In questi ultimi mesi mi sono dedicata molto alla ricerca di blog letterari, soprattutto perché cercavo libri interessanti da leggere in italiano e informazioni sul mondo dell’editoria in Italia. Come tutte le ricerche che si fanno su internet, non sai bene da dove parti e non sai mai dove finisci.
Mi sono imbattuta nel blog di Elisa mesi fa, seguendo il suo profilo di Caporedattrice della rubrica letteraria sul Club del Libro. La cosa che più mi ha colpita? È una mamma che si è trasferita in Germania e ha un figlio maschio con lo stesso nome del mio.
Ho letto il suo blog marginaliae mi è piaciuto molto lo stile delle recensioni e la sua storia. Quando ho visto il suo profilo, mi son detta che sarebbe stata perfetta da intervistare per la rubrica del mio blog “Meet another working mom”. L’ho contattata, le ho spiegato il mio progetto ed eccomi qui.
Elisa mi sorprende per la sua determinazione e positività. Vivendo anche io in un paese di lingua tedesca, so per certo quanto sia difficile integrarsi nella cultura nordica e imparare la lingua. Lei invece è andata alla ricerca di questi elementi. Mi ha raccontato di aver studiato economia e tedesco all’università appassionandosi alla lingua e alla cultura.
LA MAMMA
L’arrivo del figlio cambia gli equilibri di Elisa, che a quel tempo lavorava in uno studio legale a Torino. Noi mamme sappiamo come l’arrivo di un figlio sia sempre uno sconvolgimento nelle nostre vite. Le priorità cambiano, le dinamiche di coppia evolvono e di colpo la nostra esistenza gravita attorno ad un esserino di pochi chili. Elisa si rende conto che il tempo dedicato al figlio è poco e il suo lavoro poco appassionate le porta via tempo prezioso. Capisce presto di voler un ritmo di lavoro più compatibile con la sua famiglia e una vita più interessante. Queste, ed altre ragioni, l’hanno spinta a voler cambiare vita. Con suo marito decide di trasferirsi in Germania.
Sono molto colpita dal suo racconto: molte persone ci mettono anni, o addirittura decenni, a capire cosa vogliono davvero e rimangono a lungo intrappolate in una vita di frustrazioni. Elisa invece dimostra molto presto maturità e autodeterminazione, caratteristiche rare in una ragazza che non ha ancora compiuto 30 anni.
Elisa: “Ho sempre lavorato” dice Elisa“e anche da mamma in Italia ero molto attiva professionalmente ed avevo molti hobby. Quando sono arrivata in Germania mi sono ritrovata a casa con mio figlio per un anno fino a che non ha iniziato l’asilo. In quel periodo mi sono resa conto di quanto il lavoro fosse importante per me. Lavorare mi fa sentire viva e attiva!”.
Anche Elisa, come molte altre madri, dice che la maternità non è che una parte di lei. Siamo donne con interessi e una vita professionale da sviluppare, oltre ad essere compagne, mogli e madri. I figli sono la nostra priorità, ma non posso essere l’unica cosa a cui ci dedichiamo.
E: “È importante crearsi delle oasi senza figli dove potersi ricaricare. Non siamo solo mamme!” dice lei con foga, dopo avermi raccontato che ogni tanto si ritaglia del tempo per sé stessa.
E cosa ne pensa il figlio di questa mamma piena di passioni?
E: “Sto educando mio figlio alla parità uomo-donna. Lui cresce con l’idea che sia normale che la sua mamma lavori e che abbia anche attività al di fuori della famiglia e del lavoro. Per me è importante che capisca che io sono anche molto altro, oltre ad essere la sua mamma. E lui non solo lo accetta, ne è anche contento”.
Non posso che essere d’accordo con lei. Dare il buon esempio ai figli è sempre la scelta giusta.
