Rare volte la lettura di un romanzo dà tanto piacere per la scrittura in sé; e rare volte tanta ricchezza narrativa viene con tanta disinvoltura stipata in un solo romanzo, in un solo appartamento, quasi in una sola stanza.l giovane Pellicani è un chiacchierone. Si presenta una sera – una sera tardi – nella casa del padre, casa dalla quale si era allontanato – dopo aver sottratto certi risparmi da un certo cassetto – vent’anni prima. L’immobile, un condominio di sei, sette piani, è disastrato. Ma la scritta «Pellicani» sul campanello dell’ultimo piano c’è ancora; e la porta è appena accostata. Il giovane Pellicani – un completo grigio un po’ sdrucito, una valigetta ventiquattrore portata solo per darsi un tono – vuole fermarsi una notte e via, andare altrove: ha degli affari in Cina, sostiene. Il padre avrà dimenticato i fatti di vent’anni prima, lo accoglierà volentieri.
In questo romanzo avvincente l’Autrice, con un linguaggio asciutto che rifugge da ogni retorica dei sentimenti, ci mette dinanzi alle ferite aperte della memoria collettiva europea. La storia di Konrad – che riceve periodicamente dalla Germania pacchi di dolciumi da una misteriosa donna che si rivelerà essere sua madre – viene presentata da più punti di vista, in un processo ellittico e spiraliforme nel quale la verità viene diluita al punto da poter affermare che “tra verità e menzogna c’è un confine così labile che si può rimuovere con un semplice gesto della mano, con un battito di ciglia”. Ogni personaggio si muove dentro la trama di una storia che si declina nella forma dello sradicamento e della perdita. I figli di Konrad, come onde concentriche, si ritrovano dispersi in una diaspora quasi naturale, lontani da un padre di cui non riescono a portare il peso della rabbia irrisolta di figlio abbandonato. Addentrandoci dentro le pieghe del dramma di Klara, colpevole di avere lasciato il figlio Konrad all’età di tre mesi nella Repubblica Ceca, nelle mani di una donna chiamata Hedvika, scopriamo un destino segnato dalla guerra e da un Male troppo pervasivo e annichilente per porvi rimedio. Siamo di fronte ad un viaggio nella memoria labile, opaca, e infine lucida come lama di bisturi. Senza memoria chi siamo? E cos’è la memoria se il nostro mondo non viene attraversato dalle ragioni dell’altro? Se non affonda infine le radici nella carne viva, nel grumo delle proprie viscere? Quando il Male diventa sistemico e onnipervasivo, la coscienza del singolo raggiunge l’estremo lembo della carne, fino a toccare le ossa, e ogni uomo solca i sentieri più arcaici e impenetrabili, pur di sopravvivere e mettere in salvo la propria vita. Il problema è che mentre tutto ciò accade si è inconsapevoli della barbarie entro cui si è inabissati.
La lingua ha sì il potere di rianimare e rievocare l’appartenenza alle proprie radici, ma il tedesco – “le cui consonanti ricordavano il fruscio delle foglie che cadono” – non riesce a salvare se non per un attimo personaggi votati a un destino crudele. La geografia delle emozioni, come quella degli Stati, è costellata da confini labili e fluttuanti e valichi impossibili da attraversare.
Se fosse un medicinale quale sarebbe?
Accosterei il romanzo a un farmaco omeopatico, cioè il dolore curato con lo stesso dolore rammemorato.
Solitamente leggi a voce alta o mentalmente?
Amo leggere i libri mentalmente, così entrano nel vortice dei miei pensieri, fino a formare un’unica matassa con i miei vissuti. Sottolineo le cose che più risaltano, in modo che al termine possa riassaporare tutta la storia nei suoi punti più nevralgici.
Tre aggettivi per descrivere “I tedeschi”?
Carnale, epico, lancinante.
Consigli una libreria che conosci, di fiducia, che ritieni importante?
