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Malapace – recensione di Vincenzo Mazzaccaro su Sololibri.net

Malapace – recensione di Vincenzo Mazzaccaro su Sololibri.net

Dopo lo straordinario Edipo a Berlino, che era incentrato sulla vita del ghetto di Varsavia, nella collana “scafiblù” di Miraggi edizioni per gli scrittori cui piace stare ancora scomodi, liberi di raccontare ancora di guerre e di nequizie, Francesca Veltri con Malapace torna al periodo della Seconda guerra mondiale ancora una volta, narrando una storia privata, di un uomo che sbaglia tutto, pur di mantenere una esile pace.

La scrittrice ha fatto un lavoro faticoso sulle fonti scritte, guardando e prendendo appunti da faldoni il cui argomento era la Francia occupata dai nazisti. Se un pezzo della nazione è sotto il potere dei nazisti, perfino la città dell’Illuminismo, Parigi, una parte cospicua di Francia sigla un accordo di pace coi tedeschi, in un governo presieduto da Pétain, in realtà un “fantoccio” collaborazionista in quel di Vichy.

Il romanzo si apre proprio con il Ministro della Propaganda di Vichy, Francois, in carcere a Camp de Carrères, nell’ottobre del 1944, che sta molto male, per problemi cardiaci e polmonari, e d’improvviso si ritrova in cella Antoine, un suo vicino di casa che lui ricorda bambino. Ora Antoine è stato arrestato per delitti ignobili verso le persone. Sembra sia una spia tedesca incaricata di scovare ebrei francesi da portare ai campi di concentramento.
Francois è stato talmente cieco che chiede a Antoine se, ora che la guerra sta finendo, gli ebrei potranno tornare a casa.

Antoine nicchia, ma sa qualcosa di orribile, di mai visto prima e racconta dei campi e delle stanze dove vengono gasati. Il compagno di cella sente su di sé tutti gli sbagli commessi nella sua vita e l’autrice ce lo mostra bambino e poi adolescente, che conosce Martine; mentre a vent’anni conosce Jean-Pierre, se lo ricorda bene, perché si era appena iscritto al Partito Comunista. Non stava più bene a casa, perché la madre si era messa con un industriale, ma il ragazzo non voleva nulla da un estraneo come quello, coi soldi, e si mise a studiare come un pazzo e si iscrisse in un gruppo di preghiere. Credente e comunista, le tante facce che aveva Francois anche da giovane, ma tutte a fin di bene. All’Università studiava tantissimo, appunto, ma pensava a Jean-Pierre.

In realtà Francesca Veltri questa amicizia così speciale la fa finire, con Jean-Pierre che non si presenta dagli amici, perché preferisce fidanzate occasionali che duravano lo spazio di un mattino. Questo andare e venire dai ricordi al carcere è una pietanza troppo amara per il lettore, che trova un ragazzo di grande ideali da giovane, mentre quello del carcere è un uomo svuotato, rassegnato, malato, costretto a parlare con un fascista come Antoine.

L’autrice ha il dono di parlare nella stessa pagina del presente e del passato. Infatti una sera Martine conobbe Jean-Pierre e la notte stessa erano già amanti e divennero una coppia solida e affiatata. Questo prendere atto della nuova situazione sembrò un sollievo per Francois, ma anche un distacco, dal momento che lui amava entrambi.

Ma l’autrice non cade in un facile psicologismo di maniera, o meglio lascia a noi la scelta. Perché sicuramente, dopo che i suoi amici si misero insieme, lui si sentì abbandonato e spaventosamente solo. Rivedrà la coppia solo anni dopo, quando i due avevano già una bambina, e solo dopo mille peripezie, con Jean-Pierre che morì per le botte che aveva preso dai fascisti francesi, Francois cerca di far emigrare Martine e la bimba; ma lascio al lettore la possibilità di scoprire come andò veramente.

Quello che accadde servi a Francois per aprire gli occhi sul suo “crudele” pacifismo, come aveva potuto credere che i tedeschi prendessero sul serio la non belligeranza nella Francia di Pétain, se stavano perdendo dappertutto, che anche coi nazisti la Germania cominciava le guerre per poi perderle tutte, come uno strano destino di crudele ambizione che tuttora la Germania dell’Europa unita, a volte ha nei confronti di altre nazioni europee, per poi ritirarsi in buon ordine. Ma ci sono voluti anni e guerre e distruzione e la riduzione significativa degli ebrei che vivono tuttora in Europa e non nel paese scelto, Israele.

Francesca Veltri ha fatto un lavoro certosino e faticoso per studiare carte e faldoni della Francia occupata e di quella libera “per finta” del governo Pétain, ha studiato le motivazioni del collaborazionismo di gente perbene, e tornata di nuovo, dopo il romanzo fluviale Edipo a Berlino, a guardare carte che attestavano il numero di ebrei che riuscì a emigrare in altri paesi nel periodo bellico.

Tutta questa fatica ha prodotto un libro ineccepibile, perfetto, ma con un retrogusto amarissimo di chi, studiando, ha capito che tuttora l’Europa unita non è esente da errori madornali e da Stati membri che si sentono investiti da un potere decisionale maggiore, come appunto la Germania e la Francia (l’Inghilterra con la Brexit, si è tenuta lontano da questa macro area).

Nondimeno un libro necessario, importante, candidato allo Strega 2023, ma poi rimasto indietro con altri sessantasette libri che non hanno passato il turno per l’accesso alla dozzina finalista.

QUI l’articolo originale:

https://www.sololibri.net/Malapace-Francesca-Veltri.html

“NOVÁVLNA”. Intervista di Antonello Saiz ad Alessandro De Vito

“NOVÁVLNA”. Intervista di Antonello Saiz ad Alessandro De Vito

Questa settimana, per Le Tre Domande del Libraio, incontriamo Alessando De Vito di Miraggi Edizioni, per farci illustrare il progetto editoriale della Collana NováVlna, da lui curata, in occasione anche di uno dei ritorni più attesi di questi ultimi tempi, quello di Bohumil Hrabal che, dopo la raccolta inedita de ” La perlina sul fondo del 2020, è tornato in libreria , alla fine dello scorso anno, con un nuovo libro dal titolo “Compiti per casa (Riflessioni e interviste)”

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Alessandro, a partire da questa frase di Bohumil Hrabal « Ho inchiodato rotaie, fatto il capostazione, offerto polizze assicurative, ho lavorato come commesso viaggiatore, operaio di acciaieria, imballatore di carta da macero e macchinista teatrale. Quello che volevo era sporcarmi con l’ambiente, con la gente comune, e trovarmi a vivere, ogni tanto, l’esperienza sconvolgente di scorgere la perla sul fondo dell’essere umano. » ci racconti qualcosa in più,  qualche aneddoto inedito sulla vita di un personaggio di questo calibro ?