SCRITTRICE E…
“La vita da freelance si adatta bene ai tempi e ai ritmi dei bambini, specialmente se piccoli. Chiaro che ci sono anche dei contro. Si è da soli e si tende ad accettare molti piccoli mandati, non tutti molto soddisfacenti, ma per ora va bene così. Ho provato a riprendere un lavoro d’ufficio per qualche settimana, pochi mesi fa, ma non mi sentivo soddisfatta ed equilibrata. Per cui ho smesso e sono tornata ai miei progetti da freelance”.
Elisa però non si ferma alla sua attività di editor, redattrice e traduttrice. Cura un blog letterario, è caporedattrice del Club del libro, sta completando una formazione in Comparatistica e Italianistica alla Facoltà di Filologia della Ruhr-Universität Bochum, si dedica all’insegnamento dell’italiano e coordina il progetto per bambini “Nati per Leggere Deutschland”.
Si capisce dalla luce nei suoi occhi come tutto quello che riguarda i libri e l’insegnamento l’appassioni. Non sono molto sorpresa quando alla fine dell’intervista scopro che ha anche scritto un libro, che è stato appena pubblicato in Italia da Miraggi Edizioni.
Decido di leggere il suo romanzo, “E lucevan le stelle”, e lo leggo in un fiato. Bellissimo. Non sono molto stupita che la storia si svolga in Germania, ma sono molto colpita dalla maturità del racconto e dalla scorrevolezza della narrazione, nonostante i temi trattati siano molto seri. Il libro è un lungo racconto della vita di una donna tedesca come tante, delle sue tragedie familiari e del suo sviluppo di donna adulta. Raccontato in prima persona, Elisa, tramite la voce di Ulrike, ci fa scoprire l’impatto che hanno avuto il nazismo e la Seconda guerra mondiale nella vita dei tedeschi e percorre i decenni che seguono raccontando vicende familiari all’apparenza normalissime, ma che nascondo mondi di solitudine.
“E lucevan le stelle” è un romanzo bellissimo, poetico, pieno di riflessioni e molto ben scritto. Una lettura che non lascia indifferenti.
Leggendo il primo romanzo di Elisa sono ancora una volta colpita dalla maturità e determinazione di questa donna, ora anche scrittrice.
Un’altra madre che lavora come noi, una vita normale ma allo stesso tempo incredibile, un altro esempio da seguire.
Una banale lite tra vicini, di quelle che accadono più o meno a tutti una volta nella vita. Quello che non capita, di solito, è il passo successivo, scoprire dalla polizia di essere morto. O meglio, scoprire l’esistenza di un verbale che notifica il proprio decesso. João Paulo Cuenca, 40 anni, è uno dei più talentuosi scrittori brasiliani contemporanei. Già nel 2012 la rivista inglese Granta lo ha inserito in una ristretta cerchia di autori sudamericani da tenere d’occhio. E la previsione ha trovato conferma nei lavori degli anni seguenti: romanzi, articoli, opere cinematografiche. Ho scoperto di essere morto – pubblicato in otto lingue e in Italia meritevolmente edito da Miraggi (pp. 176, euro 16) con l’avvincente traduzione di Eloisa Del Giudice – è la discesa in un doppio inferno: sociale e personale, un viaggio delirante nelle mille contraddizioni di una Rio de Janeiro che si sta preparando ai Giochi Olimpici tra speculazioni edilizie, polizie più o meno segrete, feste, droghe, alcol, situazioni comiche al limite del grottesco, individui scellerati.
Lo spunto di partenza è autobiografico (nel libro c’è anche il famigerato certificato di morte), ma si trasforma rapidamente in un pamphlet urbano denso di misteri e colpi di scena. L’inventiva anarcoide di Cuenca mantiene alta fino all’ultima pagina la tensione, addirittura amplificata dalla sorprendente postfazione attribuita a una studentessa che nelle pagine precedenti compare con osservazioni critiche nei confronti dello stesso scrittore. Che con questo romanzo si è aggiudicato il premio Machado de Assis, il più importante riconoscimento letterario brasiliano.
