della perenne oscillazione in cui vive ogni expat, diviso fra lingua madre e lingua dâadozione. Diviso, ma anche arricchito: questa edizione bilingue ne Ăš la prova tangibile e una particolare forma di pendolarismo si offre anche al lettore, che puĂČ scegliere se procedere in direzione dellâitaliano o del francese, o addirittura sperimentare una fruizione sincopata, spostando lo sguardo da destra a sinistra e leggendo un verso in una lingua e uno nellâaltra:
Oggi ai penultimi parevano piĂč nitidi i canti degli uccelli avec ces variations de lumiĂšre et le changement des saisons cosĂŹ ad aspettare il convoglio vâerano piĂč dei tanti en tĂȘte ou en queue selon leur destin.
Cari penultimi vi devo raccontare di come per tratti di strada a questâora che perfino il vento pare sussurrare cose dai portoni delle case la Ville LumiĂšre espone dei tableaux vivants nella morsa del freddo e tra le grate che sbuffano nuvole di fumo bianco.
La sagoma di Rimbaud fa capolino a piĂč riprese in questa raccolta, come lâangelo «in mano a un barbiere» dellâOrazione della sera, certo piĂč provocatoria, ma non lontanissima dallâ«orazione/alle stelle ormai scappate via» dei matti raccontati da Forlani; difatti ecco apparire, nel componimento immediatamente successivo, le celebri voyelles, sparpagliate su un muro di Parigi.
Nelle storie dâamore ho a volte come lâimpressione che tutta la propria storia, le proprie storie dâamore, non siano altro che il tentativo di forgiare le armi che in quella prima grande storia avrebbero potuto salvarci dalla disfatta. E accade che anno dopo anno tanto piĂč lâesperienza accresce la consapevolezza della propria invincibilitĂ quanto piĂč si sa con estrema luciditĂ che non ci sarĂ mai piĂč nessun nemico ad affrontarci in campo aperto.
Molteplici possibili letture si offrono a chi si accosta ai Penultimi, figure-chiave del contemporaneo, esseri angelicati atti a provocare quel risveglio necessario auspicato dallâautore in chiusura di volume.
Accade talvolta ai penultimi nel dormiveglia di intravedere cose, smettere di ragionare e lasciarsi portare dalle cose stesse per strade impraticate e smesse. Ora Ăš una busta di plastica nel suo veleggiare da un lato allâaltro del viale Daumesnil, Ăš presto, sospinta da un attimo di vento, dalla luce sospesa e rosa, pareva una medusa tra perduta gente, sola, assistere come me discreto, al florilegio di luci verdi e rosse, e gialle intermittenti a tratti sullâasfalto del crocevia e impartivano ordini come marescialli dâantan a unâarmata di disertori, a soldatesche assenti. Nei comandi di luce dei semafori piegati ad arco sulle strade vuote risuonavano i principi e la carta dei diritti umani urlati a una cittĂ deserta.
Un filo fatto di attrazione e compassione sembra legare Francesco Forlani alla metropoli e alle sue dimenticanze, sentimenti che lâautore indaga nel pieno della loro ambivalenza e complessitĂ , attraverso le diverse angolazioni che assume nel suo quotidiano e silenzioso osservare. Se a ogni diversa traiettoria di sguardo corrispondono pari reazioni e sentimenti, Forlani in Penultimisi fa ricettacolo e interprete di un vasto e stratificato sentire.
Penultimi sfugge dunque allâunivocitĂ , come ne sfugge la realtĂ che Ăš suscettibile allo sguardo, e quello che si vede oggi, non sarĂ ciĂČ che ritroviamo domani: una questione di prospettive. Ci sono pieghe dei nostri paesaggi quotidiani che rimuoviamo alla vista, svaniscono dalla nostra realtĂ oggettiva, con lâeventualitĂ che passi una vita intera senza che si riesca, o semplicemente si possa, vedere quello che si accumula ai lati delle nostre orbite. Ed Ăš qui che interviene la letteratura, e in questo particolar caso la lettura di Penultimi, per togliere il velo e indirizzare fasci di luce su dettagli sfocati. Anche al saper guardare serve un certo esercizio, e alla questione di prospettiva si unisce anche una questione di attenzione:
Ho pensato a tutte quelle volte che mi Ăš capitato di percorrere una spiaggia a sera deserta, fuori stagione, un campo di calcio dimesso, un luogo qualunque abitato dalla compresenza di quello che era in un tempo prima nel pieno e di quello che appariva ora nel dopo.