Non è facile trovare aneddoti “inediti”, perché Hrabal ha utilizzato proprio le sue esperienze di vita come materiale per molta parte dei suoi testi. E l’ha fatto potremmo dire “scintificamente”, come si può comprendere dal breve brano che introduce “La perlina sul fondo”. Quello è un elenco formidabile di mestieri diversi, cercati da lui negli anni, come dice, per “sporcarsi”, lui laureato in legge e con pessimi voti a scuola in lingua ceca, con la vita comune e i suoi protagonisti. Non a caso l’altro suo luogo d’elezione, oltre fabbriche ferrovie magazzini e officine, era senza dubbio la birreria, perfetto e variopinto crogiolo in cui i discorsi delle persone si mescolano e accavallano senza sosta, con le mille storie ed esperienze che attraverso le parole riprendono vita. Da un lato era una ricerca di umanità, anche di commozione, una  partecipazione intima al consorzio umano, alle malinconie e alla fragilità della vita, su cui non si può far altro che scherzare e bere, che traspare in tutta la sua produzione. I piccoli fatti dei piccoli uomini, che in definitiva però fanno la storia: una tradizione questa, diffusa nella letteratura ceca, dallo Švejk di Hašek ai personaggi di Čapek, alle molte eco della letteratura popolare in tutti i grandi autori.

Questo “sporcarsi” di Hrabal assume anche una notevole forza considerando l’epoca e la situazione politica della Cecoslovacchia sotto il regime comunista. Paradossalmente si potrebbe dire che proprio Hrabal va autenticamente a cercare la vita, le esperienze e le parole del popolo, mentre la letteratura e il cinema di regime magnificavano la vita proletaria in modo assolutamente stereotipato, attraverso cliché assolutamente lontani, statici nella loro fissità ideologica.
E fin qui mi riferivo alla narrativa. Non sono pochi anche i suoi libri di commenti, conversazioni, interviste…
Difficile trovare il fatto inedito, quindi, quanto inutile probabilmente cercare quanto ci sia di vero in tutto quello che ha scritto. Sempre che sia importante.


Alessandro ci inizi a raccontare qualcosa in più su questo libro arrivato in libreria in questo autunno e che raccoglie testi molto vari tra di loro, racconti, articoli, apologhi, riflessioni sulla letteratura e sulla scrittura, resoconti di viaggio, e dal titolo “Compiti per casa”, soffermandoti sullo stile di scrittura che lo caratterizza e le eventuali difficoltà incontrate dalla traduttrice Laura Angeloni?

Come accennavo, è un libro non direttamente narrativo, non si tratta di racconti, novelle o di un romanzo. Ci sono testi che possiamo considerare alla stregua della “cassetta degli attrezzi” dello scrittore, dove spiega, o piuttosto racconta, la sua poetica. Ho detto “non direttamente” perché in realtà Hrabal non fa altro che raccontare, anche nei punti più “saggistici”, infarcendo ogni brano di dettagli e riferimenti che creano digressioni, aneddoti, altri spunti narrativi. Hrabal racconta di questa sua incessante ricerca di autenticità, dei personaggi, delle storie e soprattutto del linguaggio. Se a prima vista infatti sembra di leggere discorsi comuni, non si può non riconoscere il grandissimo lavoro di cesello di un geniale letterato, a tratti anche sperimentale, con una modalità mai fine a se stessa. La lingua che risuona tra gli avventori accomodati ai tavolacci durante il rapido svuotamento dei boccali delle birrerie e quella dei discorsi degli operai tra i macchinari industriali, tra facezie, sentire comune e nell’incombenza di qualcosa di tragico, è autentica in quanto processata, come da tempo ha riconosciuto la critica, nonostante lui stesso si sia spesso definito un “semplice trascrittore” di ciò che ha incontrato nella vita.

Ovviamente questo appare chiaro al traduttore, nel caso dei nostri due volumi la bravissima Laura Angeloni, con la cura e l’occhio vigile del prof. Alessandro Catalano. Hrabal “reinventa” la lingua, “trascrivendola”. A tratti il suo scritto non è facilmente comprensibile neppure ai cechi, quindi possiamo immaginare la difficoltà (che come si diceva, attenzione, tende a non apparire al lettore). La curatela di un grande esperto è qui fondamentale proprio perché per tradurre Hrabal bisogna saper navigare in tutta la sua opera, non si può improvvisare.
Altri testi sono relativamente più semplici, in particolare le conversazioni e interviste, e a tratti anche molto divertenti. Era un personaggio particolare, se si ha presente l’ambiente delle birrerie praghesi spesso si ha l’impressione di sentire anche quei gusti e odori, e sentire il chiacchiericcio di fondo. Non è casuale che molte interviste con lui si siano svolte in birreria, che alla storica birreria Alla tigre d’oro siano andati a bere con lui il presidente Clinton e il presidente ceco Havel (e che, si parvissima licet, lì gli abbia stretto la mano anche io, in un fumoso pomeriggio dei primi anni Novanta).


Compiti per casa è prima di tutto una raccolta di piccole gemme del grande scrittore ceco, ma diventa anche una porta di accesso privilegiata per entrare e approcciarsi al mondo di Hrabal. Sono passati quasi tredici anni dalla creazione di Miraggi e già diversi anni dal progetto di questa Collana innovativa, ci vuoi spiegare da quale urgenza nasce la Collana e poi come si incastra la scelta di questo lavoro accurato sulle opere di uno dei più originali scrittori cechi del Novecento all’interno di NováVlna e se ci vuoi raccontare anche le prossime novità e scoperte?

Qualcuno potrebbe dire che per approcciare l’opera di Hrabal sia meglio partire da uno dei suoi celebri romanzi, dai suoi capolavori. E sicuramente “Compiti per casa” è un libro che potrà far leccare le dita al lettore che già conosce e ama Hrabal, ma credo anche che, quando un autore è così un tutt’uno con la sua opera, cominciare a “parlarci” (questa è l’impressione) come se lo si incontrasse davanti a un boccale di Plzeň possa essere un ottimo primo approccio. Hrabal ci cattura, personalmente io devo stare attento, se distrattamente (e lo faccio spesso) apro a caso un suo libro e mi metto a leggere, rischio di ritrovarmi che sono passate due ore senza rendermene conto.