La storia narrata dalla scrittrice ceca Bianca Bellovà è quella di un ragazzino, orfano, allevato dai nonni in un piccolo villaggio sulle rive di un grande lago nel cui si specchio si riconosce la vicenda del lago Aral, una delle più grandi catastrofi ambientali del pianeta. La morte improvvisa dei nonni spinge il piccolo protagonista, Nami, a partire dalla ricerca della mamma che è convinto sia ancora viva. Un viaggio epico in un mondo duro e surreale che forgerà il carattere del giovane. Un romanzo ricchissimo a metà tra il racconto di formazione e la fiaba gotica.
Elisa Occhipinti, da dove è partita per scrivere “E lucevan le stelle”?
Da diversi anni mi sono trasferita in Germania, appena sono arrivata ho subito stretto un rapporto
con Brigitte: era una signora anziana che viveva in una struttura, appena sei mesi dopo il mio
trasferimento lei è venuta a mancare. Io ho iniziato la mia vita tedesca nell’aprile del 2013, a
dicembre dovevo già darle l’ultimo saluto. E’ stata una figura fondamentale per me, anche se ho
iniziato a conoscerla meglio dopo il suo funerale. La sua era stata una vita particolarmente difficile
e non ne aveva mai voluto parlare, ma io ho iniziato a indagare e ho trovato tanti spunti
interessanti. Chi è l’Ulrike del libro?
E’ proprio Brigitte stessa, perché sono partita da una storia vera e ci ho costruito sopra qualcosa.
Però è molto romanzato, ci sono tanti elementi di fantasia. Tutto, però, inizia appunto dal mio
incontro con Brigitte: la sua vita mi ha suscitato grande interesse e ho deciso di scrivere un libro.
L’ho iniziato nella primavera del 2014, pochi mesi dopo la sua scomparsa. Germania e Italia sono i suoi luoghi del cuore?
La vicenda si svolge proprio tra questi due paesi, sono legatissima ad entrambe le terre. L’Italia è il
mio paese, sono nata e cresciuta a Torino e tutti i miei parenti mi aspettano sempre a casa, perciò
non potrò mai dimenticare la mia terra d’origine. Dall’altra parte, però, ho sempre sentito mia la
Germania: ho studiato tedesco a scuola, il mio desiderio di trasferirmi in Germania si è realizzato
cinque anni fa e ora sono felice qui. Da chi si è ispirata per il titolo?
In qualche modo richiama Dante, sono una sua grande ammiratrice, ma in realtà è tratto dalla
Tosca di Giacomo Puccini: sono proprio le stelle e questa romanza a fare da filo conduttore. E sono
anche le due più grandi passioni di Ulrike, che in qualche modo richiamano quelle di Brigitte.
Oggi, dopo qualche settimana dall’incontro di João Paulo Cuenca alla libreria Milton, il libraio che noi della Miraggi riteniamo essere uno dei migliori librai italiani e risponde al nome di Carlo Borgogno, ci manda queste quattro righe che ha scritto perché sono ancora caldi il sentimento e l’emozione della lettura di questo libro! Qualcuno di voi potrebbe interrogarsi su quale sia il metro di giudizio per decretare un libraio un grande libraio, giusto? Credo che la risposta possa essere composta da una serie di aspetti inequivocabili, uno dei quali la passione per la lettura, lui che è prima di tutto vorace e attento lettore e quindi libraio fidato. Entrare da Milton ad Alba si rimane letteralmente affascinati dalla libreria che rispecchia bene lo spirito del libraio stesso. Chi ha letto questo piccolo capolavoro Ho scoperto di essere morto riuscirà a trovarvi qualche comune impressione con Carlo e per chi non l’avesse letto, sicuramente la curiosità di leggerlo. In fondo facciamo e vendiamo libri per cui vale la pena innamorarsi.