Fino a qualche decennio fa nella mia città c’era una libreria – l’Aleph – entrando nella quale venivi introdotto in un mondo ricco di risonanze mitteleuropee. Il proprietario amava i suoi libri, li selezionava, e trasmetteva il suo amore a noi lettori in cerca di sapori forti. Poi, con la sua morte, fu chiusa. Oggi sostituisco quella ricerca con la lettura di inserti culturali qualificati, come la Domenica de IlSole24ore, o gruppi letterari online come “Billy, il piacere di leggere”.
“Andandosene altrove” Roberto Calasso lascia un grande insegnamento e un invito per il futuro.
L’insegnamento è che si può diventare editori per moltitudini di lettori con la curiosità, l’amore per il sapere, la certosina ricerca del valore letterario anche dove le opere nascono lontane dai dettati commerciali.
Imprevedibilità, estro, intuizione e colpi di genio, ma anche cura estrema, eleganza, precisione. E la padronanza del tempo, perché i libri ticchettano diversamente dagli orologi.
L’invito è di continuare con calma, con pazienza, anche noi piccoli che ci siamo seduti alla sua ombra, all’ombra di un gigante.
Non è un caso che il typeface delle collane di Miraggi sia il Baskerville: l’abbiamo scelto per omaggiare lo stile inconfondibile delle creature di Roberto Calasso.
Miraggi si è ispirata senza nasconderlo. La realtà è fatta di ogni visione. Grazie.
Cosa succede quando tutto sembra essere immobile? Quando le parole sono filtrate da uno schermo, i libri visti da lontano e, con essi, i volti degli autori e dei lettori? Succede che una casa editrice decide di partire in vespa e girare l’Italia.
Un po’ Nanni Moretti un po’ no.
Tante tappe, tanti libri, tanti personaggi. Per umanizzare, scambiare opinioni, conoscersi. Rendere di nuovo onore ai corpi e alle parole.
Miraggi Edizioni c’è e si mette in Viaggio nei giorni del suo 11° anno di attività, tra pochi giorni sveleremo le tappe di questo tour e i protagonisti!
“Stiamo producendo alta letteratura straniera e italiana, scelta con estrema attenzione e l’intento è di comunicare l’esistenza di questi libri con letture 24/24h durante l’intero arco delle giornate del tour. 400 km in media ogni giorno, 2-3 librerie che vado a trovare ogni giorno, caffè presi con scrittori, giornalisti, blogger, colazioni, pranzi e cene che diverranno diretta streaming sui social networks.” Fabio Mendolicchio
Ragagnin fa un’operazione sconvolgente: prende Berg, ovvero Bambolo, ovvero Nini, ovvero Bambino Parentesi, ovvero Giorgio Santacroce….e ne fa un distillato nel senso letterale del termine. Sottopone il suo personaggio ad un processo di distillazione destinato a separare la sostanza, l’essenza di cui è fatto da tutto il resto: da chi lo ha messo al mondo, da chi lo ha cresciuto, dalla madre, dal padre, dai nonni di città e di mare, dai compagni dell’asilo, dagli amici dell’oratorio, dalle donne che attraverseranno la sua vita, dal catavoletto, da Kioko e dalla coda del cappello alla David Crockett. Ma non si tratta di una separazione nel senso, a cui siamo abituati, di allontanamento di scissione, quanto piuttosto di una separazione generativa, di un processo di creazione, di derivazione: Berg è e contiene tutto ciò che ha attraversato e tutto ciò che ha attraversato, tutto ciò che ha incontrato persone, luoghi, affetti, ansie, ricordi, relazioni, inadeguatezze, idiosincrasie, addii e ritorni lo hanno forgiato e legittimato per come è.