La collana, che ci è piaciuto chiamare come la Nouvelle Vague cecoslovacca, soprattutto cinematografica, degli anni Sessanta, nasce dopo che abbiamo cominciato a dedicarci alle traduzioni, nel 2016. Nel giro di poco, soprattutto per mio impulso, dato che sono per metà di origine ceca, le traduzioni dal ceco sarebbero state così tante rispetto alle altre che è parso una logica conseguenza fondare una collana a sé. Inoltre da molti anni mancava in Italia una collana dedicata alla sola letteratura ceca…
Già dall’inizio abbiamo pubblicato un panorama di nuovi autori , in verità quasi tutte autrici – sarebbe un discorso interessante da affrontare anche questo – insieme al recupero di alcuni classici, o mai tradotti o in nuove traduzioni, dopo che erano passati decenni dalle prime. Confrontarsi con il genio di Hrabal è venuto naturale, e cercare di colmare le lacune di traduzione anche.
Sia attraverso i testi del passato sia con quelli contemporanei inoltre mi sembra interessante contribuire a far conoscere meglio e creare un ponte tra la cultura italiana e quella ceca, che mi sembrano ancora considerate molto più distanti di quanto dovrebbero. Dico solo che spesso conosciamo meglio letterature lontane, più o meno esotiche, capaci di imporre variamente il loro modello, e ignoriamo chi siano i nostri vicini di casa europei. In questo senso mi sento nel pieno della funzione, se non della missione, di una piccola casa editrice di progetto, e devo sempre ringraziare del supporto le istituzioni culturali ceche, con cui spesso collaboriamo splendidamente.
Vedo che man mano il nostro seguito aumenta, mi pare che anche libri “particolari” trovino il loro pubblico, non secondariamente grazie al sostegno e alla fatica quotidiana dei librai che se ne innamorano.
Invito tutti a continuare a seguirci: nei prossimi anni continueremo a pubblicare autrici e autori straordinari come Bianca Bellová, Markéta Pilátová, Tereza Boučková e Jan Balabàn, e tra i classici abbiamo in lavorazione ben tre libri del grande Škvorecký, e una graphic novel sulla vita del celebre corridore Emil Zatopek, dopo quella tratta da RUR di Čapek, con l’origine del nome “robot”. Ma la novità più “pesante”, in senso buono, di quest’anno, sarà un libro che è davvero un’impresa al limite della follia, per il quale di nuovo devo ringraziare le capacità e la sconfinata passione di Laura Angeloni.  Si trada di “Ore di piombo”, un romanzo di circa 1000 pagine scritto da una grandissima autrice ceca, Radka Denemarková, già insignita di molti premi, e figura di intellettuale impegnata su diversi fronti. Già tradotto in Germania (tra l’altro la Denemarková è la traduttrice ceca del Nobel Herta Müller), è previsto in uscita per settembre, ed sarà uno di quei libri che fanno epoca, il grande romanzo dei nostri tempi, del cosiddetto “secolo cinese”, che affronta in tutta la sua complessità con risultati straordinari. Uno di quei libri-mondo che anche dal punto di vista editoriale presuppongono una certa dose di incoscienza. Miraggi, presente!

Buona Lettura, a questo punto, de “La perlina sul fondo ” e ” Compiti per casa ” di Bohumil Hrabal e di tutti i meravigliosi libri della Collana NováVlna

QUI l’articolo originale:

Malapace – recensione sul Corriere della Calabria di Antonio Chieffallo

Malapace – recensione sul Corriere della Calabria di Antonio Chieffallo

“Malapace”, i tormenti della politica e della memoria

L’ultimo libro di Francesca Veltri affronta l’eredità difficile del Dopoguerra e i suoi effetti sulle storie personali dei protagonisti

«Mi sono lasciato andare sul cuscino, mentre il prete ungeva la fronte. Ho provato a sbattere le palpebre, non distinguevo più bene le voci né i volti. La sola frase che ho colto con chiarezza era anche l’unica che m’interessasse, – non passerà la notte -. È difficile spiegare la gioia che ho provato. Non ci sarebbe stata più un’altra notte».
Poche righe che, però, sono sufficienti a delineare l’intensità narrativa di “Malapace”, edito da Miraggi, l’ultimo romanzo di Francesca Veltri, scrittrice e docente universitaria all’Unical. La storia inizia nell’ottobre del 1944, in un campo di prigionia alleato dove è detenuto Francoise, con un passato nelle file del Partito Socialista, poi a fianco dei pacifisti per finire al collaborazionismo con il regime filo-nazista di Vichy. A Camp de Carrères arriva Antoine, suo amico di infanzia e fascista convinto, che non rinnega i suoi trascorsi di torturatore assassino. 
Inizia un confronto-scontro tra i due che costringe Francoise a fare i conti con i suoi demoni ed a ripercorrere le tappe di una vita in cui riemergono le origini cattoliche e altoborghesi della famiglia, le scelte politiche e gli incontri con Martine e Jean-Pierre, figure tragiche e potenti della sua esistenza. 
Iniziano quindi a delinearsi i temi fondamentali del racconto a partire da quello centrale della pace: «È una delle questioni che ha caratterizzato quegli anni e che ha visto su fronti contrapposti anche persone che provenivano dalla stessa estrazione politica». Il dibattito ha prodotto grandi lacerazioni tra «chi pensava che la pace dovesse essere ottenuta ad ogni costo, anche attraverso accordi con la Germania di Hitler, e quanti vedevano in lui il male assoluto. Uno scontro che travolgerà storie personali, vite e percorsi politici». 
E non è il solo terreno di confronto. I protagonisti dei Malapace si troveranno anche ad affrontare il dramma del rapporto con l’idea comunista che, da un lato rappresenta una speranza di riscatto per milioni di persone rispetto alle gravi ingiustizie sociali dell’epoca, dall’altro finisce per produrre regimi dittatoriali in grado di mortificare quei principi di libertà che avrebbero dovuto incarnare. Tormenti interiori che pervadono Martine, Jean-Pierre e lo stesso Francoise alle prese con un vero e proprio supplizio interiore provocato dalle scelte che lo porteranno ad un destino politico mai pensato o immaginato.
Scelte dettate dal «tentativo di ottenere una disperata approvazione degli altri e dal bisogno di sentirsi amato», con il fallimentare risultato finale di una completa «solitudine, la maledizione peggiore per lui, ancora più della prigionia stessa».
Dopo “Edipo a Berlino”, Francesca Veltri si supera con un libro capace di una straordinaria narrazione lirica attraverso la quale pone temi ancora irrisolti e quanto mai attuali. La tragedia che accompagna la vita di molti protagonisti ci obbliga a fare i conti con noi stessi e con un passato che non può e non deve essere dimenticato. 