Ecco la recensione fantastica di Carlo Borgogno:
Ho letto e riletto il libro di Cuenca negli ultimi giorni poichè dovendolo presentare nella mia libreria ed avendone subodorato l’importanza e lo spessore letterario non volevo farmi cogliere impreparato.
È perciò un libro che consiglio di leggere e rileggere: piacevole, fluido, interessante, divertente e provocatorio ad una prima lettura, si schiude come un fiore prezioso ad un secondo ed approfondito passaggio grazie al quale si incominciano ad avvertire le solide e meditate architetture della narrazione.
Notti insonni hanno accompagnato la rilettura di alcuni passaggi attraverso i quali sono entrato in empatia con la sofferenza e lo sforzo che l’autore deve aver fatto per raccontare l’abiura da se stesso e la riconciliazione avvenuta attraverso un contrappasso di feroce autolesionismo voluttuoso.
Il libro è pieno di carne, sangue e cemento. Una Rio De Janeiro oltraggiata e deturpata fa da sottofondo alle vicende umane del protagonista che come la città stessa si ritrova a pezzi. Entrambi alla ricerca della propria identità sepolta.
Non credo di essermi spiegato. Cuenca lascia ad ognuno sensazioni troppo personali per essere condivise. È un libro da leggere. Assolutamente. È inutile star qui a far tante parole!
Un mosaico di suoni, immagini e racconti prende progressivamente forma fino a offrire al lettore il ritratto vivente di una città, della sua storia e del suo profilo psichico e criminale. E già, perché la Torino di Domenico Mungo è un’assassina “con un ghigno diabolico” stampato sul volto. È lei la protagonista delle trenta storie mutanti del Suono di Torino – una sciarada intrisa di urla poetiche, stridii di chitarre elettriche e tonfi metallici. Seguendo le tracce della killer seriale si scopre, sotto la rapsodia degli eventi narrati, una trama profonda che lega insieme luoghi, vicende e personaggi, fino a far emergere in trasparenza un romanzo noir dove odio ribelle e amore tradito sono avvinghiati in una lotta all’ultimo sangue.
Mediante il libero riadattamento di articoli, opuscoli e volantini si affrontano efferate stragi fasciste, esecuzioni capitali, gli eroici scioperi del marzo 1943, l’immigrazione meridionale verso le fabbriche del Nord, i bagliori insurrezionali dell’autunno caldo, la marcia dei 40 mila, i drammi del fordismo e la crudele persecuzione dei notav. Il suono di Torino importa in letteratura le tecniche musicali della campionatura, del remixing: “Unico fil rouge, la colonna sonora punk: le strofe rabbiose, dilaniate, furibonde dei Nerorgasmo, distorte qua e là che emergono improvvise tra i fiumi di parole urlate da una gola recisa. Ma anche Negazione, Cesare Pavese, Church of Violence, Totozingaro Contromungo, Rough!, Refused, Fred Buscaglione, Lucio Dalla, il rumore della fabbrica, il deragliare di un treno ad alta velocità.”
Nel capitolo finale l’autore si congeda:
Delle sue valigie di cartone spruzzate di smog e grasso d’officina.
Delle sue barricate operaie
E delle sue università̀ di rampolli della rivoluzione.
Dei suoi mille centri sociali
Ormai necropoli di se stessi
Murati vivi i cuori che anelano
Addio.
Non mi volterò mai, nemmeno per un istante per guardarne i grattacieli e le ciminiere fantasma che mi lascio dietro le spalle.
Torino è la personificazione geolocalizzata della nostra vita miserabile, ma allo stesso tempo la speranza resiliente dell’insubordinazione. Domenico Mungo, del quale Carmilla ha recensito anche Avevamo ragione noi, offre al lettore un modo innovativo di fare poesia e narrativa, una nuova tecnica balistica per scagliare l’arte contro l’oppressione e la violenza del Potere.