La distillazione sfrutta la separazione che avviene tra gli elementi ad una certa temperatura e così fa Ragagnin con Bambolo: lo accompagna talvolta con ironia, talaltra con pazienza, altre volte ancora con dolore (ma sempre con un garbo che definirei taumaturgico) attraverso i giorni, i mesi, gli anni mentre la temperatura delle emozioni, gli sconvolgimenti dell’anima lo mettono sottosopra e lo ricompongono come in un puzzle in cui ciò che fa da sfondo è in realtà il contenitore necessario a poter tracciare i confini e l’identità del soggetto per il quale il quadro esiste; il narratore accompagna il suo personaggio fino a fargli prendere consapevolezza del proprio essere e ad attribuirgli la dignità tipica dell’essere unico, differente, dell’essere proprio se stesso. E lo fa accudendo le sue emozioni, prendendosene cura, attribuendo ad ognuna di esse un fine, uno scopo e considerandole tutte, anche quelle più intime ed ancestrali, funzionali a divenire l’uomo che Bambolo può essere. Leggere Il Bambino Intermittente è infilarsi e sfilarsi più volte una maglia al rovescio mentre sali in vetta in una tersa e ventosa giornata di primavera inoltrata. In quota il sole scotta, anche sotto qualche lieve velatura; il vento soffia, non vuoi fermarti, ti raffredderesti, continui a camminare e infili la maglia al rovescio concentrato sui tuoi passi, senti sulla pelle sudata e irritata ogni singola cucitura, ogni piccolo difetto della stoffa, la cerniera sotto collo al contrario è insopportabile non puoi fermarti, stai salendo al tuo passo, al tuo ritmo e continui spinto dal suono di una scrittura che è una colonna sonora. Ragagnin non narra solo con le parole, Ragagnin narra con parole destinate a fare parte di una melodia che l’orecchio prima intuisce e poi sente chiaramente con l’andare delle pagine (e arrivati in fondo vorresti continuare a canticchiarle quelle pagine come il testo di una canzone di cui non puoi più fare a meno…).
Il Bambino Intermittente raccoglie come un’enciclopedia interattiva tutto ciò che è dell’uomo: il rapporto con i genitori (separati), il ruolo dei nonni, il rapporto col cibo, con la propria città, l’importanza dei luoghi in cui si cresce, l’asilo, la scuola, l’oratorio, gli amici, le ragazze, l’innamoramento, i viaggi (fatti o desiderati), i sogni, i ricordi, l’esigenza di trovare un lavoro dentro il quale sentire realizzata la propria essenza. E poi ci sono la morte e la musica. Non occorre essere a conoscenza della confidenza che Ragagnin ha con la musica per attribuire un ruolo fondamentale al rapporto che Berg ha con la musica. Mi piace pensare che la musica sia per Berg una sorta di traduttore on line, che il narratore abbia consegnato proprio alla musica il compito di decifrare e subito dopo tradurre in un linguaggio universalmente riconosciuto la strada che Berg compie per diventare se stesso, una strada lungo la quale tutto ha senso e tutto trova il suo posto: hanno senso le sbucciature sulle ginocchia, le piscine vuote, i souvenir a forma di bara, i nomi degli alberi, gli occhi azzurri di nonna di mare ed il nero di seppia degli spaghetti del nonno morto da anni. Tutti i giorni Berg apre porte dietro le quali trova persone, cose, situazioni che non riesce a spiegare fino in fondo ma alle quali riesce a riconoscere quel valore anticipatorio che non gli consente di archiviarle del tutto, che gliele fa tenere lì, a portata di mano, per poterle usare al momento giusto, per poterle collocare come tasselli nel quadro d’insieme a mano a mano che la sua vita si compie ed il suo posto al mondo prende forma nella stanza azzurra. “Vivo nella camera azzurra, che adesso è la mia camera a valvole, con il mio impianto a valvole e l’azzurro delle pareti rinfrescato, ripassato per buona educazione olfattiva perché tutti quelli che sono passati di qui, non molti per la verità, una madre, una moglie, un figlio hanno lasciato un segno distintivo, elusivo, evanescente ma che io non posso smettere di fiutare, anche adesso che non c’è più nessuno”. Il lettore incontrerà anche un personaggio secondario, o forse no, (una comparsa, cinematograficamente parlando….) di nome Luca Ragagnin. Se ne sta seduto ad un tavolo, in un locale…a bere…Il Bambino Intermittente è la melodia della vita di Berg suonata dalle dita esperte di chi riesce a far vibrare la scrittura lungo i propri armonici naturali che non sono suoni puri ma proprio per questo restituiscono una straordinaria sensazione di completezza.Il Bambino Intermittente è, credo, la melodia della vita degli uomini e delle donne del nostro tempo. Grazie…
La mia libreria del cuore è la Libreria Milton di Alba (CN).