QUI l’articolo originale:

https://www.corrieredellacalabria.it/2023/01/27/malapace-i-tormenti-della-politica-e-della-memoria/

Endecascivoli – recensione su SoloLibri.net di Vincenzo Mazzaccaro

Endecascivoli – recensione su SoloLibri.net di Vincenzo Mazzaccaro

Si pensa che gli editori stiano talmente tanto tempo in mezzo ai libri, alle novità, ai libri che non hanno avuto fortuna, che quando chiudono la porta di casa, l’ultima cosa che fanno sia guardare la libreria, perché sentono ancora la polvere sulle mani, anche se sono lavate con fin troppa cura. Credo sia l’abitudine. Quindi un editore divenuto scrittore per un’altra casa editrice sembrerebbe essere una “goliardata”.

Invece Patrizio Zurru, editore di Arkadia, diventa scrittore e centra l’obiettivo: è bravo non solo a scrivere, ma anche a dispensare emozioni.
La sua opera Endecascivoli (Miraggi edizioni, 2021) comprende ben sessantacinque racconti. Tra un racconto e l’altro viene lasciato mezzo foglio in bianco per il lettore, per dipingere o scrivere i vocaboli che hanno emozionato lo scrittore e dunque anche noi lettori.

C’è una grande purezza in questi racconti, di un adulto che guarda al passato con emozione, certo, ma anche con il sollievo di essere grande ora e qui. A fare l’editore nella sua terra. Poteva capitare, invece, che un bambino nato in Sardegna a metà degli anni Sessanta, dopo l’adolescenza andasse in miniera come gli altri uomini e padri di famiglia, oppure trasferirsi sul “continente” o addirittura all’estero per trovare opportunità lavorative.

I passaggi per una vita in cui non hai gli occhi rossi e dove respiri aria e non terra lo capiamo abbastanza presto, con la testimonianza fin dall’inizio di una giovinezza attraversata da viaggi, avventure in spiaggia e anche prima, con Patrizio più piccolo a giocare a pallone con urla della madre e delle sorelle maggiori a fare da sfondo, fino all’arrivo del padre che poteva anche picchiare i figli maschi con la cinghia.
Ma poi bastava solo la voce paterna per trovare la quiete familiare, perché la terra nei polmoni era già uno scandalo tutti i santi giorni. Picchiare i figli sarebbe stata una resa, aver avuto proprio una giornataccia.

Nella collana Golem di Miraggi c’è sia narrativa che poesia e quindi Patrizio Zurru ci si inserisce di incanto, con questi brevi racconti poetici, dei magnifici “tableaux vivants“. Ricordi o epifanie? Tutta vita vissuta? Ma come ormai chi scrive lo dice fino alla noia la Letteratura è trascrizione di un evento che ha perso per strada l’oggettività, perché il ricordo scritto è mendace, pieno di buchi neri.

La letteratura è il tempio dell’impostore, che racconta quello che ha vissuto o non ha vissuto in forma nuova. Pensate a tutti i ricevimenti, le passeggiate e le parole dette in un salotto scritte da Proust ne La Recherche mentre lui, invece, scriveva a letto, pieno di malanni, senza vedere nessuno. L’eccezione che conferma la regola? Giammai. Nelle cose scritte con l’immaginazione non ci sono regole prefissate, sennò sarebbe cronaca. Invece ci troviamo in un vero e proprio libro col titolo da “calembour“.
Quindi il Patrizio letterario gira per l’Europa, torna in Sardegna, sa già quello che non vuole fare, mentre il resto rimane nelle possibilità: non vuole andare in miniera ma non lo vorrebbe neanche per i suoi parenti di sesso maschile, perché non ci si abitua mai.

Vi riporto un estratto del racconto della miniera, o meglio dei racconti della miniera che da soli valgono il prezzo del libro:

Torna anche oggi. Diverse volte è capitato di vederlo arrivare ancora sporco e col carbone attaccato addosso, non c’è stato il tempo per una doccia, non c’era stato perché c’era qualcuno da tirar fuori dai pozzi crollati, qualcuno vivo, altri no.

L’autore sente nei ricordi la stanchezza e “il mestiere di vivere“, attraversati come sono non tutti, ma alcuni, da un sentimento doloroso e umbratile tipico dello scrittore Cesare Pavese.
Ma queste ondate di emozione non sono tutto il libro; anzi, la goliardia, lo scherzo, il cameratismo maschile, gli approcci amorosi sono tutte tappe per un uomo fatto, ora, mediamente tranquillo, con due figli, una moglie, un gatto e la sua professione.

Ovviamente lo spazio dedicato ai disegni il lettore non lo deve compilare per forza; lo si può vedere anche come semplice parentesi tra un racconto e l’altro.
Chiaramente in certi passaggi sono chiamati in causa più i lettori che sono stati adolescenti o giovani negli anni Ottanta, dove bisognava fare la fila ai telefoni pubblici e, se ci si trovava all’estero, i gettoni erano conservati in una capace busta di plastica. Senza Unione Europea l’estero era già Mentone dove accettavano i franchi, a Parigi, manco a ripeterlo. A Berlino si pagava in marchi.

La scrittura di Patrizio Zurru è poetica ma con moderazione, ha spunti di umorismo che si ricordano con piacere, è spaziosa e quindi si può iniziare da un racconto che sta in mezzo al libro; ma se hanno deciso di metterlo in quel modo e inserirlo proprio in quello spazio un motivo ci sarà.

QUI l’articolo originale:

https://www.sololibri.net/Endecascivoli-Patrizio-Zurru.html

Malapace – recensione su Casa lettori di Maria Anna Patti

Malapace – recensione su Casa lettori di Maria Anna Patti

Francesca Veltri sa raccontare i demoni che albergano nell’animo.

Va in profondità, scava nelle viscere nel passato, mette in moto meccanismi mentali.

“Malapace”, pubblicato da Miraggi Editore, non è solo un frammento storico.

È la ricostruzione di un tempo che ci appartiene.

Una ferita mai rimarginata e che continua ad insanguinare il nostro presente.

Sullo sfondo la Seconda Guerra mondiale come un paesaggio ingombro di nuvole.

Al centro un centro di detenzione con i suoi umori, le grida notturne, gli spasmi di un’umanità dolente.