José Diaz Fernández fu uno degli intellettuali delle avanguardie spagnole dimenticati dal lungo periodo franchista. Giornalista, repubblicano, attratto dai “grandi fatti russi” e della rivendicazioni operaie in quanto portatrici di una nuova sensibilità morale e letteraria, visse in prima persona la guerra coloniale in Marocco, dove svolse il servizio di leva. Era il 1921, l’anno del disastro militare di Annual, a cui fece seguito una crisi politica che sfociò due anni più tardi nel colpo di stato di Primo de Rivera. Dal fronte scrisse sette racconti indipendenti l’uno dall’altro, aventi “come elemento di unità soltanto l’atmosfera comune”, dati alle stampe nel ’28 come El blocao, titolo tradotto in Casamatta per questa prima edizione italiana. A questi episodi si aggiungono in appendice due caustici articoli pubblicati nel periodo di stanza in Marocco.
Quest’opera, definita “un piccolo capolavoro” dallo scritto Ignacio Martinez de Pisón, autore dell’introduzione, affronta con demistificante realismo una campagna coloniale che portò allo sterminio di quella gioventù che non poteva permettersi di pagare la quota, l’esonero parziale dall’arruolamento. Il blocao è l’avamposto isolato, spesso situato in cima a un’arida altura, in cui venivano dislocate a rotazione le guarnigioni spagnole a presidio del fronte. In esso i soldati protagonisti di questi racconti si trascinano in una logorante monotonia sperimentando un’alienazione dalla vita sociale e affettiva. La sensualità come richiamo della vita, soffocata dal peso dei fucili sulle spalle, e il supplizio dell’attesa di un nemico invisibile assalgono i personaggi annidati nel desertico paesaggio che circonda una fumante cabila o frastornati dall’ingannevole seduzione della Tetuan occupata. Dietro l’aspro smarrimento dei soldati, privati di ogni eroismo, si coglie la resistenza delle tribù del Rif e l’emergere delle idee rivoluzionarie. Queste compaiono in Maddalena rossa, il testo principale del libro, in cui Angustias, un’impetuosa rivoluzionaria, impone il suo esempio a “Occhialini”, uno studente tanto idealista quanto incerto nell’azione, anche al momento di tradire la chiamata alle armi.
Diaz Fernández condusse una battaglia per la letteratura sociale, per il compito giornalistico di “dare una sensazione esatta delle cose”, contro la glorificazione della guerra che occultava la dolorosa realtà di uomini sottratti alle loro vite per servire una fallace idea di patria. Il suo impegno politico continuò con l’opposizione alla dittatura di Primo de Rivera e ai governi del bienio negro repubblicano, pubblicando ulteriori opere nel solco di quella che egli stesso chiamò letteratura “de avanzado”, tra le quali si ricordano La Venus mecánica, El nuevo romanticismo e Octubre rojo en Asturias, apparso sotto lo pseudonimo di José Canel dopo la rivoluzione asturiana del 1934. Eletto alle Cortes repubblicane, ebbe un ruolo a fianco del governo del Fronte Popolare durante la guerra civile, trovando infine la morte in esilio. El blocao è un libro che risponde al sentimento culturale più avanzato degli anni Venti spagnoli e che seppe trovare un chiaro successo editoriale, a dispetto del successivo oblio.
Nel volgere di poche ore una serie di esplosioni semina il panico in città. Nel metrò e nelle strade presidiate da esercito e polizia le vittime si contano a centinaia, compresi dipendenti comunali, sindacalisti, medici e (sostiene qualcuno) lo stesso sindaco, tutti passati per le armi: è la “notte dei botti” che dà il titolo allo sconvolgente, coraggioso romanzo di Biagio Cepollaro, scritto tra il 1993 e il 1997 ma uscito soltanto quest’anno presso l’editore Miraggi. Cosa accade, allora, durante la notte dei botti? Il dominio della merce ha già raggiunto eccessi macroscopici: nonostante siano stati privatizzati addirittura l’aria e i colori, ora i nemici dello Stato sociale, dei vincoli, delle frontiere, i fanatici del “Grande Scroscio della Liquidità”, della “Grande Fiumana delle Libere Espressioni”, pretendono la resa totale della Politica e con un colpo di mano stanno per impossessarsi definitivamente della città.