Francesco Forlani dimostra in questi componimenti due o tre grandi doti di narratore, lâattenzione di osservanza e un senso compassionevole, scevro di patetismi, che ci riporta dâun tratto, oltre la geografia e alla temporalitĂ , al sentimento corale che riempie le vie di Conversazione in Sicilia.
«Basta un sorriso, davvero poca cosa, al penultimo \ incrociato o seduto a una fermata o nel clic-clac \ dei portali dei convogli», riflette Forlani nel suo vagabondaggio crepuscolare casa-lavoro. Di fronte al riconoscimento di esistenze penultime, nasce nellâautore un sentimento collettivo, che accosta allâestraneitĂ la compartecipazione ma anche la gratitudine. In particolare questâultima si presenta come una predisposizione peculiare e interessante, che riconosce al penultimo la sua funzione precisa e importante in una metropoli alienante che si sta facendo sempre piĂč desertica: «Fino a quando ci saranno i penultimi questo vorrĂ dire che câĂš ancora margine per lâumanitĂ , che non siamo giunti alla fine del viaggio, al termine della notte».
In linea con la materia poetica Ăš la scelta dellâambientazione che fa da cornice ai componimenti. Ogni frangente Ăš ambientato ai margini del giorno in un perenne paesaggio crepuscolare, dallâ«alba buia» che si confonde con la «fine del giorno», immersi in un «istante di luce sospeso» che si tinge di «pastello, in un virato seppia» e toglie il colore della differenze che fa la luce del giorno. I luoghi sono i treni, i vagoni vuoti o affollati della metrĂČ, le strade stanche alla fine della giornata, quando capita di incontrare e prestare maggiore attenzione ai penultimi: «Lei dormiva sottocoperta e lui periscopiava il mare dâasfalto come un naufrago perlustra le distese dâacqua in attesa di aiuto».
Libro dalla natura composita, nella forma e nella sostanza, le ultime pagine di Penultimisi allontanano dallâimpressione narrativa e si dipanano in una prosa di piĂč ampio respiro, ma che non tralascia lâenigmaticitĂ lirica, in cui trova spazio lâinterrogativo â «Quando Ăš cominciato tutto questo?» â e la riflessione ragionata:
Ammettere che la pietra gettata ha scalfito il tratto, ridotto il camminamento, costretto a levare i ponti e ficcato la mente nello specchio dâacqua putrida del fossato che ci separa e unisce a loro dal lembo a lembo delle forze schierate in campo.
Basta il pensiero di queste cose e quelle a far sollevare lo sguardo, a osservare meglio di fuori sporgerti per scoprire che quelli che sembrano i tratti ingrugnati del nemico sono solo il riflesso del tuo stesso volto nellâacquitrino di cinta e che un solo rimedio al fronte interno vale a quel punto, liberare il portale, calare il ponte, issarsi a riveder le stelle e respirare forte e dire: vita, ehi vita mia, urlare: grazie.
I penultimi non sono gli ultimi. I penultimi possono ancora trovare ciĂČ che resta della civiltĂ occidentale, delle sue idealitĂ : la comunanza, la commozione, la morbidezza di ciĂČ che Ăš sensuale, corporeo, vitale. Possono ancora concepire la speranza del cambiamento. Il mondo che emerge non Ăš piĂč quello dellâalienazione operaia ma quello dellâapartheid prodotta dalle nuove oligarchie finanziarie. La societĂ tende a dividersi in caste non piĂč in classi come nel â900, le persone, sempre in movimento pendolare, restano immobili, lâOccidente sembra tutto retrodato a vecchio regime, a prima della rivoluzione borghese, Ăš un mondo neofeudale, appunto. Di questo mondo Forlani dice con tenerezza e crudeltĂ . Con un contributo di Biagio Cepollaro.