Due uomini: François e Antoine.

Compagni d’infanzia si ritrovano dopo anni.

Entrambi hanno fatto delle scelte.

L’incontro è una resa dei conti.

La tensione narrativa si scoglie nei dialoghi serrati, nelle pause di riflessione, nello struggimento dei ricordi.

Quello che emerge è il dubbio di essere stato dalla parte sbagliata.

Tradire il proprio credo e diventare collaborazionista dei fascisti per un fine alto.

Fermare la guerra, matrigna che devasta e lascia una scia di assenze.

Può la Storia trascinarti nell’inferno?

Hai il diritto di annullare te stesso pur di arrivare ad un compromesso?

È questa l’inquietante domanda che è rivolta al lettore.

Amore, amicizia, parole vane.

Tutto scompare quando si entra nelle dinamiche del nemico.

Un romanzo che sa bilanciare gli eventi storici con la tensione emotiva dei personaggi.

Una scrittura tersa, tragica e libera da stratagemmi narrativi.

Un testo di grandissima attualità che ci invita ad essere temerari difensori della pace.

QUI l’articolo originale:

https://casadeilettori.blogspot.com/2023/03/malapace-francesca-veltri-miraggi.html?m=1

Paolo Brunati su La Balena Bianca (Roberto Batisti)

Paolo Brunati su La Balena Bianca (Roberto Batisti)

Meritevole di collocazione nelle intricate mappe della prosa non-narrativa è anche un autore italiano, Paolo Brunati (1943-2021), che dopo una vita di appartato sperimentatore fra parola scritta e arti figurative ha pubblicato proprio in punto di morte, due anni fa, i Colloqui con il Pesce Sapiente. I 160 brevi testi, che fin dai loro titoli giocano con la forma del trattato, possono sembrare molto diversi dalle buffe vignette di Edson, e il loro stile intellettualistico e lessicalmente estroso è certo più debitore del Barocco che dello slapstick. Laddove Edson mostra, Brunati racconta. Eppure, anche in queste godibilissime prose non-narrative e divaganti (a cui decisamente manca la natura di canovacci teatrali ridotti all’osso, tipica di Edson) troviamo un gusto per la creazione di scenette bizzarre, in cui uno sguardo indagatore si deposita sulle evenienze apparentemente meno clamorose della quotidianità per trasformarle in mirabilia grottesche sotto la sua lente. Così, corpi, animali e oggetti (archetipizzati dalla maiuscola pure di ascendenza secentesca: “il Tempo”, “le Colpe”, ma anche “gli Ornitorinchi”, il “Moscerino della frutta”) subiscono le conseguenze paradossali di un interrogativo filosofico spinto fino all’assurdo. Un po’ come in Edson, l’attenzione di Brunati si sofferma particolarmente spesso sui legami familiari (il Marito, la Nonna…); e se l’autore italiano si diverte a immaginare strani modi di fare figli (“Trovarli dentro una coppia preziosa e antica […] scoprire l’Albero dei Figli e trapiantarne in vaso dei germogli […] prenderli vivi al volo con una sorta di enorme acchiappafarfalle […] partorirne infiniti dalla bocca”), troviamo varie nascite non convenzionali anche in Edson, dove un uomo fa nascere un rospo dall’ascella della moglie, o un giocattolaio costruisce un bambino-giocattolo.

Spesso Brunati rivolge la sua contemplazione ai Morti, trattati come una specie misteriosa e un po’ incongrua, che suscita ammirata perplessità o al massimo il fastidio concettuale del classificatore enciclopedico davanti a un fenomeno contraddittorio. Tipico è lo scandalo di fronte al cadavere, un “coso affatto estraneo alla morte”, imbarazzante nella sua fisicità di burattino inanimato, che sembra mimare malamente quella dei vivi. “I Morti […] ancora parlano, ma senza effetto”, e se “la Morte non può che cogliere nel pieno della vita”, le trasformazioni “sbalorditiv[e]” a cui va incontro la salma suscitano “una curiosità di paure”: anche al cadavere di un animale “sono possibili emozioni ed avventure altrimenti invivibili”, ma gli toccherà viverle in stato d’immobilità. Anche in Edson troviamo morti trattati alla stregua di vivi dalla strana, inaccettabile inerzia. Fra le prose più memorabili, l’apologo del Raccoglitore di legna, che appena deceduto è rimesso prontamente all’opera dalla moglie, a cui la morte sembra solo una scusa per non lavorare: ma al vecchio taglialegna ormai cadavere l’ascia cade maldestramente di mano, di modo che finisce per amputarsi una gamba; al che la donna si adira (“hai tagliato la gamba del mio vecchio”) e impadronitasi dell’ascia fa definitivamente a pezzi quel corpo che non è più, ormai, il marito (il quale, anzi, la incita dal cielo). In un’altra pagina, un defunto viene riportato in vita (ma senza che si arresti la putrefazione) e accompagnato in giro per fiere, ristoranti e festini, dove continua a perdere pezzi con grande disgusto e scandalo dei presenti. Altra soluzione ancora è quella dello scultore che esuma i cadaveri per riportarli in vita, “rimpolpati con una specie di argilla viscida”.

Così nascita e morte, i due termini del percorso terrestre, vengono svelate nella loro assurdità dalla penna dei poeti, che sembrano non volersi arrendere a darne per scontata la naturalezza e si ostinano a presentarceli come esotici, goffi misteri. E lo stesso vale, naturalmente, per tutte le sfaccettature della vita tesa fra questi due estremi. Ma in entrambi gli autori i perturbanti interrogativi suscitati dalle prose non fanno in tempo a generare inquietudine, perché sono invariabilmente proposti con tocco ironico e lieve. Gettano piuttosto i semi di un possibile sguardo altro sul mondo, come ogni poesia (in prosa o meno) dovrebbe fare.

QUI l’articolo originale:

Dura mater – recensione di Maria Anna Patti su Casa lettori

Dura mater – recensione di Maria Anna Patti su Casa lettori

“Dura Mater”, pubblicato da Miraggi Editore, racchiude la poetica dell’inconscio.

Esplora l’immaterialità dell’esistenza, il luogo nel quale la rappresentazione del reale e quello dell’irrazionale convergono.

Mostra l’immaginario che ognuno di noi tiene celato.

Apre le porte ad una dimensione onirica, straniante.

Si interroga sul senso della morte e della vita.

Culla le dispercezioni, le amplifica.

Crea un’atmosfera impalpabile, misteriosa.