Scriba, poeta-veggente che sembra rimbalzare nell’oggi da un passato arcaico, dotato com’è della facoltà di ascoltare i sogni altrui, si muove in bicicletta sull’autostrada, pedalando per ore fra carcasse di macchine incendiate, crateri nell’asfalto e cadaveri riversi. Il suo scopo è raccontare la notte dei botti a partire “da quello che uno sente col naso”, “dal non farsi illusioni, dal mettere le mani nelle piaghe”: tutto ciò, si direbbe citando alcuni versi di Cepollaro stesso, per “provare il non-detto / e la sua deflagrazione” (dalla raccolta Scribeide, 1993) e comprendere così il senso di un mondo diventato sempre più oscuro, imperscrutabile. Ma anche Scriba sogna, e in sogno vede i Resistenti ammassarsi in cima all’autostrada, pronti all’azione contro il Nuovo Potere: “Cavalieri a piedi nudi, in piedi, sui cavalli… Centinaia di cavalieri che fanno acrobazie, che saltano da un cavallo all’altro… Cavalli e cavalieri che invadono le strade e le piazze della città disegnando festose figure… Piramidi di cavalieri alte quanto gli edifici… È la prima vera sfida alla Notte dei Botti”. La visione di Scriba si realizzerà concretamente? I Resistenti sapranno organizzare un movimento di opposizione? E saranno poi così forti e numerosi da liberare la città?
L’allegoria della Notte dei botti offre una esemplificazione da manuale del “post-modernismo critico” teorizzato da Cepollaro e dal Gruppo 93, sia sul versante dello stile, sempre teso e sorvegliato nella sua polifonia, sia, soprattutto, per la denuncia tempestiva e spietata dell’ascesa di un capitalismo estremo, eversivo, fattosi più che mai violento dopo il crollo dei freni costituzionali social-democratici impostigli nel “Trentennio glorioso”. La durezza e la potenza del giudizio sul nostro tempo espresso in questo romanzo non sono inferiori a quelle del quasi coevo Le mosche del capitale di Paolo Volponi, nonostante qui ci si focalizzi più spesso sulle classi subalterne, il cui linguaggio è restituito fedelmente nell’”oratura” di Cepollaro. Se infine si volesse assegnare la notte dei botti a un punto preciso della storia recente, a mio parere non bisognerà pensare soltanto agli esordi del ventennio berlusconiano ma a eventi come il varo del Trattato di Maastricht o il golpe extraparlamentare di Mani Pulite che segnano la fine dell’esperienza essenzialmente sovranista della Prima Repubblica e l’avvento del finanzcapitalismo trans-nazionale.
“”È la nostra cecità, cecità esistenziale, che rende il mondo che ci circonda così misterioso. Petr Král, con discrezione, ce lo svela”. Così si apre questa prima edizione italiana di Nozioni di Base, con un’introduzione di Milan Kundera che ci fa presagire un libro certamente sui generis.
Petr Král è uno scrittore e poeta ceco nato a Praga ed emigrato a Parigi nel 1968, dopo l’invasione sovietica. È stato una figura di spicco dell’editoria clandestina fiorita a Parigi nonché dell’intelligenza praghese antisovietica. Diplomato alla FAMU di Praga, ha contribuito a veicolare la cultura non ufficiale svolgendo l’attività di critico letterario e cinematografico, ma anche di interprete, traduttore e insegnante, dedicandosi alla scrittura di saggi, sceneggiature, diverse raccolte di versi in ceco e in francese tra cui Enquête sur des lieux (Flammarion, 2005). Ha contribuito anche alla traduzione e alla diffusione della letteratura ceca in Europa, curando importanti antologie come Le Surréalisme en Tchécoslovaquie (Gallimard 1983) e Anthologie de la poésie tchèque contemporaine 1945-2002 (Gallimard 2002).