Con il numero 45 il Reportage entra nel suo dodicesimo anno, mantenendo ancora a 10 euro il prezzo di copertina e a 32 euro l’abbonamento annuo (sconto del 20% e spese di spedizione incluse). Il primo numero del 2021, l’Anno del Vaccino, apre con un’intervista molto importante all’intellettuale e giornalista Furio Colombo, che il primo gennaio ha compiuto 90 anni. Colombo ripercorre tutta la sua carriera, dai tempi dell’Olivetti e della Rai alla direzione dell’Unità, passando per la militanza nel Gruppo 63 e la sua lunga permanenza negli Stati Uniti. A registrare le sue “confessioni” è il giornalista del Fatto quotidiano, Giampiero Calapà.
Il primo reportage è quello che fornisce anche la foto di copertina e documenta un’insolita giornata tra i ladri di tombe della Valle dei Re in Egitto. Lo firma il fotografo americano Christopher Pillitz, che racconta la sua rischiosa esperienza. Paola Rizzi, invece, ripercorre i 50 anni di Ciudad Abierta, una sorta di “isola utopica” cilena, costituita nel 1970 da un gruppo di intellettuali, architetti, poeti e artisti del Cile, che resistette perfino ai duri anni di Pinochet. Il mastodontico progetto del Tren Maya, che dovrebbe tagliare a fette il Sud del Messico con 150mila chilometri di ferrovia, è l’oggetto del terzo reportage firmato da Vittoria Romanello, la quale dà voce alle popolazioni locali che temono una devastazione ambientale non solo per i lavori di realizzazione, ma anche per l’avvento di un turismo poco rispettoso delle risorse naturali (le foto sono di Heriberto Paredes).
Il portfolio di questo numero è dedicato al caporalato della mafia nigeriana nel Foggiano. Il fotografo Alessandro Zenti ha documentato il lavoro massacrante e la vita nelle baraccopoli degli immigrati, che per essere in grado di lavorare sono costretti a ricorrere al Tramadolo, conosciuto come la “droga del combattente”. Il reportage successivo – firmato da Gianluca De Bartolo – parla invece del Ruanda, il piccolo Paese africano che tenta di risollevarsi dal suo tragico passato. La novità è data dal completamento di un servizio di droni (primo Paese al mondo ad adottarli in questo settore) per il trasporto delle sacche di plasma e dei medicinali nelle zone rurali del territorio. Graziano Graziani, invece, ci porta nelle Azzorre sulle orme di Tabucchi, che qui ambientò “Donna di Porto Pym”. Di Nicola Zolin il reportage conclusivo, che racconta il rinnovato business, in Italia, della coltivazione, produzione e distribuzione della cannabis, soprattutto per uso terapeutico.
Non mancano le cinque recensioni librarie, la “Lettera Aperta” di Valerio Magrelli, la rubrica “Un autore, un libro” di Maria Camilla Brunetti, che questa volta conversa con Federica Sgaggio. Il racconto di questo numero è della scrittrice italiana Marta Cai, che da qualche tempo vive in Brasile. L’editoriale di Riccardo De Gennaro è dedicato alle ardue previsioni per il nuovo anno, la foto vintage che chiude come di consueto il numero ricorda il tentato golpe Tejero nel 1981 in Spagna, esattamente quarant’anni fa.
Qualche tempo fa il Centro Ceco Milano ha organizzato una rassegna intitolata “La cultura in quarantena” perché diversi libri usciti tra Marzo e Maggio 2020 si trovarono privati di degna presentazione e divulgazione, in tal occasione AndreaPennacchi, amante e studioso di narrativa ceca, ha letto uno dei 10 racconti che compongono LA PERLINA SUL FONDO prima opera di Bohumil Hrabal uscito proprio ad aprile, ora ascoltabile in questo contenuto extra… buon ascolto per scoprire che meraviglia sia questo libro #MiraggiDaLeggere
Contest per 10 tra i migliori talenti emergenti del fumetto italiano, scadenza 31 marzo 2021
Il disegno è la tua passione e hai bisogno di nuovi spazi per esprimere la tua creatività? Sei un autore, sceneggiatore e disegnatore di fumetti? Ecco il modo migliore per valorizzare le tue creazioni ed essere finalmente pubblicato da una casa editrice affermata.