Dà voce all’indicibile, ai desideri repressi, agli affetti azzerati.

Rimargina le ferite di chi non riconosce più i suoi luoghi.

Trasforma il tempo in una bolla che vaga nell’incertezza.

Mariella, in coma farmacologico, assente per gli altri, riesce a spappolare il silenzio interiore.

Mette insieme ciò che resta del sè e ciò che è perduto per sempre.

La sua parola è vertigine, abisso e luce.

In questo suo viaggio interiore emergeranno le fratture e i conflitti, il confine scivoloso della memoria.

La presenza della terra d’origine si fa viva nel tentativo di aggrapparsi al suolo, alle tradizioni, agli avi.

Ada Sirente ha una prosa poetica nella sua essenzialità.

Modera il linguaggio, lo fluidifica, lo scompone.

Negli stilemi visionari coglie l’attimo nel quale il pensiero diventa protagonista assoluto.

Una prova letteraria carica di quel non detto che ci fa oscillare rischiando di farci affondare.

QUI l’articolo originale:

https://casadeilettori.blogspot.com/2023/03/dura-mater-ada-sirente-miraggi-editore.html

Torno per dirvi tutto – recensione su MusicMap

Torno per dirvi tutto – recensione su MusicMap

Sinceramente, non è la prima volta che mi càpita di occuparmi di artisti poliedrici che legano, in contemporanea, l’uscita editorial-musicale di un progetto, ed ammetto che l’operazione nasconde sempre una certa attrazione. Infatti, “Torno per dirvi tutto”, oltre ad essere il titolo del libro del musicista, scrittore e regista Lory Muratti, è anche quello del suo nuovo album, che ingloba (parimenti) 8 capitoli che affrontano la tematica del suicidio, vista sotto la lente d’ingrandimento di un autore delicato, finissimo ma decisamente eclettico, capace di estrapolarne il significato più intimo e indecifrato.

Certo, non so quanto possa essere d’interesse un argomento, per certi aspetti tabù, cosi toccante, spiazzante e, nella maggior parte, irrisolto ed incomprensibile nel gesto estremo. Chi, invece (spero tanti), troverà interessante sviscerarne gli aspetti reconditi, potrà calarsi nel tappeto sonoro allestito da Muratti, che ha voluto darne risalto tentando un ensemble in modalità orchestra anche in assenza di essa e, tuttavia, riuscendo nell’intento, sovrapponendo soluzioni e suggestioni a go-go.

Infatti, l’ampia durata dei brani, conditi da excursus affascinanti, danno all’ascoltatore la pienezza di una fantasia sospesa tra presente e futuro, in un mèlange tra indie, pop-wave, ambient e cantautorato intellettivo.

Tra libro e disco, il Nostro ci conduce in luoghi come Vienna, Praga, Parigi, il lago di Bled, in cui il viaggio è inteso come imprescindibile compagno per alimentare ispirazioni e ricchezza d’anima: e questa ideologia Lory la condivide col feat. di Cristiano Godano (Marlene Kuntz) nella splendida “Invisibile”, che vuol dar risalto non solo alle persone ignorate e dimenticate sui marciapiedi, ma anche agli artisti in generale, che devono impegnarsi non poco per non passare inosservati.

Invece “Stanotte a Vienna” dipana un’atmosfera notturna e lucente con tante variabili: un via di mezzo tra Baustelle e Perturbazione, capito che roba forte? Chi, viceversa, predilige oscuri meandri riflessivi, potrà sfogliare la “Viola” o tendere verso “Il silenzio delle parole” (o, ancor meglio, nel “Notturno di una mente malinconica”), e sarà pienamente appagato.

Per scovare l’atto più stravagante, si può passare a “Un disegno con molta acqua dentro”, e si capirà la fervida capacità visionaria che incorpora Muratti nella sua (doppia) vena autoriale. In termini di immaginario ed esperienza, “Torno per dirvi tutto” (che sia libro o disco) dà l’esatta idea di come la sua narrazione renda chiara la ricchezza ispirativa man mano che il viaggio prende forma.

Di certo, far proprie entrambe le opere sarebbe l’ideale, con il protagonista (che non sveleremo…) in perenne lotta tra luci ed ombre. Ignorare libro e disco sarebbe invece, questo sì, un “suicidio” culturale. (Max Casali)

QUI l’articolo originale:

http://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=9748

Malapace – recensione di Ippolita Luzzo su Il Regno della Litweb

Malapace – recensione di Ippolita Luzzo su Il Regno della Litweb

Leggendo malapace il libro di Francesca Veltri due sono i film che mi vengono a cercare: Le vite degli altri un film del 2006 di Florian Henckel von Donnersmarck, vincitore del Premio Oscar per il miglior film straniero e Le invasionibarbariche un film del 2003 diretto da Denys Arcand. In entrambi i film la stessa domanda su come sia possibile credere che qualcosa sia giusto e poi accorgersi dopo anni che quella cosa non era giusta affatto, su come sia possibile avere fiducia cieca in un ideale e poi accorgersi che quell’ideale una volta applicato diventa una tortura. Ce lo domandiamo insieme al protagonista di questa storia, François, che è detenuto in un campo di prigionia nell’autunno del ’44 con l’accusa di aver collaborato con i tedeschi, con il regime fascista di Vichy, benché sia stato iscritto al partito comunista.

L’occasione per rivivere tutta la sua vita sarà l’incontro con Antoine, un uomo che lo ha conosciuto dall’infanzia, un incontro irritante e di disturbo, perché Antoine, fascista e provocante, cerca di spiazzare i ricordi che François ha e di rivoltarglieli contro. 

Un gioco al massacro di grande perfidia.

Nel rievocare una vita alcuni incontri restano come punti fermi, come presenze non ineludibili, l’incontro con Martine, da bambina e da adulta, l’incontro con il padre di Martine, il maestro che gli fa conoscere letture e pensieri, l’incontro e l’amicizia grande con Jean-Pierre che gli farà amare il comunismo e insieme prenderanno la tessera del partito comunista.

Già Francesca Veltri con Edipo a Berlino aveva narrato la storia del drammatico conflitto d’identità vissuto da un giovane militante nazionalsocialista che, nella Notte dei Cristalli, scopre di non essere ariano, ma di origine ebraica. Il protagonista sta al confine fra identità e menzogna, interrogandosi, ed anche qui ci interroghiamo insieme a tanti che ancora stiamo interdetti e confusi davanti alle guerre di oggi. 