Il lettore italiano può avvicinarsi a Král poeta con la raccolta di Tutto sul crepuscolo (Mimesis Edizioni 2014) e alcune poesie tradotte dal ceco e dal francese (rispettivamente da Annalisa Cosentino e da Massimo Rizzante).
Non è, invece, facile incasellare Nozioni di Base (Základní pojmy nell’edizione originale) in un genere letterario predefinito. Edito da Miraggi Edizioni nella collana Tamizdat (pubbicato ”tam” ovvero ”là”, ”altrove”) e tradotto dal ceco da Laura Angeloni, si presenta come una raccolta in prosa di 123 brevi e incisivi pensieri che riguardano svariati oggetti e situazioni della quotidianità dell’autore, che assumono all’interno del libro quasi una connotazione universale.
Definito da Milan Kundera come ”una bella e strana enciclopedia esistenziale della vita quotidiana” si tratta di un collage frammentato di immagini, sensazioni fugaci, epifanie fulminee che lacerano per un istante il tessuto grigio e uniforme della nostra vita quotidiana. Král osserva il mondo, si concentra sugli elementi che appaiono semplici e comprensibili e ne distorce il significato e la funzione. La prima nozione di base riguarda il caffè, una delle immagini più familiari e senza fronzoli per eccellenza, che rappresenta per Král quasi un’improvvisa rivelazione, la coscienza improvvisa della propria esistenza:
”Lasciarsi portare verso se stessi da un sorso bollente, inaspettatamente preciso, della bevanda che ci scorre in corpo insieme ai residui del buio notturno, significa concentrarsi di colpo e affermare chiaramente la propria presenza, nonostante la momentanea indefinitezza dei nostri gesti e la sonnolenza del momento”.
Da questo risveglio scaturiscono gli altri micromondi di Nozioni di base, a partire da un’osservazione attenta degli oggetti comuni e apparentemente futili che ci circondano: ed ecco che Král scrive di una camicia pulita ma anche della zuppa di pesce (”…e la gustiamo con cura, ognuno per sé, la coccoliamo e ci attardiamo con lei come con il nostro destino”), dell’attaccapanni e del cestino per la carta che diventa d’un tratto il custode della nostra esistenza. Ma ci narra anche dei nostri luoghi: il bagno degli uomini e il bagno altrui, l’hotel, la Spagna e l’Italia, l’impellente urgenza di rifugiarsi altrove per fuggire dal qui e ora.
All’interno di queste minuscole avventure, raccontate in tre righe o in due pagine appena, affiorano sensazioni e stati d’animo universali e ben conosciuti: il vizio, l’inerzia, la solitudine, l’incompletezza, l’assenza, ma anche la ridondanza, le aspettative deluse, il desiderio e il sollievo.
L’avvicendarsi dei pensieri di Král ricorda e immagini multiformi di un caleidoscopio: l’autore gioca con le gli oggetti in modo imprevedibile, assembla svariati frammenti di vita, osserva le cose da una prospettiva differente, vaga con la fantasia e l’immaginazione. E così l’ordinario si fa straordinario. Scorgere una sagoma dal finestrino di un treno e pensare all’improvviso a tutte le le vite che non saranno mai le nostre, attraversare una strada e rendersi conto delle possibili scelte che ci lasciamo dietro, l’incontro fugace con una donna sconosciuta con la quale avremmo potuto trascorrere tutta una vita, le inevitabili delusioni (”la cavità in cui precipitano senza scopo le nostre mentine rinsecchite non è solo una trappola misteriosa nella stretta di due fianchi, ma è lo sbadiglio dell’intero deserto cosmo”)
Tutto ciò con cui ci scontriamo ogni giorno sembra avere un’essenza nascosta che Král cerca di rivelare e di interpretare attraverso l’introspezione. Ogni cosa ha la potenzialità, quindi, di rivelarci qualcosa di profondo sulla nostra esistenza, di ”svelare il vero bagliore delle cose nella loro usura”, se solo la osserviamo attentamente. E così una giornata passata a languire nella quiete domestica può portarci a delle conclusioni inaspettate sulla nostra vita.