                                                                              (p. 104).
Come un viaggio che ricorda Canto alla durata di Peter Handke, cosĂŹ Francesco Forlani ci porta tra i penultimi, ossia, coloro che ancora conservano qualcosa del nostro vecchio Occidente.
Le sue parole vanno al di lĂ della tradizione, della nostalgia; non câĂš aria di polemica nei suoi versi, ma riecheggia la domanda delle domande: qual Ăš il senso di ogni cosa? Ma come sappiamo la risposta da dare sarebbe tanto ovvia quanto impossibile.
Le poesie di Francesco Forlani, per Miraggi edizioni, parlano di un universo di abitanti silenziosi, tra strade deserte e lo sferragliare dei tram
La strada non Ăš per persone sole, il cammino Ăš sempre e comunque di tutti”.
Penultimi di Francesco Forlani, pubblicato da Miraggi in edizione bilingue, francese e italiano, Ú lo sguardo attento di un universo sommerso, abitante silenzioso e senza diritti.
“Basta davvero poca cosa, ma preziosa, al penultimo Per sentirsi seppur minima parte, un pezzo di questo mondo CosĂŹ i tre boccioli di rosa, sulla piattaforma, in pieno inverno”.
Il verso Ăš una brezza leggera, ritmata, incessante. Fa intravedere analogie per poi tornare al quotidiano scandito dallo sferragliare dei tram, da “ascensori non verticali ma obliqui”, da strade deserte. Le forme degli oggetti assumono contorni vaghi nel tentativo di esplorare il disagio sociale. Le panchine offrono riparo sostituendo gesti amorevoli che non arriveranno.
Francesco Forlani passa dalla poesia alla prosa mantenendo rigore narrativo. Non deraglia cercando l’aneddoto. La sua scrittura Ăš affollata da volti e voci che dispendono i loro respiri in una nenia dolorosa. Figure che “a schiena dritta” provano a correre continuando ad immaginare un futuro. Esistenze rappresentate da coperte invecchiate, da sacchetti di plastica semi vuoti. Conoscono “la poetica della distanza”, ne sperimentano l’aspra dissonanza che arriva da case illuminate dove la luna ha lo sguardo benevolo.
Le immagini, in bianco e nero, si aprono lasciando spazio ad altre storie immaginate. I tratti decisi mostrano la notte dell’umanitĂ , quella notte che non conoscerĂ l’alba se non sentiremo “rinascere dentro un soffio di vita nova, il gorgoglĂŹo, la misura della forza”. Ritrovare le parole per urlare insieme: “vita, ehi vita mia, grazie”.
“Fino a quando ci saranno i penultimi questo vorrĂ dire che câĂš ancora margine per lâumanitĂ , che non siamo giunti alla fine del viaggio”.
La rassegna ai Docks introduce la poesia nella Settimana dell’arte in programma letture e performance, musica elettronica e proiezioni (29 ott. 2019)
«La poesia non solo non Ăš morta, ma non fa morire. Ă una terapia d’urto». Francesco Forlani ha appena finito di scrivere la sua ultima raccolta di rime: «Penultimi» (Miraggi edizioni) e sarĂ uno degli ospiti d’onore della terza edizione di «Nexst», il festival di arte indipendente curato e organizzato da Olga Gambari e Annalisa Russo che da oggi fino a domenica invaderĂ la cittĂ con proiezioni, performance, esposizioni, video, musica elettronica. E poi tanti, tantissimi versi. Quest’anno infatti, la manifestazione avrĂ un focus dedicato alla poesia come pratica artistica contemporanea e laboratorio di ricerca. Ai Docks Dora di via Valorato 68, che in questi giorni si trasformeranno in una cittadella dell’arte con undici spazi aperti al pubblico, Forlani, che si definisce un artista «prepostumo», presenterĂ in anteprima il suo volume e la sua personale ode ai penultimi raccontando «l’ultimo avamposto della gentilezza umana: quella dei lavoratori che si ritrovano alle 5 di mattina dentro le carrozze della metro».
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