Credere, credere, credere, in cosa credere, per cosa decidiamo di perdere la vita, come ci facciamo una opinione di tanti fatti intorno a noi e poi quel desiderio della pace, della pace a qualunque costo. 

Quando gli eventi storici ci travolgono cosa resta delle scelte individuali? cosa resta delle speranze e degli ideali? Quando Jean-Pierre sarà imprigionato dai compagni in cui credevano, quando ciò che si crede non corrisponde più a ciò per cui si è combattuto allora la disperazione fa scegliere altri errori, fa scegliere ciò che sembra ma non è “quella pace ad ogni costo” che perderà definitivamente la vita di François.

Non vi racconto nulla se non la bravura di Francesca Veltri che sa, che conosce il tormento di anime straziate, che vorrebbero stare dalla parte del giusto e del buono, e finiscono sballottati nel caos degli avvenimenti.

Leggere un libro per interrogarci, come il protagonista delle Invasioni barbariche che rimane anche lui sorpreso quando conosce gli errori ed orrori perpetrati da Mao in Cina, leggere il libro con le immagini delle Vite degli altri, il clima di sospetto e diffidenza, le spie, i vicini di casa orribili come la vicina di casa della cugina di Martine, e interroghiamoci ancora sugli orrori del capitalismo di ogni genere, sulla falsa democrazia e sul fascismo, su ogni terribile forma di incubo chiamato storia.

QUI l’articolo originale:

https://trollipp.blogspot.com/2022/12/francesca-veltri-scrive-malapace.html?fbclid=IwAR0ZX17KzdW1NrJGSRtg4nru5DLA7BwcAtNQJyaGKEean9AjuKM1mOpa_EY

“Isometria della memoria” nella terzina finalista graphic novel Bookciak Legge 2023

“Isometria della memoria” nella terzina finalista graphic novel Bookciak Legge 2023

[…] La terzina finalista dei graphic novel è composta da Isometria della memoria di Davide Passoni, Miraggi Edizioni, affascinante viaggio nella memoria, attraverso poesie, documenti e disegni realizzati in assonometria isometrica. Secondo titolo è La nave verde da un romanzo di Francesco Verso, adattato da Gabriele Bitossi, illustrato da Pietro Depalma, Future Fiction, racconto  solarpunk che risponde a suo modo al dramma dei profughi politico-climatici. Completa la terzina Cervello di gallina esordio di Silvia Righetti con Coconino press-Fandango, insolito racconto di fantascienza intimista con protagonista una ragazza che lotta per affrancarsi dal passato. [articolo di Gino Santini]

QUI l’articolo originale:

Malapace – recensione di Antonio Pagliuso su Glicine

Malapace – recensione di Antonio Pagliuso su Glicine

“Dove ci sono gli uomini, stai pur certo che c’è un inizio di corruzione.”

Anno 1944. Ancora in pochi lo hanno capito o ammesso, ma la Seconda guerra mondiale sta giungendo al suo epilogo, perlomeno in Europa. Di certo non lo ha compreso – e neppure ne è interessato – un gruppo di uomini reclusi in un campo d’internamento francese; uomini sfiniti dagli stenti, in attesa di condanna, ché pensare a un processo pare oramai un’utopia.

Questo è lo scenario gelido e opprimente che ci introduce in Malapace, il nuovo romanzo di Francesca Veltri pubblicato da Miraggi nella collana Scafiblù, dedicata alle penne stilisticamente e contenutisticamente più anarchiche della Penisola.

Uomini sott’accusa per le proprie scelte

Tra i prigionieri c’è Antoine, soldato volontario della Légion des Volontaires Français, costola francese delle milizie tedesche, avvinghiatosi alla storica nazione nemica perché folgorato dalla perfidia di Adolf Hitler susseguentemente all’aggressione dell’Unione Sovietica del 1941, a dispetto del patto Molotov-Ribbentrop che due anni prima aveva sottoscritto la vicinanza – o sopportazione reciproca – tra il Führer e Stalin:

“Questo è un uomo senza scrupoli, ho pensato, ma è così che dev’essere un capo”.

Di impronosticabili cambi di bandiera, François, un altro internato, ne ha fatti pure di più: figlio di un ex militare decorato al valore durante la Grande Guerra, è stato prima comunista, poi pacifista, infine collaborazionista dei tedeschi e funzionario del ministero della Propaganda a Vichy.

“[…] è la mia stessa ipocrisia a farmi nausea. […] Ero al Ministero della Propaganda, dove che ci piacesse o meno difendevamo quello che loro e i nazisti facevano in Francia.”

François, voce narrante di Malapace, si rivela presto un uomo debole, cagionevole di salute, condizionato dal giudizio altrui, a disagio con le proprie decisioni – anzi, come letto, letteralmente nauseato da esse –, timoroso che non siano accettate, che gli vengano ricordate mettendolo nuovamente con le spalle al muro, psichicamente sott’accusa, rendendo manifeste ancora una volta la sua cedevolezza e la sua pusillanimità. Prima che in quella del campo di prigionia, François è rinchiuso nella gabbia di ignominia da lui generata: la delusione data agli altri gli è assai più greve di quella che ha dato a se stesso.

Si vergogna profondamente di essersi arreso, di avere aiutato i tedeschi a stabilirsi a casa sua, di avere scelto quello che reputava il “male minore”; una decisione presa da molti francesi nella insensata speranza di mantenere inalterati la propria integrità e i propri territori. Fare cessare il fuoco nazista, consegnare al Terzo Reich il Nord del Paese – Parigi inclusa – per poi costruire, nella restante parte, un nuovo governo francese, quello dello stato collaborazionista di Vichy.

La patria dell’Illuminismo si arrendeva al tiranno tedesco, ché “la guerra andava fermata a qualsiasi costo”.

“Perché mi ha guardato con quell’aria stupefatta? In effetti erano anni che non ci incontravamo, ma avevamo un certo numero di conoscenti in comune, e avrei pensato che lui sapesse tutto di me, così come io sapevo di lui anche più di quello che avrei voluto.”

Il torturatore e il pacifista

L’incontro tra i due uomini – torturatore impenitente Antoine, pacifista colmo di sensi di colpa François – è occasione per ripensare ai rispettivi percorsi di vita, per fare emergere episodi sottovalutati dell’infanzia, rancori malcurati, per riflettere sulla ferocia dei conflitti, sulle ipocrisie e le meschinità degli ideali politici, amati, traditi e disconosciuti, credi messi in discussione, ma senza il coraggio necessario per ammetterlo a se stessi e agli altri.