Ho amato molto questa raccolta, un vero e proprio compendio della vita, con la sua struttura frammentaria, il linguaggio asciutto e a tratti corrosivo, in cui ognuno può perdersi e ritrovarsi. Un approccio molto singolare a questo autore di certo da riscoprire.
“…In Italia il libro funziona molto grazie ai consigli degli stessi lettori. Il Lago è stato pubblicato da una piccola casa editrice di Torino, Miraggi Edizioni, che non ha di certo le possibilità delle grandi corporazioni editoriali, ma cura i suoi libri con un amore che non mi è mai capitato di incontrare altrove. Per esempio dopo una presentazione in collaborazione con una libreria, nella cittadina di Alba, hanno organizzato in una cantina locale una cena di varie portate, e il meraviglioso vino che la accompagnava aveva le etichette che riproducevano la copertina del libro. Qualcuno si è davvero preso la briga di organizzare una cena grandiosa per trenta lettori. È una casa editrice che vive grazie a dei lettori fedeli. E ne viene ripagata. Su Facebook è in corso un appassionato passaparola tra blogger, librerie, biblioteche. Probabilmente Il Lago non diventerà un best seller in Italia, ma di sicuro ha colpito profondamente molti lettori. È successa anche una cosa molto interessante: mentre insieme alla traduttrice Laura Angeloni sceglievamo i brani da leggere, Laura mi ha chiesto di includere il pezzo in cui il protagonista incontra per la prima volta sua madre, perché lo trovava così commovente che ogni volta le veniva da piangere. A me non era mai venuto in mente di leggerlo, non era tra quelli che preferivo e non avevo mai pensato che fosse così commovente. Beh, mentre l’attrice Elisa Galvagno lo leggeva erano tutti con le lacrime agli occhi, compresa me…”
Quasi tutti è un libro toccante e traboccante, nel quale sono compressi frammenti di senso dal concentratissimo peso specifico, aggregati apparentemente a caso intorno a un nucleo occasionale, non ricomposti. Quasi tutti riproduce la casualità caotica del nostro tempo: le frasi sembrano schegge di supernovae, riagglomerate dal caso in elenchi numerati.
L’uomo tagliato a pezzi. Delitti e processi dei “favolosi” anni Sessanta raccoglie la memoria viva e vivace di un “testimone informato sui fatti” dei più efferati crimini e misfatti della Torino dei primi anni Sessanta. Nel volume, infatti, si ripropongono i resoconti di quei processi che hanno segnato – almeno in parte – l’Italia del boom economico. Tra questi vi sono: il processo al vigile Millo Cossetta accusato di omicidio per aver ucciso il ladro della Flaminia dell’allora sindaco torinese Giancarlo Anselmetti; l’assassinio della gioielliera Maria Albera; il terribile omicidio di Chivasso da parte della famiglia – oggi insospettabile cognome – Montalbano che ha fatto a pezzi e chiuso in due valigie la sua vittima; l’estradizione del gangster mafioso italoamericano Settimo Accardo conosciuto nell’ambiente con il nome di Big Sam; la truffa dei concorsi truccati di Radiofortuna, Telefortuna, Giugno radiofonico e Serie Anie che assegnavano premi e automobili a vincitori ben precisi; la fuga dal tribunale da parte di Tarzan alias Angelo Roberto Felice Foresta; e ancora, il processo a Giulio Einaudi, Michele Straniero, Sergio Liberovici, Margot Galante Garrone per aver pubblicato il testo Canti della Resistenza spagnola contenenti due quartine incriminate di vilipendio alla religione e oltraggio al pudore.
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