Sono aperte le iscrizioni alla prima edizione del Contest nazionale ScoutINK, la selezione indetta da Miraggi Edizioni, per la collana MiraggINK, che premia 10 tra i migliori talenti emergenti del fumetto italiano. Le 10 storie vincitrici saranno pubblicate in un volume raccolta, distribuito a livello nazionale.
“Una sezione dedicata a tutti i disegnatori, autori e appassionati di fumetti.
Un’occasione unica per mettere in mostra le proprie abilità nell’arte del fumetto!”
Il 10 aprile 2021 saranno proclamate le 10 storie selezionate e il volume sarà ufficialmente presentato in occasione del Salone Internazionale del Libro di Torino 2021.
Possono partecipare al Contest gli autori/disegnatori maggiorenni (anche in team) la cui opera (storia a fumetti) sia originale. Per iscrivere l’opera al Contest, gli autori dovranno accettare integralmente le condizioni del presente regolamento. Ciascun autore può partecipare al Contest anche con più di un’opera, purché sia autore o co-autore, dell’opera presentata e sia titolare, in via originaria, di tutti i diritti di utilizzazione e sfruttamento, anche economico, dell’opera presentata per le finalità del presente Contest.
Per ogni acquisto che farete noi vi regaleremo 1 libro della nostra storia di questi fantastici 10 anni, un libro a sorpresa ma che sceglieremo in base a ciò che avete scelto di leggere. L’acquisto può essere 1 solo libro, o più libri per evitare i costi di spedizione del corriere!
Per acquisti superiori ai 26€ la spedizione è gratuita.
Per le occasioni Natalizie potete anche scegliere una LAMPADA ORIGINALE fatta sempre con i libri che diversamente sarebbero destinati al macero, se non le conoscevi eccole > Lampada Libro – Miraggi Luminosi
L’ora e il luogo nei quali tendenzialmente finisco i libri della Miraggi appartengono alle ore post-tramonto. Notte, silenzio, solitudine. Il libro che vedete in foto è un’anteprima che abbiamo avuto l’onore di leggere è che usciva un mesto dopo. Un tuffo nella mente umana, là dove sogno e realtà spesso si mischiano generando un caleidoscopio di immagini, suoni, flussi di coscienza. Un omaggio all’investigazione shakespiriana dell’animo umano.
Scritto con grande sapienza linguistica ci offre varie esperienze: divertimento, curiosità, inquietudine, paura. Tanto che una volta finito non sai se ciò di cui stavi ridendo ignaro non fosse che il preambolo ad un delirio di follia, o se tutto ciò di cui avevi tanto temuto non fosse in realtà un’artificiosa ed innocua nuvola di oblio. Non vedo l’ora di farmelo raccontare dall’autore in carne ed ossa.
Poi mi succede che a due mesi di distanza dalla lettura di questo splendido romanzo ho ancora un sacco di immagini e sensazioni attaccate alla corteccia. Un labirinto fisico e mentale in cui vedo muoversi il giovane Pellicani. Quando un libro ti lascia per tanto tempo sensazioni così vivide è perché ha smosso il tuo inferno e questa è un’arte che di solito è appannaggio dei grandi classici. Vi invito ad infilarvi nelle oscure stanze creato da La Chiusa. Ne uscirete diversi!