Francesca Veltri ci conduce in questo vortice in cui i disagi del presente si mescolano alle passioni incerte del passato: la ancestrale gelosia di François per Martine, socialista e anticlericale di origini ebraiche, amore mai accolto e compiuto, e Jean-Pierre, rivoluzionario e fermo idealista, il ragazzo che François avrebbe voluto essere prima di tradire la famiglia, la fede, i valori in cui è cresciuto.

La guerra va fermata a ogni costo? Anche tramite una “malapace”?

La lettura procede verso il fine che pagina dopo pagina diviene ineluttabile: la resa dei conti. Un confronto – magnificamente orchestrato dall’autrice – traboccante d’odio ma non più derogabile, rude ma attraente, che crea fratture nella coscienza, che divide inevitabilmente anche il pubblico. È giusto proseguire una guerra per non soccombere e risvegliarsi schiavi dell’invasore? Oppure lo spargimento di sangue va fermato a ogni costo? Come si può torturare una persona per obbedire a un ideale? Come ci si può accanire su un corpo inerme, ridotto a non più che pelle e anima?

“E a ogni colpo, ogni urlo, vedi letteralmente la lotta fra la carne che si ribella al dolore, che farebbe qualsiasi cosa per farlo cessare, e l’anima o quel che è che gli impedisce di arrendersi, quando in fondo basterebbe così poco… qualche parola soltanto, e tutto sarebbe finito.”

È semplice comprendere che i temi trattati da Francesca Veltri sono quanto mai attuali. Malapace ci pone dinanzi a dei bivi, non ci lascia lettori passivi, ma esamina il nostro pensiero, ci risveglia dal sogno delle ideologie e ci fa sentire colpevoli e innocenti, condannati e assolti per le scelte compiute o anche solo assecondate.

Dopo Edipo a Berlino, Veltri riapre le pieghe degli eventi che hanno segnato l’ultimo conflitto mondiale con un romanzo storico e politico che stuzzica i nervi scoperti di una guerra che ha lasciato capitoli irrisolti, strascichi mai affrontati e divenuti autentici tabù.

QUI l’articolo originale:

Nell’armadio – recensione di Guido Biondi sul Fatto Quotidiano

Nell’armadio – recensione di Guido Biondi sul Fatto Quotidiano

Una vita nell’armadio: la scelta di Hana per sopravvivere a se stessa

DIVENTARE INVISIBILI – La scrittrice ceca Tereza Semotamová ci offre una storia di rifugio e menzogne nella quale ognuno può ritrovare un periodo della propria esistenza. O del proprio vestiario

Per chi è pratico dei videogames vintage, Asteroids è stato un vero e proprio mentore: è stato – prima delle fiction – una interfaccia nella quale il giocatore può seguire un filo logico e razionale oppure, e qui vi è il gusto, premere il tasto hyperspace. Con questa funzione sapevi bene dove uscivi – quasi sempre una situazione di pericolo – ma accettavi il rischio di riapparire in un contesto ancora più drammatico di quello che abbandonavi. Hana, la protagonista del romanzo Nell’armadio della scrittrice ceca Teresa Semotamová (Miraggi Editore, traduzione di Alessandro De Vito), tenta qualcosa di analogo per fuggire dagli schemi precostituiti della società. Si muove come un Hobo, senza un faro ascoltando solo il suo cuore grondante di dolore: “L’amore è come scolpire qualcosa di meraviglioso nell’aria. Non fa che svanire ma noi siamo convinti che perduri e che lo veda anche l’altro. Come accade che due solitudini che si uniscono a volte formino una cosa viva e altre volte generano solo una specie di galera kafkiana?”. La storia è ambientata a Praga, città nella quale la protagonista rientra dall’estero: non ha una casa, non ha idea di come sbarcare il lunario e racconta bugie alla madre e alla sorella. Proprio quest’ultima, nell’atto di sbarazzarsi di un vecchio armadio, darà inizio all’iperbolica vicenda di Hana, capace di sistemare nel cortile della casa della sorella il prezioso nascondiglio per scappare da tutto e tutti.

“I’m not Here, This Isn’t Happening” cantava in un lamento malinconico Thom Yorke dei Radiohead, metafora dell’incapacità di sentirsi la persona giusta al posto giusto. Estraniarsi per sopravvivere, diventare invisibili per scelta, mentire per confondere, amare senza essere compresi, affogare la propria inadeguatezza alle regole sociali nell’alcool. “Uno spazio. Il mondo è tutto diviso a piccoli lotti. Ogni cosa appartiene a una persona diversa. Ognuno ha i suoi quattro metri quadrati, ma alcuni non fanno che vagare tra le proprietà altrui. Quanti spazi al mondo sono lasciati lì, non sfruttati, senza che nessuno li usi? Molti, di sicuro. Come faccio a trovarne uno piccolino per me? Un posticino nascosto, al riparo dal vento, dove poter stendere le gambe, farmi un tè e riposare in silenzio, come l’arrosto della domenica nella teglia. Quindi, per ora almeno c’è quell’armadio. E col tempo ci sarà anche la teglia. Ecco. Mi rianimo”.

In una recente intervista l’autrice ha dichiarato che desiderava descrivere l’agonia di quando non si è più in grado di dire agli altri che le cose non vanno bene e si inizia a mentire anche a se stessi. “Non ci sono più. No, sono nell’armadio. È notte. Anzi, è notte fonda e stringo la fiaschetta. Con le mani intirizzite e l’umore di quando si va in campeggio che stavolta però non finirà mai, perciò sarà difficile fare il conto alla rovescia dei giorni che mancano. Fisso il buio pesto e mi dico: Ehi razza di materia oscura, devo aspettare il tuo grande collasso o tornare a insinuarsi nel regno del sonno?”. Flashback continui su relazioni sentimentali con data di scadenza sorpassata si alternano a flussi di coscienza su ogni aspetto dell’umanità: “Gli adolescenti di solito hanno un periodo di ribellione in cui si allontanano dai genitori perché non li sopportano. Spesso quel periodo perdura. Essere sfuggenti con loro significa sfuggire a ciò che non sopportiamo di noi stessi, perché per due terzi siamo la copia di chi ci ha generato. Si tratta di venirci a patti, in qualche modo”. E la chiosa è per i loser: “Dicono che in ognuno di noi ci siano due lupi: uno buono e uno cattivo. E prevale quello che nutri di più. Quando la mente è completamente serena, allora quello che hai corrisponde a quello che vuoi. Se invece desideri una realtà diversa da quella che è, allora è come insegnare a un gatto ad abbaiare”.