Penso da sempre che quel momento più o meno lungo nel quale con garbo si passa dal sonno alla veglia, di prima mattina, dopo una nottata di riposo, quello in cui ti galleggiano in giro per la mente pensieri ed immagini che stanno lì a metà tra sogno e realtà, ecco, quello ho sempre pensato sia l’attimo in cui ciascuno di noi crea, riassembla, elabora il lato più intimo e vero di sé. Lì, proprio in quei brevi istanti, trascorsi in una sorta di terra di mezzo in cui le immagini fugaci dei sogni appena fatti e quelle delle giornate reali, siano esse ricordi o proiezioni di un futuro prossimo, si fondono in una mistura che ha qualcosa di magico, di quella magia di cui è fatto il nostro strato più sottile, quello composto di anima e mente, quello scevro del plumbeo raziocinio che ci tiene pericolosamente legati ai paradigmi della vita contemporanea, proprio lì noi costruiamo ciò che siamo, proprio lì è installata la nostra capacità di creare. Non so fino a che punto un essere umano possa, anche con l’esercizio, rimanere in quella dimensione a lungo proprio perché essa non appartiene alla sfera di ciò che dipende dalla volontà ma a quella degli eventi che semplicemente accadono. Una cosa, però, mi pare innegabile: per dote di nascita o per allenamento Klopstein aveva imparato a rimanerci in quello stato. Aveva imparato a viverci nel continuo. Non so se per semplice merito o demerito dell’alcool, oppure, più probabilmente per una sua peculiare capacità di contattare quella dimensione che per comodità siamo abituati a definire onirica. Io temo, in realtà, la si definisca onirica più per paura di entrare in contatto con se stessi, più per poter evitare di ammettere che in quello spazio ciascuno di noi è ciò che è, con tutte le proprie debolezze, i propri limiti, col proprio passato non necessariamente risolto, coi propri desideri, forse non sempre così riconoscibili, più per prenderne le distanze da tutto ciò che per altro. I Perdenti, a mio parere, si gioca tutto in quella dimensione. E infatti, non a caso, i personaggi del romanzo usano molto la vista, l’udito, l’olfatto ma molto meno il tatto. Louis Berenstein mette in scena figure eccezionali, con caratteri così potentemente descritti da diventare tridimensionali. Essi però si annusano, si guardano, si scrutano, si sfiorano ma non si toccano a meno di non essere fantasmi. Allora si, essi abbracciano, stringono e trasmetto calore. Nelle descrizioni che il narratore disegna c’è spesso fumo, ci sono aloni di luce rosa, verde, azzurro, ci sono voci, musica, corridoi bui ed elefanti dipinti su tela stando ad una finestra di Orchard Street ma la dimensione del tatto scompare quasi del tutto, tranne laddove, mentre un piccolo gruppo di formiche trasporta una enorme briciola di pane in un qualche anfratto e ricompare….senza la bara, le dita di Louis sfiorano e fanno rotolare e poi ruzzolare nella tromba delle scale….la morte.
Clicca sull’immagine per vedere la scheda del libro!
Coerentemente con questa caratteristica del romanzo, nella prefazione di Hedda Hopper si legge che Aaron Klopstein fu un assoluto cultore della tradizione orale. Non scriveva, narrava e basta. Componeva nella propria mente anche un romanzo intero per poi, semplicemente raccontarlo. A braccio, perché la scrittura non è che l’ultimo gesto per uno scrittore e non il più importante. Quasi a voler affermare che ciò che si tocca non è infine l’essenza. Essa sta altrove.I Perdenti è disseminato di numerosissime metafore delle questioni che attengono ai dilemmi, agli irrisolti della vita umana: inferno, paradiso, amore, amicizia, solitudine, passato presente, molte di esse incarnate da personaggi letterari, più o meno celati, di indubbia fama. Ancora Hedda Hopper ci svela che Klopstein era un patito di ascensori e dei loro meccanismi di funzionamento, dei loro ingranaggi ed era affascinato dalla loro capacità di portare gli utilizzatori in alto. Una attrazione per metà verso le cose razionali e per metà verso ciò che sta in alto o verso la visione che dall’alto è possibile avere delle cose.”Louis restò per un attimo in strada, quasi che tornare nel proprio appartamento lo spaventasse ancora di più che rimanere al Paradiso”.Una provocazione: e se Thodd Phillips con il suo Joker fosse stato influenzato da Aaron Klopstein? Buona lettura.
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